Di Daniele Giaffredo - 365giorni.org
Uno tra i ricordi più vivi che conservo delle parole del nostro presidente Mario Fontana è un frammento di conversazione tra me e lui, un pomeriggio in ufficio, nel 2008.
Era autunno, Mario era di ritorno da un viaggio in Afghanistan: "Quello che vedi laggiù è terribile", mi disse.
E poi, con lo sguardo vago e basso, come a cercare egli stesso un appiglio: "È un popolo che non ha futuro, la gente che non ha più la speranza".
Diverse volte mi è capitato di riflettere su quelle parole e di citarle. La condizione umana più disperata mai incontrata da Mario, che certo di Paesi del Sud del mondo ne aveva girati tanti, era dunque l'Afghanistan.
Uno si immaginerebbe al primo posto, in questa classifica al contrario, la miseria delle favelas nel Sud America, o l'estrema povertà di alcune regioni dell'Africa Sub sahariana. Invece no, era l'Afghanistan che si era stampato come l'esperienza più sconvolgente di tutta una vita. La moglie Giusi, che con gli amici Carla e Olindo aveva preso parte a quel viaggio, mi aveva confessato che Mario era un giorno arrivato alle lacrime, toccato nel profondo dell'animo.
Quale l'elemento distintivo, dunque, che fa di questa terra la terra più disgraziata? Che in Afghanistan non c'è speranza. Perché la miseria più maledetta, le privazioni più inumane possono essere vissute da un popolo quasi con trascuratezza, se si proietta la propria esistenza oltre il buio perché già si distinguono i segni buoni di un domani migliore. Ma se non hai la speranza, se ogni giorno ti svegli con la certezza di veder soffrire i tuoi figli e la tua gente, se la tua vita è minacciata da ogni dove e chi dovrebbe proteggerti difende invece i tuoi aggressori... A quel punto puoi e vuoi solo scappare dalla tua terra.
O dalla tua stessa vita.