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Autore: Anna Santarello

Tu chiamale, se vuoi, elezioni…

Blog di Cristiana Cella (attivista CISDA), 3/6/2014

SelayDa noi la campagna elettorale è finalmente finita. In Afghanistan, dove il 14 giugno si svolgerà il ballottaggio per le presidenziali, continua il suo tumultuoso corso. Anche qui non mancano i confronti in tv. Selay Ghaffar, una delle voci democratiche più forti del paese, ex direttrice di Hawca, (Ong con la quale l’Unità porta avanti il progetto ‘Vite Preziose’), affronta in una tavola rotonda, come portavoce del Partito della Solidarietà, l’unico davvero laico e democratico del paese, tre esponenti di Hezb-e-Islami, uno dei più violenti gruppi estremisti islamici, vicino ai talebani e attualmente alleato di Abdullah, uno dei due candidati.

I tre uomini, due inturbantati e uno in giacca occidentale, rimangono impassibili, senza muovere un muscolo, per tutto il focoso intervento di Selay. Snocciola, con implacabile calma, tutti i numerosi crimini di guerra contro la popolazione afghana, commessi nel passato e nel presente, dalla guerra civile tra mujahiddin a oggi, dal loro partito e dal loro capo, Hekmatiar Goulbudine.

Sotto il diluvio di accuse, le tre facce di pietra cominciano a innervosirsi. Il primo a rispondere parla, voltando ostentatamente le spalle a Selay, e si rivolge al conduttore, in impeccabile giacca e cravatta, noto simbolo della democrazia.

Non la guarda mai in faccia. Selay incalza e, finalmente, il tipo si gira. Il confronto sale di tono come le voci e le mani che gesticolano. Selay non demorde.

Arrivano i rinforzi degli altri due, evidentemente sempre più alterati. Dei fischi coprono le battute inascoltabili ma ne abbiamo la traduzione: ‘Sei una puttana’, ‘promuovi nel paese prostituzione e omosessualità’ fino alle minacce aperte: ‘Abbiamo già ucciso persone a te vicine e presto ti ammazzeremo come loro!’.

E le minacce, da queste parti, non sono solo parole. Partecipare a confronti televisivi, in Afghanistan, significa avere un coraggio da leoni. Cosa che non manca affatto alle donne afghane, soprattutto a Selay. Il primo turno delle elezioni afghane è stato raccontato in occidente come il trionfo della democrazia. Ma le elezioni, come garanzia di democrazia, non bastano.

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L’Afghanistan delle donne è chiuso dietro le sbarre.

Il Manifesto – 30 maggio 2014,  Maria Grosso

Incontri. «No burqas behind bars», Nima Sarvestani regista iraniano residente in Svezia, racconta il suo film.
Bar­riera su bar­riera. Lo sguardo che sbatte con­tro il reti­co­lato fitto di stoffa del burqa e ancora con­tro quello metal­lico della grata del fur­gon­cino che le tra­duce in car­cere. Al campo, pri­gione di Takhar, Afgha­ni­stan, le aspet­tano le altre: tra casu­pole e stanze con­di­vise, un cor­tile pul­lu­lante di figli scalzi, di fili intrec­ciati di panni stesi, di baci­nelle per lavare, una sezione fem­mi­nile (40 unità), una maschile (500).

Eppure que­sta sog­get­tiva obso­leta e costrin­gente, con­fine fra il nulla e il deserto, può essere per­ce­pita para­dos­sal­mente come oasi di libertà e di quiete (dove è per­sino pos­si­bile libe­rarsi del burqa), in un Paese in cui se una donna fugge di casa per sot­trarsi a un matri­mo­nio for­zato e/o a un marito vio­lento, la legge, invece di sup­por­tarla, la con­si­dera col­pe­vole di «cri­mine morale», puni­bile con pene fino a 15 – 16 anni.

In que­sti mean­dri deva­stati di realtà si è inol­trato Nima Sar­ve­stani, regi­sta ira­niano resi­dente in Sve­zia che ha accolto le sto­rie di Sima e Naji­beh, entrambe spose a soli dieci anni (il marito vio­lento della prima con­ti­nua a pic­chiarla durante le visite in car­cere, la seconda lotta per non essere costretta a ven­dere il figlio, cui rie­sce a stento a pro­cu­rare il latte), o di Sara, la pre­senza più con­sa­pe­vole – tal­volta nar­ra­trice dei trac­ciati delle altre – che ha rifiu­tato un matri­mo­nio com­bi­nato ed è fug­gita con un uomo ora recluso nella sezione accanto, ma che pure non rie­sce a imma­gi­narsi un futuro al di là della spe­ranza che lui la sposi e la sot­tragga all’ira dei suoi, pronti a ucci­derla. Tra spi­rali di filo spi­nato e fram­menti di cielo, No bur­qas behind bars le segue nella loro bat­ta­glia quotidiana.

«Sono di ori­gini ira­niane. Il mio paese e l’Afghanistan hanno molte affi­nità, non solo lin­gui­sti­che. Così seguo da tempo quanto avviene lì, sin da quando il potere era nelle mani dei tale­bani» rac­conta Nima Sarvestani.
Infatti non è la prima volta che gira in Afghanistan.

Nel 2008, a Mazare-Sharif, ho rea­liz­zato un altro docu­men­ta­rio in una Safe House, un luogo dove le donne che fug­gono dalla vio­lenza tro­vano rifu­gio. È stato il primo con­tatto, due anni di lavoro che mi hanno fatto com­pren­dere come coloro che rie­scono ad avere accesso a que­ste case siano le più for­tu­nate, per­ché molte ven­gono arre­state prima che ciò avvenga. Da que­sta espe­rienza si è fatto strada il desi­de­rio di con­ti­nuare a inda­gare i «cri­mini morali» e le loro con­se­guenze, ed è nato que­sto film nel car­cere di Takhar.

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Obama: via dall’Afghanistan, ma nel 2016.

Enrico Campofreda, 28 maggio 2014 – Blog

truppeusaL’annuncio di posticipare il ritiro giunge bucolico nel ‘giardino delle rose’ della Casa Bianca da dove il presidente Obama riferisce che il rientro dei 32.000 militari statunitensi tuttora in Afghanistan sarà proiettato per l’anno in corso, il prossimo e terminerà a fine 2016.

Ma non sarà totale, sul territorio resteranno circa diecimila militari concentrati, come si sa da tempo, nelle basi aeree per la guerra coi droni già in corso da almeno un biennio. Un graduale e certamente non totale distacco, poiché quel territorio continua a rappresentare un’area d’interesse strategico, militare ed economico (con le risorse del sottosuolo) che attira le attenzioni e concentra le tensioni di vari Paesi e di colossi che guardano avidamente l’intera regione.

L’impero Usa è ovviamente in prima fila. Non si scatena un’occupazione pluridecennale, mascherandola per liberazione, per poi mollarla. Sebbene alcuni graduati che contano, e vogliono mantenere l’anonimato, hanno dichiarato al NYT che nessuna componente politica e militare statunitense ha sottoscritto un ruolo di gendarme afghano ad libitum, c’è il compatto fronte repubblicano che lancia l’allarme di non mollare e non ripetere l’errore iracheno della ritirata frettolosa e inopportuna.

Nell’affermazione in perfetto stile bushano di Obama: “Gli americani hanno imparato come sia più doloroso abbandonare una guerra che iniziarla” appare una lampante verità riguardante il business della propria industria bellica che ha rafforzato se stessa e la nazione puntando sui conflitti, direttamente vissuti o indirettamente sostenuti.

Ciò nonostante nella riduzione delle truppe (giunte sino a 101.000 unità agli inizi del 2011, cui dati non riscontrabili perché segreti aggiungono anche svariate migliaia di contractors e agenti della Cia) pesano l’impasse militare contro l’insorgenza e anche i costi vivi. Nel 2010, l’anno terribile della missione Isaf per numero di morti e attacchi subìti con ordigni improvvisati, l’Us Army e le forze Nato ebbero drammatici riscontri tattici perdendo in agguati, azioni e attacchi diretti contro talebani e insorgenti ben 711 soldati (497 statunitensi). Un americano che veste la divisa ed è in missione in terra afghana costa alle casse confederali 15.000 dollari al mese; un afghano che lo sostituisce, pur se con minore efficienza e coerenza repressiva, ne costa solo 500.

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Afghanistan, Obama: candidati alla presidenza firmeranno il trattato / Afghanistan: Pinotti, missione italiana ridotta a 2.250 uomini

Yahoo! Notizie – Italia, 27 maggio 2014

New York, 27 mag. (TMNews)
“Entrambi i candidati alla presidenza afghana hanno annunciato che firmeranno il trattato di sicurezza con gli Stati Uniti”. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, annunciando la nuova strategia in Afghanistan, dopo aver visitato il Paese nel fine settimana. Obama – parlando dal Rose Garden della Casa Bianca – ha poi ricordato che “il futuro dell’Afghanistan deve essere determinato dai suoi cittadini” e che gli Stati Uniti daranno una chance alla popolazione affinché questo avvenga.

“Domani andrò a West Point per parlare con i militari americani del futuro” ha continuato Obama aggiungendo che gli Stati Uniti devono continuare a mantenere una leadership mondiale ma in un modo diverso rispetto al passato. Parlando della transizione delle truppe il presidente ha detto che sono “passate da un picco di 100.000 a le 32.00” presenti oggi sul territorio.

(ASCA) – Roma, 27 mag 2014
La consistenza del contingente militare italiano sta diminuendo in Afghanistan ”assicurando comunque un’alta valenza in termini qualitativi. La presenza media del nostro personale, come stabilita’ dal Decreto missioni relativo al primo semestre 2014, si attesta sulle 2.250 unita”’. Lo ha comunicato il ministro della Difesa, Roberta Pinotti nel corso delle comunicazioni del Governo alle Commissioni Difesa di Camera e Senato sulle missioni italiane all’estero.

Il responsabile della Difesa ha poi fatto notare come ”la misura del successo della missione internazionale, ormai ultradecennale, non dipendera’ da come lasceremo questo Paese alla fine di questo anno, quanto piuttosto ha detto – da come riusciremo a evitare futuri regressi rispetto ai risultati finora raggiunti sul piano della sicurezza, dello sviluppo economico e di quello sociale, in particolare in termini di rispetto dei diritti umani e di tutela delle donne e dei bambini”.

La Pinotti ha poi aggiunto che sono proprio le ”fasce sociali meno protette” quelle che hanno vissuto il ”piu’ straordinario miglioramento della loro condizione”, dal 2001 ad oggi. Ma ”sono proprio loro – ha fatto rilevare – ad essere maggiormente a rischio nel caso in cui un eventuale accordo di riconciliazione nazionale con la galassia talebana dovesse essere pagato a loro danno, come molta parte della societa’ civile afgana teme”.

*[Ci sembra significativo pubblicare le due notizie di seguito per poterle mettere a confronto]

Malalai Joya: Elezioni farsa a copertura degli affari statunitensi

Enrico Campofreda – 27 maggio 2014 – Blog

malalaiI rivoluzionari afghani osservano la parata elettorale. Loro sono fuori dalla corsa fin dalla presentazione dei candidati, un po’ per scelta e soprattutto per emarginazione: ricevono l’ostilità e le minacce di signori della guerra presenti nelle istituzioni; sono tenuti fuori gioco dal grande sponsor di queste elezioni – la politica statunitense – che essi accusano di sfruttamento e abuso d’una nazione sovrana; vengono ostacolati dalla burocrazia del presidente uscente che non hanno mai esitato a definire fantoccio.

Seppure minoritari questi uomini e queste donne sono inseriti in molti gangli del territorio e un’attivista di lungo corso come Malalai Joya può togliersi più d’un sassolino dalla scarpa parlando delle presidenziali.

Chi dopo l’espulsione dalla Loya Jirga la voleva morta, e ha attentato alla sua esistenza, ne ha solo accresciuto impegno e determinazione. Malalai nel pieno della maturità di politica e di donna prosegue il percorso di lotta e denuncia e non si fa sfuggire l’occasione per dire la sua sul quadro offerto dalla sfida presidenziale.

Un pensiero fatto circolare sul web con parole e immagini registrate perché nessuna delle pur numerose emittenti afghane è disposta a rischiare ritorsioni per ospitarla. Non c’è piazza o sala dove la sua vita sia sicura, dopo la scoperta due anni or sono d’un piano per ucciderla durante un intervento pubblico in un edificio pur controllato dalle proprie guardie del corpo.

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La CIA non sfrutterà più le campagne di vaccinazione per spiare

Redazione di Giornalettismo  – 20/05/2014 

CIA VACCINI 1 300x175La CIA ha promesso che non sfrutterà mai più le campagne d’immunizzazione per i suoi scopi, fosse pure dare la caccia ai più temibili terroristi. La notizia di questa attività ha provocato l’insorgere di violente ostilità alle vaccinazioni in diversi paesi del mondo.

LA CIA LI SPIA – L’idea aveva un senso, cercare Osama Bin Laden usando come investigatori le pattuglie di vaccinatori che percorrono città e villaggi tra Pakistan e Afghanistan, raccogliendo campioni di DNA per rintracciare non solo lui, ma anche la presenza di DNA parenti di quelli dei ricercati.

Tentativo andato a vuoto, il dottore che la CIA aveva arruolato per dare la caccia a Osama è stato condannato a 23 anni dalla giustizia pachistana. Tre anni fa l’espediente è diventato di pubblico dominio e come risultato i più talebani tra i talebani in giro per il mondo, dalla Nigeria a diverse zone dell’Asia, hanno cominciato a denunciare la presenza dei vaccinatori come quella di spie e a non volerli dalle loro parti.

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Ghaffar, faccia a faccia tivù coi warlords democratizzati

Enrico Campofreda – 20 maggio 2014 – Blog

Violenzasulledonne 300x200I volti seriosi e poi minacciosi degli esponenti del partito Hezb-i Islami di Gulbuddin Hekmatyar – uno dei più efferati signori della guerra afghani – presenti a una tavola rotonda organizzata dalla locale Khurdish Tv non gradivano affatto d’incrociare sguardo e parole di Selay Ghaffar.

Lei è presidente di Hawca (Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan) una struttura di sostegno per le donne afghane, e lì rappresentava l’Hambastagi Party. Il dibattito è stato registrato in lingua originale, privo di sottotitoli, ma dalla semplice analisi mimica, dall’intercalare degli interventi, dalla passione e dalla foga s’intuisce come il confronto sia stato a dir poco serrato.

Una breve nota a margine dell’ufficio informazione del partito della Solidarietà sottolinea che agli incalzanti riferimenti del passato sanguinario che ha caratterizzato i miliziani dell’Hezb-i Islami, alla denuncia di abusi e violenze che li contraddistingue offerti in diretta da Selay, la risposta è stata una sequela d’insulti. I concetti più gentili dicevano: “passi la notte con altri uomini e ora sei seduta a questa tavola rotonda”, e “sei una prostituta tajika o uzbeka” e ancora “stai promuovendo in Afghanistan prostituzione e omosessualità” fino all’intimidazione diretta “abbiamo ucciso persone a te vicine e presto ti ammazzeremo come loro”.

All’attivista non sono mancati argomenti e determinazione per contrastarli. Il tutto al cospetto d’un moderatore in giacca e cravatta che propone l’immagine della normalizzazione del Paese.

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L’Iran paga i rifugiati afghani 500$ al mese per combattere in Siria

Rawa News – FoxNews.com – 18 maggio 2014

Ufficiali hanno dichiarato al Wall Street Journal che ciò fa parte di una strategia di mandare soldati semplici di fanteria al fronte per ridurre le perdite di Hezbollah e membri delle Guardie.

L’Iran sta reclutando rifugiati afgani per combattere in Siria. offrendo 500$ ed il permesso di soggiorno in Iran  per aiutare a combattere le forze ribelli, così scrive il Wall Street Journal.

Dettagli del reclutamento da parte del corpo delle Guardie della Rivoluzione sono state postate questa settimana su un blog di rifugiati afgani che vivono in Iran e confermate al giornale da afgani e ufficiali occidentali.

“Gli viene dato tutto: dal salario al permesso di soggiorno” ha dichiarato un amministratore all’ufficio del Grande Ayatollah Mohaghegh Kabuli, un leader religioso afgano nella città santa di Qom.

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Badakhshan, un disastro nell’Afghanistan dimenticato

dal blog di enrico Campofreda, 14 maggio 2014

Badakhshan blog480 300x225Della duplice frana che ha seppellito vari villaggi del distretto di Argo in Badakhshan (provincia afghana di 900.000 abitanti, incastrata fra il Tajikistan a nord e il Pakistan a sud-est e confinante anche con un lembo di Cina) cominciano a interessarsi alcune Ong internazionali che inviano soccorsi, e addirittura il governo di Kabul.

Questo col presidente uscente Karzai promette aiuti alla popolazione, ma dopo dodici giorni dal disastro ben poco si muove. Accanto al solidale manipolo del Partito Hambastagi, di cui abbiamo dato notizia, sono le strutture di volontariato internazionale ad attuare i primi interventi.

Da un network che monitora il Paese apprendiamo che l’area interessata è a nove ore di auto dal capoluogo Fayzabad e, catastrofi a parte, sta subendo un rapido spopolamento: dati raccolti nel 2007 contavano 100.000 abitanti (90% uzbeki, 10% tajiki) ridottisi l’anno scorso a 76.000.

Il trasferimento è in buona parte locale, verso Argo e centri meno impervi, dove l’attività agricola può essere realizzata con minori difficoltà. Negli anni Novanta la produzione era incentrata sul papavero da oppio, e il partito Hezb-e Islami ne faceva una sua diretta area di controllo.

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PRESIDENZIALI: AL BALLOTTAGGIO IL 14 GIUGNO

PL – 15 maggio 2014 – Misna

frontafghanflagL’ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah, che al primo turno ha ottenuto il 45% dei voti, e l’economista della Banca Mondiale ed ex ministro delle Finanze, Asharf Ghani, forte del 31,6% delle preferenze, si sfideranno nel ballottaggio delle elezioni presidenziali che si terrà il 14 giugno. L’annuncio ufficiale dei risultati è stato dato oggi a Kabul da Yousuf Nuristani, presidente della Commissione elettorale indipendente (Iec).

Nelle elezioni del 5 aprile si sono recati alle urne 6.604.546 elettori, di cui il 64% uomini e il 36% donne. Nuristani ha collegato il ritardo nell’annuncio dei risultati a problemi legati alla fornitura di schede in 58 distretti elettorali mentre in 918 seggi elettorali i voti sono stati annullati. Il presidente della Commissione elettorale ha inoltre detto che circa 3000 operatori elettorali e altri funzionari del governo sarebbero stati coinvolti in brogli e, se trovati colpevoli, si avvierà il procedimento penale.

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