Internazionale - 5 maggio 2016
Donne afgane ricevono cibo in un centro di accoglienza gestito da un’associazione umanitaria, a Kandahar. (Muhammad Sadiq, Epa/Ansa)
Internazionale - 5 maggio 2016
Donne afgane ricevono cibo in un centro di accoglienza gestito da un’associazione umanitaria, a Kandahar. (Muhammad Sadiq, Epa/Ansa)
Enrico Campofreda - 3 maggio 2016 dal suo BLOG
Come ogni primavera i Talib afghani rinnovano l’offensiva interna. Stavolta l’hanno anticipata alle prime settimane d’aprile, chiamandola ‘operazione Omari’ in onore del leader del movimento (mullah Omar) di cui nei mesi scorsi è stata annunciata definitivamente la scomparsa. In realtà le loro offensive non si sono mai fermate, in autunno c’è stato l’assedio di Kunduz, in inverno continui attentati nella stessa capitale.
È una strategia che mira a tenere sotto pressione l’esercito locale, mostrandone l’inefficienza senza il supporto statunitense e diffonde un chiaro messaggio alla popolazione: il vero controllo del territorio lo stabiliscono le nostre milizie.
Le rinnovate offensive primaverili hanno colpito contemporaneamente parecchi distretti che circondano Kabul da est (Laghman, Nangahrhar, Kunar) e a nord (Parwan), quelli meridionali (Helmad, Kandahar) e settentrionali (Sar-e Pol, Faryab, Badghis). Azioni capaci di evidenziare organizzazione, audacia, coordinamento che impongono al presidente in carica una subalterna rincorsa, la stessa che balbetta da due anni
La campagna ribadisce il rifiuto a sedersi al tavolo delle trattative con Ghani, Sharif e gli emissari di Obama e Xi Jimping, e lancia un ottimismo smisurato di vittoria, mai apparso così evidente neppure durante l’enorme offensiva del 2009-2010 che mise in gravissima difficolta un esercito d’occupazione salito a 100.000 unità. I talebani promettono a tutti gli abitanti delle aree interessate una salvaguardia nei confronti di milizie Isis e dei mujahhedin che potrebbero intervenire in quei territori.
Puntano a porsi come unica alternativa armata all’esercito afghano e alle restanti truppe occupanti della Nato. Nelle operazioni degli anni passati i turbanti miravano ad avvicinare alla propria causa i soldati locali, entrando in contatto con loro tramite intermediari che li avvicinavano all’esterno delle caserme oppure coinvolgendone i familiari. Stesse tattiche sono utilizzate per i prigionieri catturati durante in battaglia, sebbene gran parte dei raid si dipanano secondo il consolidato meccanismo della sorpresa e della successiva fuga, evitando di fare ostaggi.
Comunque chi è catturato, se titubante a unirsi a loro viene rilasciato sotto la solenne promessa di non tornare a vestire la divisa, seguita dalla minaccia che se dovesse accadere su di lui e sui parenti cadranno sanguinose vendette.
Recenti studi di alcuni analisti attorno ai piani talebani notano come nell’odierna propaganda ci sia una generalizzazione degli obiettivi da colpire. Gli annunci d’un anno fa indicavano come obiettivi le truppe presenti nelle basi e in pattugliamento, i contractors, gli agenti dell’Intelligence, finanche i diplomatici, oltre a eventuali ministri.
Stavolta si prospettano attacchi ad ampio raggio un po’ in tutto il Paese, rivolti ai punti forti del nemico (le basi aeree attaccabili anche usando kamikaze), mentre per gli omicidi mirati si guarda ai comandanti dei centri urbani. Negli eventuali scontri aperti bisogna evitare di colpire i civili, per distinguersi da quei “danni collaterali” provocati da caccia e droni statunitensi che fanno salire l’odio della popolazione. I dati forniti dall’Unama per il 2015 assegna ai talebani la percentuale maggiore di vittime civili (62%). L’agenzia Onu si può pure annoverare come struttura avversa, ma la ricaduta negativa a proprio danno resta e sembra che i turbanti comincino a tenere in considerazione la propria immagine più degli americani.
AFCECO - Newsletter aprile 2016
Dear Sponsors and Friends of AFCECO,
During April, the children settled into their routines of going to schools, doing sports, attending their courses such as painting, computer and core studies. Besides this we have some more exciting stories to tell you.
As you are aware a group of our girls attended April 23rd Children Festival in Turkey. This was the first time that Afghanistan was invited in this important festival. Our children performed two pieces of Afghan traditional dance. All of the girls stayed with their Turkish host families while they were there and had a very good time. The girls returned on the 25th and had lots of stories to tell to their friends at the orphanage. The Turkish families were extremely kind to our girls and once they learned about our orphanages they collected lots of clothes, shoes, socks and stationary for the children and then sent them along with girls. Here is the link to photo gallery of the festival and their journey in Turkey.
We are also honored to let you know that Women Economic Forum of ALL Ladies League has awarded AFCECO Founder and Chairperson, Andeisha Farid the award of “Global Women Peace Leaders of the Decade”. Women Economic Forum is a mega marquee global event hosted by ALL Ladies League (ALL) the world’s largest league of women. ALL has recognized Andeisha “as a humanitarian leader, you have energized the cause of goodness and peace in our world through your innovative and courageous approach. In recognition of your outstanding leadership for humanity and peace, and for your caring and concern for social inclusion and service to society”
And we are extremely proud of our music students who continue to excel on big stages and make headlines. Negin, who is the first female conductor of Afghanistan is now a well-known star and has been featured by several prominent world media like BBC and Huffington Post. Here are few links of the recent news coverage:
This month we celebrated Abdul Bari’s birthday along with other children whose birthdays were in April. Thanks to our generous sponsor Terry Cardwell who funded this big party.
Internazionale - 2 maggio 2016
In Afghanistan la contraccezione è un tabù e avere accesso alla pillola o al preservativo è complicato. Per combattere i pregiudizi radicati nella società, l’ong Marie Stopes international ha deciso di collaborare con le autorità religiose per trovare nel Corano dei passaggi che consentano il controllo delle nascite.
Secondo la Banca mondiale, nel 2014 il tasso di fertilità in Afghanistan era di 4,8 bambini ogni donna, tra i più alti in Asia.
Dal sito di HambastagiHambastagi - 27 aprile 2016
Durante la manifestazione in occasione del 28 aprile, giorno in cui ricorre la sanguinosa guerra civile scatenata dai mujaheddin all'indomani della ritirata sovietica, gli attivisti del Solidarity Party of Afghanistan hanno organizzato un Flash mob per ricordare che i criminali che causarono migliaia di vittime civili dal 1992 al 1996 SONO ANCORA IN PARLAMENTO e rivestono posizioni di potere anche nelle province afghane. Gli afghani chiedono un Tribunale Internazionale per processarli per crimini contro l'umanità. Militanti di Hambastagi hanno indossato le loro maschere, nella speranza che davvero un giorno si riesca ad incatenarli e a sottoporli a giudizio!
Potete vedere il video sulla pagina Facebook di Hamastagi
https://www.facebook.com/hambastagi/?fref=nf
blitz quotidiano - 29 aprile 2016
LOS ANGELES – Il Pentagono degli Stai Uniti, Usa, ha avviato una punizione disciplinare nei confronti di 16 membri dei dipendenti per aver colpito un ospedale di Medici senza frontiere in Afghanistan durante un raid e aver ucciso oltre 20 persone. Il sito Los Angeles Times spiega che dopo una indagine durata circa sei mesi, gli aviatori statunitensi sono stati puniti per il raid aereo, ma non processati.
L’attacco è avvenuto lo scorso 3 ottobre a Kunduz, quando un bombardamento aereo degli Usa ha causato la morte di 24 persone tra personale medico, pazienti e altre persone di origine afghana. Sono 16 le persone ritenute colpevoli degli omicidi compiuti durante il raid, tra cui due generali, la squadra di un Air Force AC-130 che ha eseguito l’attacco e persone delle forze speciali.
Solo uno degli ufficiale ha avuto la peggio, con la sospensione dai suoi incarichi in Afghanistan, mentre gli altri hanno ricevuto punizioni decisamente più lievi: per 6 di loro c’è l’obbligo di ad un corso di counseling, per altri 7 ci sono lettere di rimprovero e infinite 2 persone che attendono il processo.
Punizioni che sembrano inevitabili, scrive il Los Angeles Times, dato che le truppe statunitensi erano state informate per tempo dello scontro a fuoco e del raid aereo in atto proprio nella zona di Kunduz. Il raid ha rischiato di scatenare un incidenti diplomatico, con le organizzazioni di aiuto che hanno chiesto la persecuzione degli autori della strage in cui morirono 42 tra adulti e bambini.
Narcomafie - 27 Aprile 2016, di Piero Innocenti
L’ultimo attentato con un camion bomba dei talebani in Afghanistan è di pochi giorni fa, nella capitale Kabul. Il bilancio è stato di una trentina di morti e di trecento feriti. È stata colpita ancora una volta quella parte della città in cui hanno sede gran parte delle ambasciate e dei comandi delle forze di coalizione. Ed è anche quella più controllata da check point e da sistemi di sicurezza passiva. Anche per questo i terroristi fanno sempre più spesso ricorso a razzi.
Ordigni che vengono lanciati con sistemi piuttosto rudimentali e che sovente colpiscono obiettivi non previsti. A poco servono alcuni sistemi acustici di difesa programmati per allertare la popolazione pochi secondi prima dell’impatto dell’ordigno; così come appare insufficiente il sistema di triangolazione per individuare il punto dell’impatto o del lancio del razzo che viene attivato da un sistema installato su di un pallone aerostatico sospeso sulla capitale. La minaccia di attentati, in realtà, incombe soprattutto su diverse zone del confine (Jalalabad, Mazar-e-Sharif, Gardez), dove, quotidianamente, le forze militari afghane combattono contro i gruppi di miliziani talebani e di Daesh e dove le città non hanno una “green zone” particolarmente vigilata.
Rete Kurdistan Italia - 25 aprile 2016 - Civaka Azad
Da quando la città di Kobanê il 19 luglio 2012 è riuscita a liberarsi dal regime Baath, la rivoluzione del Rojava fa parlare di sé in tutto il mondo. Ora rivoluzione, da quando è riuscita a fare importanti passi avanti in ambito militare e politico, vuole portare avanti anche i suoi progressi economici. Nonostante il perdurare della guerra le elaborazioni per un’economia comunale, alternativa e socialmente durevole vanno avanti a pieno regime.
Per molto tempo il Rojava è stato escluso dall’economia della Siria. Per questo le persone nella regione nei primi anni della rivoluzione hanno avuto grandi difficoltà a costruire qualcosa di nuovo in particolare nel settore economico. Ma nel frattempo vengono compiuti passi sicuri in direzione di un sistema economico nel senso dell’autonomia democratica.
Ma la guerra contro la rivoluzione nel Rojava viene condotta scientemente a livello economico. Le persone nel Rojava ne sono consapevoli. Per questa ragione la popolazione nella costruzione dell’economia punta su un’azione disciplinata e previdente come sul fronte militare. Perché si ha coscienza del fatto che conquiste politiche in futuro potranno essere protette solo attraverso strutture economiche che funzionano di pari passo.
Il percorso in questa direzione tuttavia è caratterizzato da difficoltà che possono essere ricondotte non solo alle condizioni di guerra e all’embargo economico nei confronti del Rojava. C’è ad esempio un’idea dell’economia all’interno della popolazione che è caratterizzata dalla politica economica del regime Baath durato per anni. Superare l’anno con il reddito di alcuni mesi di lavoro agricolo era l’idea diffusa dell’economia nel Rojava, che era considerato il granaio della Siria. Per questo una delle sfide più grandi per l’economia del Rojava è di rendere comprensibile alle persone il fatto che devono costruire un’economia sulla propria terra con il proprio lavoro. E nonostante le condizioni di guerra già stanno succedendo parecchie cose. Perfino lì dove regna la guerra la produzione va avanti o viene organizzata in modo nuovo. Dall’industria fino all’agricoltura sono già nate innumerevoli cooperative.
Ma su quali basi si fonda il sistema economico del Rojava? Quali passi sono stati fatti fino ad ora nel settore industriale, agricolo, edile? Come funzionano i trasporti? Quali sono le condizioni di lavoro? Abbiamo cercato risposte a queste e ad altre domande economiche nel nostro viaggio nel Rojava e abbiamo parlato con persone diverse. Purtroppo le nostre indagini per via delle condizioni geografiche si concentrano soprattutto sui cantoni di Cizîre e di Kobanê. Quindi è stato un po’ trascurato il cantone di Afrin, ve ne chiediamo scusa.
UIKI Onlus - 23 Aprile 2016
Il Partito democratico dei popoli (HDP) ha pubblicato un rapporto sui crimini di guerra,le violazioni di diritti umani ed i morti nelle città e nei paesi curdi da luglio 2015, con una particolare attenzione a Cizre. Pubblicato il 20 aprile ed intitolato “Rapporto su Cizre”, il documento di 21 pagine fa un’analisi approfondito sul coprifuoco e l’assedio di Cizre da parte delle forze dello stato turco.
Secondo il rapporto da luglio 2015 il governo dell’AKP ha dichiarato il coprifuoco e ha assediato 22 cittadine in 7 località 63 volte per un numero complessivo di 873 giorni. 33 persone sono morte nella strage di Suruç, 8 nel bombardamento nel villaggio di Zergelê e 100 persone nella strage di Ankara;127 civili sono stati uccisi dalle forze dello stato durante proteste e manifestazioni, 600 civili nelle zone sottoposte ad assedio, per un ammontare pari a 868 civili,di cui 102 ragazzini e 99 donne,uccisi in risultato del “concetto di guerra speciale” dell’AKP.
A riguardo delle atrocità a Cizre, il rapporto di HDP ha afferma che 282 persone sono state uccise nella città assediata da luglio.Le forze dello stato hanno ucciso 251 persone durante i 79 giorni di assedio,iniziato il 14 gennaio,massacrando brutalmente 177 persone negli “scantinati delle atrocità”.
Il rapporto ha toccato anche la vasta gamma delle violazioni dei diritti umani perpetrati dalle forze dello stato, incluso la violazione del diritto alla salute,all’educazione, all’acqua, all’elettricità, al cibo ed alla vita,ed il sistematico sfollamento delle popolazioni utilizzando la guerra psicologica.
Cisda, Aprile 2016
ll progetto “Assistenza Legale per donne vittime di violenza ed empowerment delle comunità locali” realizzato dall'Associazione HAWCA (Humanitarian Assistance for Women and Children of Afghanistan) e sostenuto dal CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) prevede una serie di interventi integrati finalizzati alla lotta alla violenza nei confronti delle donne, da un lato promuovendo il loro empowerment sociale, economico e legale e dall'altro l’affermazione della cultura dei diritti umani delle donne attraverso l'educazione alla legalità e il rafforzamento del sistema di giustizia.
Nel semestre maggio-ottobre 2015 il Centro di Assistenza Legale ha gestito i casi di 65 donne. Le cause sostenute sono state prevalentemente per richieste di divorzio, contestazioni per affidamento dei figli, maltrattamenti, richieste di risarcimenti e di restituzione della dote. Di queste, 41 donne hanno ottenuto un riconoscimento di giustizia ad esito dei procedimenti legali avanzati e, per le rimanenti 24, sono ancora in corso i procedimenti.
Il Centro di Mazar ha attivato corsi di alfabetizzazione che hanno formato 100 donne di due distretti. Operano anche due Comitati locali costituiti da rappresentanti della comunità, insegnati, Mullah e anziani rappresentanti locali. I Comitati si riuniscono regolarmente per discutere le questioni dell’area e sono particolarmente focalizzati sul controllo dei casi di violenza, la loro prevenzione e le possibili soluzioni quando questa è già avvenuta.
Il Centro di Assistenza Legale ha già organizzato anche corsi di formazione e workshop per insegnanti, funzionari governativi e studenti della facoltà di Giurisprudenza. I temi trattati sono stati l’empowerment femminile affinché le donne assumano un ruolo di leadership nelle attività governative e non governative e nella lotta per i diritti delle donne vittime di violenza.
Aprile 2016, Connessi con la musica
Un concerto di musica classica: il 10 aprile scorso a Piadena, duo violino e pianoforte, Respighi, Mozart, Ravel, brani difficili interpretati in modo non solo impeccabile quanto espressivo e vibrante di energia.
Nella sala offerta dall'amministrazione comunale di Piadena per sostenere la raccolta fondi a favore di Afceco, il pubblico forse non si aspettava un'esecuzione musicale di tale livello. La città desiderava semplicemente sostenere l'orfanotrofio afghano di cui in passato aveva ospitato per un mese alcune delle bambine venute in Italia nell'ambito di un progetto di accoglienza temporanea organizzato dal Cisda, e realizzato concretamente a Piadena da Emmaus coinvolgendo alcune famiglie e la scuola.
La connessione internet ha permesso il piccolo miracolo di far assistere in diretta almeno alla prima parte del concerto anche alle giovanissime musiciste dell'orfanotrofio da Kabul. Daniele Sabatini e Simone Rugani, violinista e pianista, hanno occupato un palco tra due mondi: di qua le attiviste e la gente di Piadena piuttosto commossi nel trovarsi proiettate sul muro le immagini delle “loro” bambine un po' cresciute e in un momento difficile di trasloco, per gravi motivi di sicurezza, dalla sede storica dell'orfanotrofio ad altre strutture meno esposte; dall'altra il giovanissimo pubblico di Kabul, con le musiciste attentissime e le più piccole, vispe e allegre, che ogni tanto facevano capolino infiltrandosi nelle prime file.
I fondi raccolti servivano proprio a questo scopo: sostenere le spese di trasloco, permettere all'orfanotrofio di garantire un minimo di sicurezza per proseguire nell'eccezionale lavoro di formazione di una nuova generazione in grado di prendere il mano i destini personali e del proprio paese. Una formazione aperta e critica, in cui la musica ha un ruolo importante, e che non a caso attira l'opposizione, più o meno aperta e violenta a seconda della convenienza politica, da parte delle forze fondamentaliste che governano il paese con la complicità degli occupanti occidentali, o delle fazioni che vorrebbero prendere il loro posto, tra cui talebani e Isis.
A causa proprio di questa opposizione, non è stato più possibile al Cisda proseguire il progetto di accoglienza temporanea in Italia e la solidarietà ha dovuto trovare altre strade.
Il Manifesto - G. Battiston - 19 Aprile 2016
A una settimana esatta dall’annuncio dell’offensiva di primavera, i Talebani colpiscono Kabul con un attacco spettacolare. Un camion carico di centinaia di chili di esplosivo è stato fatto esplodere contro una sede dei servizi segreti afghani (foto LaPresse) che ha il compito di proteggere i più alti funzionari del governo. In seguito, alcuni militanti sono entrati nell’edificio, dove sembra si svolgesse un corso di addestramento, ingaggiando una battaglia con le forze di sicurezza, prima di essere uccisi.
Sono almeno 30 le vittime accertate, tra cui molti civili, e 327 i feriti, trasportati negli ospedali della città, tra cui quello di Emergency. L’attentato è stato condotto in una delle zone più protette e controllate della capitale: un segno della capacità dei Talebani di colpire ovunque. E una vera e propria sfida agli apparti di sicurezza del governo di Ashraf Ghani, che nei giorni scorsi avevano sventato due attentati della rete Haqqani, una delle fazioni più pericolose della galassia dei «turbanti neri», a cui molti già attribuiscono la responsabilità della carneficina di ieri.
I Talebani hanno rivendicato l’attacco come parte dell’«Operazione Omar», l’offensiva di primavera annunciata martedì 12 aprile, quest’anno dedicata al mullah Omar, il defunto leader. Nel comunicato sull’Operazione Omar, si rintracciano i temi classici del movimento: il jihad non è solo un diritto, è un dovere di tutti gli afghani che hanno a cuore la difesa del Paese «dagli invasori occidentali»; la battaglia andrà avanti fino a quando l’ultimo militare straniero non lascerà l’Afghanistan.
Ma ci sono novità: per la prima volta, si parla non solo della necessità di conquistare aree e centri urbani, ma anche di pianificare la fase successiva del controllo e della gestione dei territori conquistati. I Talebani non mirano soltanto a mettere in difficoltà il governo Ghani, già indebolito da una profonda crisi politica, ma mirano sempre più a presentarsi come un’alternativa valida.
Che il governo afghano sia in profonda crisi, lo dimostra la visita di John Kerry, il segretario di Stato Usa, arrivato a sopresa il 9 aprile a Kabul, dove ha incontrato sia il presidente Ghani sia il «quasi primo ministro», Abdullah Abdullah. É stato proprio Kerry, nel settembre 2014, a imporre la coabitazione forzata ai due, che si accusavano reciprocamente di brogli elettorali: governate insieme o niente soldi, aveva detto Kerry. Ne è nato un accordo per un governo bicefalo: accanto alla carica del presidente, è stata istituita una nuova figura, quella del Ceo, Chief of Executive Officer, destinata appunto ad Abdullah.
Blog - E. Campofreda - 19 aprile 2016
Enorme esplosione stamane a Kabul in un’area affollata di passanti, presso un capolinea di autobus. Finora si contano 28 morti e oltre trecento feriti, ma vista l’entità della deflagrazione si cercano altre vittime sepolte sotto le macerie e sono possibili ulteriori decessi fra i colpiti più gravi. L’esplosione è rivendicata dal movimento talebano. L’attentato è stato provocato facendo deflagrare un camion presso la sede di un sedicente ‘Direttorato della Sicurezza’ che fornisce guardie del corpo ai parlamentari.
Secondo notizie tuttora non confermate dopo l’esplosione un gruppo armato avrebbe provato a entrare nell’edificio facendosi largo a raffiche di mitra, sarebbe comunque stato respinto.
Testimonianze raccolte e diffuse dalla Reuters raccontano di decine di veicoli danneggiati e della rottura di vetri in un’area molto ampia. La nuova campagna di primavera lanciata, come accade da tempo, dai taliban aveva già avuto un precedente episodio giorni fa con il suicidio d’un kamikaze su un bus a seguito del quale erano morti d’una dozzina di soldati.
Secondo Adbullah, accorso sul luogo dell’attentato, la barbarie talebana prosegue la sua strada, mostrando il lato sanguinario di sempre.
The Post Internazionale - 17 aprile 2016.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite sono soprattutto donne e bambini le vittime delle offensive dei Taliban contro il governo afghano.
Nel primo trimestre del 2016, da gennaio a marzo, sono 161 i bambini uccisi e 449 i feriti nelle operazioni militari lanciate dai Taliban contro il governo di Kabul. Il numero delle vittime coinvolte nei combattimenti e nelle offensive urbane in numerose province dell'Afghanistan, sono aumentate del 29 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015.
Lo ha reso noto domenica 17 aprile un rapporto della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama).
"I combattimenti persistono nei pressi di scuole, di campi da gioco, di case e cliniche. Si continuano a usare esplosivi in quelle zone, in particolare ordigni improvvisati.
E se ciò continua, allora il numero dei bambini uccisi o mutilati aumenterà in maniera spaventosa", ha dichiarato il direttore di Unama, Danielle Bell.
Il rapporto ha anche precisato che il numero complessivo delle vittime civili in Afghanistan, soprattutto donne e bambini, negli primi tre mesi del 2016 si è attestato a 1.943, di cui 600 morti e 1343 feriti. Il numero dei morti ha registrato un calo del 13 per cento rispetto al primo trimestre del 2015, ma si è registrato un incremento significativo del numero dei feriti (11 per cento).
Questi numeri dimostrano come quasi un terzo delle vittime sono bambini.
Il rapporto delle Nazioni Unite ha inoltre sottolineato come la maggior parte delle vittime sono state causate dalle forze anti governative, ma in numero minore anche dalle forze di sicurezza che hanno spesso utilizzato armi ed esplosivi, come mortai e granate, a poca distanza dalle aree civili.
I dati diffusi dal rapporto delle Nazioni Unite sono stati pubblicati pochi giorni dopo l'annuncio da parte dei Taliban della loro offensiva annuale di primavera, che ha visto l'intensificarsi degli attacchi contro la città di Kunduz, nel nord dell'Afghanistan, e pesanti combattimenti nella provincia meridionale dell'Helmand
Giornale di Sicilia - 14 aprile 2016
Una ragazza afghana di 18 anni, obbligata a sposarsi quando ne aveva 12 ad un mullah di 60, chiede oggi di poter divorziare non sopportando più la sua vita famigliare e le violenze domestiche.
KABUL. Una ragazza afghana di 18 anni, obbligata a sposarsi quando ne aveva 12 ad un mullah di 60, chiede oggi di poter divorziare non sopportando più la sua vita famigliare e le violenze domestiche. Lo riferisce Tolo Tv, precisando però che il marito non ha alcuna intenzione di accedere alla sua richiesta.
La giovane, di nome Samargul e originaria dello Stato settentrionale afghano di Balkh, ha raccontato all'emittente che sei anni fa fu data in matrimonio al Mullah Faiz Mohammad per sanare un incidente causato da suo fratello, che aveva avuto una relazione sessuale illecita con la figlia di quello che oggi è suo marito. In base alle usanze locali, per mettere fine alla disputa Samargul fu data in moglie a Mohammad.
«Ero bambina, ignorante, non sapevo cosa fosse bene e cosa male, ma adesso lo so e voglio divorziare», ha raccontato la ragazza spiegando di essersi per questo rivolta alla magistratura di Mazar-e-Sharif che sta esaminando il caso. «In questi anni - ha assicurato - sono stata vittima di tante violenze, picchiata e torturata. Ed ora voglio dire basta». Samargul è la terza moglie del Mullah Faiz Mohammad che ha avuto dieci figli dalle prime due.
Ai giornalisti ha confermato senza problemi di averla avuta in sposa per risolvere il problema causato dal fratello di lei.
«Ci siamo sposati sei anni fa. Lei è stata con me e non abbiamo avuto mai problemi», ha ribadito, anche se ha accusato Samargul di avere un affairè con un altro uomo. «Ma non importa - ha concluso - e comunque io non ha alcuna intenzione di divorziare.
[Per approfondire questa notizia consigliamo di leggere sul sito di RAWA in inglese]
UIKI Ufficio d'Informazione del Kurdistan in Italia - 14 aprile 2016.
Il 14 settembre 2015 la Direzione per la Sicurezza della polizia di Ankara sarebbe stata informata dal direttore della sezione anti-terrorismo della polizia di Ankara, Hüseyin Özgür Gür, del fatto che il cosiddetto Stato Islamico (IS) stava preparando diversi attentati suicidi contro le manifestazioni di protesta in Turchia. 25 giorni dopo, quindi il 10 ottobre, al centro della capitale della Turchia c’è stato un attentato suicida di contro una manifestazione per la pace. Nell’attentato hanno perso la vita 102 persone. Alla manifestazione contro un’escalation del conflitto turco-curdo avevano invitato numerose organizzazioni sindacali. L’appello era sostenuto anche dal Partito Democratico del Popoli (HDP), nel cui spezzone del corteo quel giorno l’attentatore si è fatto esplodere.
Nonostante la manifesta situazione di pericolo, della quale la Direzione per la Sicurezza di Ankara era stata avvisata dalla sezione anti-terrorismo, l’allora direttore della polizia di Ankara, Kadri Kartal, non prese alcuna misura straordinaria per la protezione del corteo per la pace. Anche altri 62 avvisi per la sicurezza dei servizi segreti turchi MIT su attentati suicidi di US fatti tra l’1 gennaio 2015 e il giorno dell’attentato inviati in tutto il territorio nazionale alla direzione di polizia, evidentemente non hanno dato alla polizia di Ankara particolare motivo di alzare le misure di sicurezza. Nei 62 avvisi per la sicurezza sarebbe stato fatto esplicitamente il nome dell’attentatore suicida di Ankara, Yunus Alagöz.
Dal sito di Hambastagi - Partito della Solidarietà dell'Afghanistan - 16 marzo 2016
È trascorso un anno esatto dalla brutale uccisione di Farkhunda in pieno centro a Kabul, un fatto che ha provocato rabbia e indignazione non solo tra il popolo afghano ma in tutto il mondo.
E mentre gli spietati criminali oggi al governo con la coscienza macchiata di sangue rimangono impassibili, i responsabili del brutale assassinio di Farkhunda ed i loro protettori continuano a farla franca. Vergognose strategie sono state ideate per coprire uno dei crimini più spietati e selvaggi della storia del nostro paese.
Il ‘processo’ messo in scena sia pubblicamente che dietro le quinte, e che ha visto un paio di pregiudicati condannati per questo orrendo crimine, dimostra ancora una volta come questo tipo di atrocità sia stato possibile grazie al potere di noti criminali appartenenti alla rete di mullah e mafia che governa il paese.
Dietro questo inimmaginabile massacro si celano i responsabili di anni di guerra civile e bagni di sangue che in passato hanno messo in ginocchio la popolazione di Kabul, costretta al silenzio e alla sottomissione.
Ma il sangue della povera Farkhunda ha smascherato la vera identità di questi criminali oscurantisti e per la prima volta in tanti anni ha scosso la coscienza del popolo afghano che ha fatto sentire la propria voce condannando ogni forma di barbarie e fondamentalismo.
Il Solidarity Party of Afghanistan, assieme a gruppi e menti progressiste e democratiche, dinnanzi alle minacce avanzate dai codardi sciacalli responsabili della morte e mutilazione della giovane donna, sono riusciti ad erigere a Kabul un monumento in sua memoria.
Dal sito di Hambatagi - Partito della Solidarietà dell'Afghanistan - 8 marzo 2016
Anche quest’anno in Afghanistan abbiamo celebrato la Giornata Internazionale della Donna. Purtroppo, i casi di femminicidio, stupro, mutilazione e violenza nei confronti delle donne afghane sono in aumento nel nostro paese.
I colpevoli del brutale massacro di Farkhunda, di Rukhshana e di tanti altre donne innocenti in Afghanistan continuano a godere dell’impunità e dell’appoggio dei criminali che ad oggi siedono al governo.
Negli ultimi quarant’anni il nostro paese è stato terreno di guerra, governato da forze misogine e antidemocratiche - dai Khalqi ai Parchami, ai fondamentalisti islamici, e ancora dai Talebani ai criminali del governo fantoccio sostenuto dagli Stati Uniti.
In tutti questi anni, le donne afghane hanno vissuto il periodo più buio della storia del nostro paese: innumerevoli i casi di violenza e femminicidio, specialmente negli ultimi quindici anni, durante il governo delle cosiddette forze ‘democratiche’. Il test di verginità obbligatorio per donne e bambine che tutt’oggi viene effettuato sulla popolazione femminile è infatti solo uno dei provvedimenti più umilianti presi dal governo Ghani-Abdullah e dalle forze occidentali alleate.
Ma la crescente consapevolezza delle donne afghane, sempre più consapevoli dei propri diritti, rappresenta una grande minaccia per le forze fondamentaliste e reazionarie al governo, che stanno dunque tentando di reprimere con la forza i movimenti emancipatori delle donne e forzando la popolazione femminile a rinchiudersi tra le mura domestiche. Uno dei primi provvedimenti messi in atto dai partiti fondamentalisti islamici negli anni ’90 in Afghanistan è stata proprio un’offensiva nei confronti delle donne che sono state private della loro libertà e dei loro diritti.
Oggi, criminali e signori della guerra, proprio come i Talebani, continuano a condannare le donne ad una vita di violenze, privazioni e prigionia.
Corriere quotidiano - 14 aprile 2015
L'esercito americano ha annunciato l'apertura di un'inchiesta sui raid aerei Usa del 6 aprile scorso nell'Est dell'Afghanistan che hanno ucciso 17 persone presentate come "ribelli" dalle autorità afgane e come "civili" da alcuni responsabili locali.
Mercoledì 6 aprile "le forze americane hanno compiuto due raid aerei antiterrorismo a Paktika", una provincia instabile dell'Afghanistan, ha confermato il prortavoce delle truppe americane nel Paese asiatico, il generale Charles Cleveland. "Per il momento non c'è alcuna prova che ci siano state delle vittime civili. In ogni caso, abbiamo aperto un'inchiesta esaustiva", ha aggiunto, senza fornire ulteriori precisazioni.
Secondo un capo tribale testimone dell'operazione, Hajji Hussain Khan, "tre raid con droni" hanno ucciso 17 persone a Gomal, un distretto difficilmente accessibile. "Ma non si è trattato di ribelli armati. Le vittime sono state tutti civili", ha spiegato.