
The New York Times, April 18, 2011 - By ROD NORDLAND
KABUL, Afghanistan
È senza dubbio un processo delicato in un momento altrettanto critico. Funzionari afghani hanno espresso la preoccupazione che i negoziati possano affossare i colloqui di pace con i talebani, ora nelle fasi iniziali, perché i ribelli hanno insistito sul fatto che le forze straniere debbano lasciare il paese prima di futuri accordi. Il fatto che i colloqui non si siano interrotti indica la disponibilità a un compromesso sui tempi del ritiro - ma è difficile immaginare l'accettazione da parte dei talebani di una presenza duratura americana. Colloqui formali su un accordo a lungo termine sono iniziati lo scorso mese con Marc Grossman - il funzionario che ha sostituito Richard C. Holbrooke, il diplomatico morto a dicembre - come inviato dell'amministrazione Obama per l’Afghanistan e il Pakistan. Una delegazione ha visitato Kabul, sotto la direzione di Frank Ruggiero, un funzionario del Dipartimento di Stato che ha gestito Provincial Reconstruction Team di Kandahar fino all'anno scorso. La reazione regionale è stata immediata. Il ministro degli interni iraniano ha fatto una visita precipitosa a Kabul, seguito a breve dai consiglieri della sicurezza nazionale di India e Russia. I russi, in genere favorevoli al ruolo della NATO in Afghanistan, sono stati allarmati per la prospettiva di una presenza a lungo termine occidentale.
La situazione attuale in Afghanistan e le donne
Dopo circa dieci anni di presenza militare internazionale, è provato in modo irrefutabile che la guerra non è una soluzione ai conflitti che continuano ad avvelenare l'Afghanistan. Nonostante alcune precise garanzie per le donne inserite nella Costituzione, la lotta delle donne per i propri diritti è ancora ardua - e non è un compito facile.
A partire dal 2006, parallelamente al deterioramento della sicurezza in molte aree, hanno ricominciato a ripresentarsi vecchi fenomeni negativi, con il calo di iscrizioni nelle scuole femminili, specialmente nelle scuole superiori. Nel corso di tre anni, tra il 2004 e il 2007, il numero di impiegate donne è diminuito del 9,2 per cento. Le donne che lavorano nel settore sociale hanno ricominciato a sentirsi sempre più in pericolo nel raggiungere le aree remote delle province. E tuttavia, nonostante i rischi enormi, spesso continuano il loro lavoro - ma la crescente paura fa le sue vittime.
Nonostante il 27 per cento dei seggi parlamentari siano occupati da donne, il Parlamento ha approvato una controversa legge sull'amnistia, invocando l'impunità per tutti coloro che sono stati coinvolti in violazioni dei diritti umani e dei diritti delle donne in tempo di guerra. Inoltre, il Parlamento ha approvato la Legge shiita sullo stato personale, che assoggetta le donne sciite ai tradizionali controlli religiosi (legge che è stata poi rivista e corretta in alcune parti). E intenzionalmente non ha mai ammesso candidate donne per la posizione di ministro degli Affari Femminili.
PeacereporterPetrolio e gas, miniere e marmo, strade e aeroporti, energia e agricoltura. È ricco e variegato il menù del primo accordo quadro di cooperazione economica firmato martedì a Kabul tra governo italiano e governo afgano.
La delegazione commerciale guidata dal ministro per lo Sviluppo Economico, Paolo Romani, era composta, tra gli altri, da rappresentanti di Eni, Enel, Enea, Gruppo Trevi (perforazioni petrolifere), Gruppo Maffei (estrazioni minerarie), Iatt (pipeline sotterranee), Fantini (segatrici per marmo), Assomarmo, Margraf e Gaspari Menotti (estrazione del marmo) e AI Engineering (costruzioni).
Il protocollo d'intesa prevede che investimenti italiani nell'estrazione di petrolio (nel nord dell'Afghanistan ci sono giacimenti da 1,6 miliardi di barili, per un valore di 85 miliardi di euro), gas naturale (nella stessa zona vi sono riserve da 16 miliardi di metri quadri, per un valore di 39 miliardi di euro), risorse minerarie (oro, rame, ferro, carbone e il prezioso litio, forse presente nei laghi prosciugati della provincia di Herat) e pietre preziose (smeraldi e lapislazzuli).
Raccomandiamo la visione di questo video tratto dalla pagina dedicata all'Afghanistan nel sito di The Guardian.
Orzala Ashraf afferma: "È chiaro che nel processo di costruzione di una nazione la comunità internazionale merita di giocare un ruolo. Ma questo non significa che sia responsabilità della comunità internazionale costruire una nazione, costruire una identità nazionale o addirittura costruire uno Stato. Costruire una nazione, costuire una identità nazionale, scrivere la storia di un Paese o di una regione è responsabilità della gente che vive in quel Paese."
Le truppe americane e occidentali rimarranno in Afghanistan fino al 2014, data in cui le forze afgane prenderanno il controllo totale della sicurezza del paese: è questa la decisione finale presa alla conferenza internazionale tenutasi a Kabul lo scorso martedì 20 luglio.
L’enfasi posta sul 2014 sarebbe, secondo diverse opinioni, un tentativo per distogliere l’attenzione dalla precedente scadenza fissata dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, la quale prevedeva il ritiro delle truppe americane dal paese a partire dal 2011 e che per molti significava la resa ai talebani.
La nuova linea politica dimostra invece come questo ritiro dall’Afghanistan sarà graduale e verrà stabilito in base alla situazione nterritoriale, pertanto i termini di scadenza stabiliti sono da considerarsi puramente indicativi.
Tuttavia, è proprio questo il nocciolo della questione: l’attuale situazione del paese - che ha reso il ritiro delle truppe a partire dal 2011 alquanto improbabile visti gli obiettivi stabiliti - lascia intendere che anche il ritiro totale delle truppe dall’Afghanistan fissato per il 2014 è piuttosto irrealizzabile (a meno che un improvviso peggioramento della situazione non lo renda necessario, ovvero, nel caso di un avanzamento dei talebani che minaccerebbe così una sconfitta imminente).
Pertanto, la drammatica saga afghana è destinata a proseguire, al meno nel futuro più prossimo, e la missione della Nato potrebbe prolungarsi contro ogni logica nonostante la mancanza totale di risultati tangibili.
L’aspetto più sorprendente della recente conferenza di Kabul è stata l’enorme incongruenza tra la retorica del Segretario di stato americano Hilary Clinton e del Segretario generale della Nato Andres Fogh Rasmussen, e ciò che sta realmente accadendo sul terreno di guerra in Afghanistan.
In un articolo pubblicato il giorno successivo alla conferenza, Rasmussen ha definito l’incontro ‘un punto fondamentale’ nel processo che vedrà il popolo afgano nuovamente artefice del destino del proprio paese.
‘L’Afghanistan si sta finalmente muovendo nella direzione giusta’, ha dichiarato Rasmussen. ‘Probabilmente gli insorgenti stanno aspettando la nostra uscita di scena, noi invece resteremo fino a che il nostro lavoro non sarà terminato’.
All’uscita sulla carta stampata delle dichiarazioni di Rasmussen, era già ben noto a moltissimi osservatori internazionali che il 2009 è stato l’anno con il più alto numero di attacchi talebani degli ultimi otto anni e che il 2010 si prospetta ancora più sanguinolento e letale per le truppe della coalizione occidentale.
Se è vero che la maggior parte del territorio afgano è sotto il controllo dei talebani, dall’altro lato, le offensive militari della Nato - definite da Rasmussen ‘di grandissima importanza politica’ in quanto ‘accelerano il processo di marginalizzazione delle forze politiche e militari talebane,’ - si sono rivelate un fallimento: le truppe della coalizione occidentale e quelle dell’esercito afgano incontrano enormi difficoltà nel difendersi dai violenti contrattacchi talebani e in tutto questo, il governo afgano non è riuscito ad garantire alcun tipo di servizio al popolo ‘liberato’.
Molti degli obiettivi stabiliti alla conferenza di Kabul - tra i quali conferire al governo afgano ulteriori responsabilità amministrative in cambio di una maggiore trasparenza ed efficenza - erano già stati fissati in passato in diverse conferenze come quella svoltasi a Londra nel 2006 e a Parigi nel 2008. Tuttavia, con il passare degli anni, la situazione è senza dubbio peggiorata.
Peacereporter - 4 Aprile 2011
Kabul teme il contagio delle rivolte arabe: arresti e intimidazioni contro i promotori delle manifestazioni contro l'occupazione Usa e il governo Karzai. "Gli agenti dell'intelligence afgana ultimamente sono dappertutto perché ci sono voci che una protesta simile a quelle dei paesi arabi potrebbe essere organizzata in Afghanistan, anche presto, probabilmente entro fine aprile. Noi non crediamo che accadrà, ma gli ufficiali governativi hanno questa convinzione e associazioni come la nostra e Hambastagi sono sospettate di essere parte dell'organizzazione e quindi sottoposte a maggiore sorveglianza".
Potrebbe essere spiegata con questa dichiarazione giunta al Cisda, il Coordinamento italiano a sostegno delle donne afgane, la serie di atti intimidatori messa in atto nell'ultimo mese dalla polizia afghana ai danni di una serie di associazioni e attivisti afghani che operano a favore dei diritti umani. La denuncia è giunta proprio da uno dei maggiori movimenti democratici afgani impegnato nella lotta per l'emancipazione femminile, le cui sostenitrici sono costrette a una vita in clandestinità a causa dei loro aperti attacchi nei confronti del governo Karzai, definito un governo fantoccio imposto dagli Usa, corrotto fino al midollo e presieduto dai signori della guerra.
Ma quello che sembra avere infastidito maggiormente le forze governative è stata la manifestazione contro organizzata lo scorso 6 marzo a Kabul dal partito Hambastagi, l'unico partito democratico laico e antifondamentalista d'Afghanistan, che aveva raccolto nella capitale centinaia di militanti, soprattutto donne, al grido di "Morte all'America! Morte ai talebani!" e che erano state riprese dalle telecamere delle agenzie di stampa internazionali. La protesta era indirizzata in particolare contro la ventilata istituzione di basi permamenti americane in Afghanistan, attaccava il governo Karzai reo di "legittimare la colonizzazione del Paese" e inneggiava alla protesta dei paesi arabi percepita non solo come sollevazione contro l'autoritarismo dei dittatori, ma anche contro le basi americane nei loro territori e l'influenza israeliana nella regione.
DA HAWCA NEWS
Selay Ghaffar, direttrice esecutiva di HAWCA e attivista di rilievo per i diritti delle donne afghane, è stata ancora una volta la portavoce delle donne e dei bambini più vulnerabili durante la 55^ sessione della Commissione sulla Condizione delle Donne (CSW) tenutasi quest'anno a New York.
CSW è il principale organismo globale delle Nazioni Unite interamente rivolto ad esaminare lo stato di avanzamento delle donne. Il Movimento Internazionale per i Diritti delle Donne è stato lanciato 36 anni fa alla Conferenza Mondiale di Città del Messico, tenutasi in seguito a Nairobi, Copenhagen e Beijing allo scopo di sostenere i diritti delle donne e il loro progresso. L'attuazione delle Risoluzioni 1325, 1880 e 1888 sulla donne, la pace, la sicurezza e i diritti umani testimoniano l'impegno delle ONG e l'efficacia della collaborazione fra le ONG, i governi e le Nazioni Unite.
Il tema di quest'anno su “accesso e partecipazione delle donne e delle ragazze all'educazione, formazione, scienza e tecnologia, inclusa la promozione dell'accesso paritario all'impiego e ad un lavoro dignitoso” ha evidenziato la necessità di avere donne attivamente impegnate in questo processo. Durante la prima settimana della 55^ sessione del CSW, i membri dei vari stati hanno raggiunto l'accordo di accelerare l'attuazione degli impegni esistenti, inclusi quelli indicati nella Piattaforma d'Azione di Beijing.
AMY GOODMAN Ci parli della situazione oggi in Afghanistan, la serie di uccisioni di civili di cui gli Stati Uniti ha dovuto scusarsi - il responsabile, il generale David Petraeus, ha dovuto formulare le scuse per la prima volta un paio di settimane fa, soprattutto intorno alla uccisione di bambini. Che cosa sta succedendo?
MALALAI JOYA Sai, la nostra gente ora, è stufa di ascoltare le scuse della Casa Bianca, questi guerrafondai, e dei governi della NATO, e anche del regime fantoccio, mafioso e corrotto di Hamid Karzai. Vogliamo la fine di questa guerra brutale, disgustosa - questa guerra, quest'occupazione - il più presto possibile. Durante questi 10 anni, decine di migliaia di civili innocenti sono stati uccisi, la maggior parte dei quali donne, bambini e uomini innocenti. E anche loro, in questi nove anni della loro occupazione, hanno usato fosforo bianco, bombe a grappolo. Bombardano le nostre feste di matrimonio. Forse hai sentito del rapporto di Der Spiegel, che insultano anche i corpi senza vita del mio popolo; queste forze di occupazione sbefffeggiano i cadaveri. E il loro governo, quando uccidono civili innocenti, facendo stragi, pagano 2.000 dollari alla famiglia di ogni vittima. L'offerta di questi dollari sanguinosi significa che la vita degli afgani vale $ 2.000 per questi guerrafondai, mentre la maggior parte del tempo il mio popolo rifiuta questi soldi.
Purtroppo, quando Obama è entrato in carica, la sua prima notizia per il mio popolo è stato più conflitto, più guerra, perché dice "più truppe in Afghanistan". E il risultato di questo è stato più miserie, più stragi, più tragedie. E anche in confronto con l'amministrazione Bush, c'e' stato un aumento del 24 per cento di morti civili. E molte altre miserie e la violenza sono ancora in corso nel mio paese. E per l'ennesima volta, la recente relazione dimostra che oggi in Afghanistan, specialmente in questi nove anni, l'uccisione del mio popolo per loro è come uccidere gli uccelli. Ma, purtroppo, i media sempre scorrono le verità, e diminuiscono il numero di morti civili senza vergogna, chiamandoli ribelli, terroristi.
Per vedere le foto spiegel.de
di Matthias Gebauer e Hasnain Kazim
Le immagini sono ripugnanti. Un gruppo di canaglie dell’esercito americano in Afghanistan uccide civili innocenti e poi posa con i loro corpi. Lunedì Spiegel ha pubblicato alcune delle foto – e le forze USA hanno prontamente risposto con delle scuse. La NATO teme ancora che le reazioni in Afghanistan possano essere violente.
Gli Stati Uniti e la NATO sono preoccupati dalla possibilità di reazioni intense a seguito della pubblicazione di immagini che documentano le uccisioni perpetrate da soldati americani in Afghanistan. Le immagini sono apparse sull’ultima edizione de Die Spiegel che ha infiammato le edicole lunedì.
Il Segretario di Stato Hillary Clinton ha già contattato la sua controparte afghana per discutere della situazione. Anche il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Tom Donilon si è messo in contatto con le autorità di Kabul. Il caso minaccia di inasprire la già fragili relazioni tra USA e Afghanistan in un momento in cui i due paesi stanno negoziando per la stanziamento permanente di basi militari americane nel paese.
In una dichiarazione rilasciata dal Colonnello Thomas Collins, l’esercito americano, che sta preparando una corte marziale per processare 12 sospettati legati alle uccisioni, si è scusato per la sofferenza che le foto hanno causato. Le azioni rappresentate nelle foto, la dichiarazione spiega, “sono ripugnanti per noi come esseri umani e contrarie ai valori e agli standard americani.”
I sospetti perpetratori fanno parte di un gruppo di soldati americani accusati di svariate uccisioni. La corte marziale dovrebbe partire al più presto. Le foto, si legge nella dichiarazione dell’esercito, “sono in forte contrasto con la disciplina, la professionalità e il rispetto che hanno caratterizzato le performance dei nostri soldati negli ultimi 10 anni di intense operazioni.”
24 marzo 2011
L’Ambasciata degli Stati Uniti ha concesso oggi il visto all’attivista afghana per i diritti umani ed ex membro del parlamento Malalai Joya, poco più di una settimana dopo averglielo negato. A Malalai Joya, che ha sempre apertamente criticato la guerra in Afghanistan, era stato negato il visto d’ingresso negli USA per un tour promozionale del suo libro perché “clandestina” e “disoccupata”, nonostante fosse stata negli Stati Uniti ben quattro volte negli ultimi anni. A causa del diniego del visto, Joya ha dovuto annullare tutti gli incontri previsti a New York e Washington DC e sta ora recandosi a Boston per cercare di completare almeno il resto del tour previsto.
La co-direttrice di Afghan Women’s Mission Sonali Kolhatkar ha dichiarato: “Siamo felici che alla fine il governo abbia concesso a Malalai Joya l’ingresso nel paese, così gli Americani possono ascoltare tutto ciò che ha da dire sulla verità della guerra, e in particolare su tutto ciò che le donne afghane stanno subendo grazie a questa occupazione. Questa è una grandiosa risposta alla campagna lanciata dalla coalizione nazionale delle organizzazioni e di tutti gli individui che hanno lavorato per programmare tutti gli eventi e per farla arrivare negli Stati Uniti”.
Peacereporter - 31 marzo 2010
Afghanistan: nuove scioccanti immagini dei crimini di guerra commessi dai soldati Usa. Si moltiplicano le notizie di vittime civili dei raid aerei, soprattutto bambini.
Le nuove scioccanti immagini dei crimini di guerra commessi in Afghanistan dai sadici soldati americani del cosiddetto 'Kill Team', pubblicate dal magazine Rolling Stone, scuotono un'opinione pubblica mondiale ormai assuefatta agli orrori della guerra.
Le raccapriccianti foto dei civili uccisi e mutilati per gioco dal soldato Jeremy Morlock e dai suoi compagni, e i truculenti video di presunti talebani massacrati da mitra ed elicotteri al ritmo di musica heavy metal, sono solo la punta estrema di un iceberg fatto di massacri e crimini quotidiani commessi per errore, se non peggio.
Dall'Afghanistan continuano ad arrivare, puntualmente ignorate dai mass media, notizie di civili uccisi dalle forze d'occupazione Nato. Soprattutto bambini.
Come'è accaduto domenica scorsa, quando un bambino è rimasto gravemente ferito al petto da diverse pallottole sparate dalle truppe Nato australiane impegnate in un'operazione a Deh Rafshan, nella provincia di Uruzgan.
O, peggio, venerdì scorso, quando un elicottero americano ha bombardato un convoglio sospetto di auto a Nawzad, nella provincia di Helmand, uccidendo sette civili innocenti, tra cui tre bambini e due donne, e ferendo garvemente altri tre bambini.
Il 23 marzo altri tre civili, tra cui un bambino, sono stati uccisi 'per errore' in raid aereo della Nato nella provincia di Khost.
Altri due bambini, di 9 e 15 anni, sono stati uccisi dall'aviazione Usa il 14 marzo a Sawakai, nella provincia di Kunar: armati di vanghe, stavano riparando l'argine di un canale nel campo di famiglia; i piloti li hanno scambiati per talebani che piantavano ordigni esplosivi.
Una dinamica simile al massacro avvenuto, sempre a Kunar, il 20 febbraio, quando nove bambini che stavano raccogliendo legna nei boschi sono stati fatti letteralmente a pezzi dalle mitragliatrici di due elicotteri Usa.
Due giorni prima, in un villaggio della stessa zona, un bombardamento condotto da caccia F-15 americani aveva provocato la morte di sessantacinque civili, tra cui ventidue donne e quaranta bambini.
Enrico Piovesana
Peacereporter - 28 marzo 2011
Un bambino afgano di otto anni festeggiava il capodanno persiano con i suoi genitori quando un razzo è piombato in casa portandogli via una mano e un piede
Il Nawruz è la festa per il primo dell'anno, che nei calendario persiano cade il 21 di marzo, con l'arrivo della primavera. È un giorno particolare per tutti: in ospedale sono arrivate mandorle caramellate, uvetta secca e altre prelibatezze.
È arrivato anche il più classico dei feriti di guerra: un bambino, bellissimo, di otto anni.
Era in casa sua, a Grishk, vicino al padre che leggeva il Corano e la mamma che preparava il cibo. D'improvviso un oggetto è entrato a forte velocità proprio nella loro stanza ed è esploso.
Sono stati portati immediatamente nel nostro centro di primo soccorso e da lì, dopo essere stati medicati, trasportati in ambulanza al nostro centro chirurgico.
Shah Mohammed non ha più il piede destro, non ha più la mano sinistra, la destra è rotta e lacerata, ha ferite profonde ad entrambe le gambe, gli è stato asportato un testicolo, ha un sacchettino per fare i bisogni attaccato alla pancia e un occhio ancora gonfio a causa dell'esplosione. È stato operato immediatamente.
NATIONWIDE – 17 marzo
Gli Stati Uniti hanno negato il visto a Malalai Joya, acclamata attivista per i diritti delle donne ed ex membro del parlamento afghano. Malalai Joya, annoverata dalla rivista Time fra i 100 personaggi più influenti al mondo dell'anno 2010, ha in programma un tour di tre settimane negli USA per promuovere l'edizione aggiornata del suo libro “Una donna tra i signori della guerra” - titolo inglese - pubblicata da Scribner, casa editrice di Simon & Schuster (in Italiano: "Finché avrò voce" - Piemme Edizioni).
L'editore di Joya Alexis Gargagliano afferma: “Abbiamo avuto il privilegio di pubblicare gli scritti di Malalai Joya e il suo precedente tour promozionale del 2009 è stato molto apprezzato. Il diritto degli autori di viaggiare e promuovere il loro lavoro è fondamentale per la libertà d'espressione e lo scambio di idee ed opinioni”. La storia di Joya è stata tradotta in almeno dodici lingue e negli ultimi due anni ha viaggiato in molti paesi fra cui Australia, Regno Unito, Canada, Norvegia, Germania, Italia, Spagna, Portogallo, Francia e Olanda per far conoscere il suo libro.
Alcuni colleghi di Joya riportano che l'ambasciata statunitense le ha rifiutato il visto perché “disoccupata” e “clandestina”. A soli 27 anni, Joya è stata la donna più giovane eletta nel parlamento afghano nel 2005. Le sue dure critiche verso i signori della guerra e i fondamentalisti afghani le hanno causato almeno cinque tentativi di assassinio. “Il motivo per cui Joya vive clandestinamente è perché deve costantemente affrontare minacce di morte per aver avuto il coraggio di alzare la sua voce in difesa dei diritti delle donne. È vergognoso che il governo degli Stati Uniti le impedisca l'ingesso”, ha dichiarato Sonali Kolhatkar della Missione delle Donne Afghane (Afghan Women's Mission), un'organizzazione statunitense che ha ospitato Joya in passato ed è promotrice del tour previsto per quest'anno.
dal sito di Hambastagi
Nonostante i continui bombardamenti e i massacri perpetrati dalle forze militari statunitensi e dai Talebani e nonostante il numero sempre più elevato di vittime civili in tutto l'Afghanistan, il governo “fantoccio” afghano e alcuni intellettuali di matrice occidentale affermano che le basi militari degli USA sono una conquista enorme nonché la vera causa di prosperità per il paese.
La presenza del governo USA in Afghanistan, il cui crudele passato è risaputo, non solo non ha migliorato le condizioni del paese, ma ha incrementato corruzione, povertà, assassinii, coltivazione di oppio, traffico di droga, sostegno a criminali, continui tentativi di corrompere giovani afghani di talento con salari elevatissimi e borse di studio. Inoltre, alcuni membri della CIA sono diventati portavoce del presidente e di vari ministri. Questo e altro ha dovuto affrontare il paese nell'ultima decade.
Coloro che traggono vantaggio dalla presenza del governo USA e si schierano con gli invasori, non saranno mai in grado di staccarsi da questo circolo vizioso e rimarranno al servizio degli Stati Uniti e dei paesi a loro alleati per proteggere loro stessi, la loro famiglia e la loro leggendaria ricchezza, accumulata attraverso traffici di droga e cariche governative.
Kabul - marzo 2011
Peacereporter - 9 marzo
Intervista al portavoce del partito laico e progressista Hambastagi (Solidarietà), che domenica ha portato in piazza a Kabul centinaia di persone per manifestare contro Usa e Nato.
Domenica si è svolta nel centro di Kabul una grande manifestazione (video) in risposta al massacro di nove bambini, avvenuto il 1° marzo in un raid aereo Usa nella provincia di Kunar. Centinaia di manifestanti hanno sfilato al grido di "Fuori gli americani! Fuori i talebani!" con cartelli e manifesti che mostravano i volti insanguinati di civili feriti e uccisa negli attacchi Nato.
A organizzare la protesta sono stati gli attivisti di Hambastagi (Solidarietà), partito politico afgano di sinistra, laico e progressista fondato da esponenti ex-maoisti nel 2004 ma in rapida ascesa di popolarità, soprattutto tra le donne (tra le sue sostenitrici figurano Malalai Joya e Habiba Sorabi).
Il volantino distribuito da Hambastagi durante il corteo è un durissimo atto d'accusa contro l'occupazione straniera e contro la volontà americana di stabilire basi permanenti in Afghanistan:
È sempre più evidente che il ritiro delle forze Nato entro il 2014 rappresenta una bugia - si afferma - perché ogni singolo afgano sa benissimo che gli Stati Uniti hanno piani di permanenza a lungo termine nel nostro territorio. Il governo fantoccio di Karzai cerca di convincere le masse che la presenza delle forze straniere sia necessaria giustificando così gli accordi per nuove basi permanenti, ma in pratica legittimando la colonizzazione del paese. Le 737 basi militari Usa in 130 paesi del mondo - prosegue il testo del partito afgano della Solidarietà - non hanno portato prosperità o felicità da nessuna parte, incluso l'Afghanistan. Per noi quella statunitense si sta rivelando un'occupazione peggiore, più atroce, di quella dell'Unione Sovietica".
Said Mahmoud (foto) è il giovane portavoce di Hambastagi.
Il principi fondamentali del vostro partito sono libertà, giustizia sociale e sviluppo economico: un programma non da poco nel disgregato panorama politico del paese...
"Sembra un'utopia, ma dobbiamo credere nella possibilità di un cambiamento. Noi puntiamo al coinvolgimento delle persone in manifestazioni come quella odierna per far capire che in Afghanistan la resistenza pacifica non è scomparsa. Oggi sono presenti molti familiari delle vittime degli attacchi da parte delle truppe Nato e dei Talebani che non colpiscono obiettivi militari, ma la povera gente, i bambini. La gente è stanca, non ne può più".
Come mai Hambastagi non si è presentato all'ultima consultazione elettorale?
"Finché durerà l'occupazione, finché al governo ci saranno i signori della guerra, finché non si avranno garanzie di voto trasparente, senza brogli e forzature, non ci presenteremo alle elezioni. E' una scelta precisa. Molti degli eletti in parlamento sono signori della guerra o soggetti legati ai loro clan, criminali dediti ai traffici di eroina, armi, persone. Mancano esponenti della parte democratica del paese, non ci sono rappresentanti di quella società che può rispondere a richieste dei diritti individuali e collettivi delle persone perché a causa dei brogli a molti di loro è stata impedita l'elezione".
Voi potete contare su circa 30mila aderenti in tutto il paese: come avviene il tesseramento, come potete convincere le persone, che vengono nelle stesso tempo allettate dalle proposte dei Talebani che offrono lavoro e denaro in cambio del reclutamento?
"Noi non possiamo e non vogliamo certo offrire denaro agli iscritti, semmai offriamo corsi di alfabetizzazione e di diritti umani, specie nelle province più remote, accettiamo in cambio quello che viene, offerte in denaro, un uovo, anche niente. Abbiamo alcuni sponsor, anche stranieri, il nostro obiettivo sarebbe quello di creare una specie di network di organismi democratici nel mondo".
L'8 marzo delle donne afghane in lotta per i loro diritti.
lettera 43 - 8 marzo
Marzo è ancora mese di gelo in Afghanistan: le scuole sono chiuse per la pausa invernale, le strade sono un fiume di fango impercorribile, la neve imbianca la corolla di montagne intorno alla capitale, ma cade copiosa anche in città.
Ciò non ha impedito alla macchina organizzativa delle celebrazioni per la giornata internazionale della donna di mettersi in moto: da un mese l’Opawc (Organization Promoting Afghan Women Capabilities), Ong che si occupa di formazione delle donne, ha attivato tutti i suoi canali per coinvolgere il più alto numero di persone in un evento che non vuole essere solo celebrativo, ma un vero e proprio giorno di resistenza femminile contro ogni forma di oppressione (guarda la photogallery della manifestazione delle donne afghane).
«L'8 marzo non è un tè tra amiche»
Latifa, attivista dell’Opawc, Ong in difesa delle donne afghane (M.N).
«Il governo ha sempre festeggiato l’8 marzo come se fosse un tè da bere in compagnia e poi ognuno a casa propria», ha spiegato con una similitudine efficace a Lettera43.it la direttrice di Opawc, Latifa Ahmady, 29 anni, una laurea in Letteratura inglese, due figli, un passato da profuga in Pakistan come milioni di afghani, durante l’occupazione sovietica, «cioè promettendo in questa giornata grandi concessioni alle donne alle donne: diritti, uguaglianza, parità di accesso all’istruzione, alla sanità, per poi rimangiarsi tutto a partire dal giorno successivo».
«In questo modo la festa della donna aveva perso il suo significato», ha continuato, «invece noi, e prima di noi Rawa, a partire dal 2002, l’abbiamo trasformata nella festa dell’orgoglio femminile e del rispetto che pretendiamo quotidianamente nei confronti della donna in famiglia e in ogni ambito della vita sociale».
L'ASSOCIAZIONE FANTASMA. Rawa sta per Revolutionary Association of Women of Afghanistan, un' associazione laica e democratica di donne afghane, fondata nel 1977 da Meena, poi assassinata l’anno successivo, che ha ceduto il testimone dell’organizzazione della manifestazione a Opawc nel 2009 a causa degli atti di violenza subiti da parte dei fondamentalisti. Le sue attiviste, per lo più molto giovani, operano ora nell’ombra a favore delle donne in tutto il Paese, ma sono costrette a una vita nell’anonimato, a cambiare continuamente luogo di residenza, a celare completamente il loro volto negli incontri pubblici.
Nel 2010, 80 donne si sono date fuoco.
Peacereporter 8 marzo
Per le donne afgane non è una festa, ma l'occasione per lottare contro la loro condizione, ancora drammatica dopo dieci anni di occupazione
Nella sede di Opawc (Organizatione per la promozione delle capacità delle fonne afgane) a Kabul fervono i preparativi per la Giornata internazionale della donna. Si fanno le ultime telefonate, partono le ultime mail per l'evento di oggi pomeriggio, la grande manifestazione che si terrà nella grande sala conferenze dell'Hotel Hamsafar, nel centro della capitale.
Opawc è una Ong che si occupa di progetti di formazione per le donne, soprattutto nel settore dell'artigianato e dell'alfabetizzazione. Fu creata da Malalai Joya (la coraggiosa ragazza che a soli 25 anni, nel 2003, prese la parola al parlamento afgano e osò denunciare i signori della guerra e la schiavitù delle donne) inizialmente in Pakistan, a favore delle donne afgane nei campi profughi, ed ora è attiva in tutto l'Afghanistan. Da due anni si occupa dell'organizzazione della festa dell'8 marzo, non certo come mero momento celebrativo, ma come un vero e proprio giorno di resistenza femminile contro ogni forma di oppressione.
Il Giornale di Vicenza - 7 marzo
8 MARZO. Anche una vicentina nella delegazione del Cisda, Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane. L'87% delle donne ha subìto violenza. L'associazione valuterà anche i progetti già avviati su scuole, orfanatrofi e centri culturali.
L'8 marzo per le donne afghane è molto più di un giorno celebrativo, è un giorno di resistenza femminile contro ogni forma di oppressione. In Afghanistan, secondo l'ultimo report di Human Right Watch, l'87% delle donne lamenta di avere subito violenza, metà delle quali violenza sessuale; il 60% dei matrimoni è forzato e il 57% avviene con ragazze al di sotto dei 16 anni.
L'autoimmolazione è uno dei metodi più usati dalle donne per sfuggire alla violenza e alla brutalità della loro vita: nello scorso anno, nel solo ospedale di Herat, sono arrivate 80 donne che avevano tentato il suicidio dandosi fuoco.
Dal 2002 l'associazione Rawa (Revolutionary Association of Women of Afghanistan), la più antica organizzazione di donne in Afghanistan, fondata nel 1977 da Meena, poi assassinata nel 1978, ha iniziato a celebrare la Giornata Internazionale della Donna riuscendo a portare in piazza a Kabul centinaia di persone denunciando la totale negazione dei diritti delle donne e indicando la via della liberazione.
L'escalation di violenze da parte dei fondamentalisti nei confronti delle attiviste, impose a Rawa di cancellare la celebrazione nel 2009, ma a partire dallo scorso anno il testimone è stato preso da un altro gruppo di donne coraggiose, l'Opawc, che si occupa di formazione professionale e alfabetizzazione, sempre al femminile.
Nel 2010 all'evento pubblico dell'8 marzo presero parte 1.600 persone provenienti da ogni settore sociale e professionale della capitale e anche molte rappresentanti di organizzazioni internazionali. Accettando l'invito dell'Opawc, il Cisda (Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane) prenderà parte, con una piccola delegazione composta da giornalisti, sindacalisti e attivisti dei diritti umani alla celebrazione della Giornata Internazionale della donna martedì prossimo a Kabul .
«Il vostro sostegno ci dà la forza e l'energia per continuare a lottare contro tutte le difficoltà, gli abusi e le violenze contro le donne nella nostra società - ha scritto Latifa, la direttrice di Opawc, ringraziando per aver accettato l'invito - e la nostra voce comune deve alzarsi per denunciare gli abusi ovunque avvengano, siano essi commessi in Europa come in Iran, in Palestina, in Kurdistan, in Sudan, Nepal o India».
Lo scopo della missione organizzata dal Cisda sarà anche quello di verificare lo stato di alcuni progetti avviati in questi anni in collaborazione con associazioni democratiche afghane: la Commissione sulla verità e giustizia, progetto finanziato dalla Commissione Europea, che si propone di formare localmente un gruppo di indagine con lo scopo di raccogliere testimonianze sui massacri perpetrati dal '92 al '96 dai signori della guerra; il progetto Mae sul centro culturale a Kabul, nel quale sono organizzati corsi di alfabetizzazione (non dimentichiamo che la disparità di genere tocca anche l'ambito educativo: la maggioranza delle bambine non frequenta ancora le scuole primarie, poche arrivano all'istruzione secondaria e pochissime proseguono gli studi), di inglese, di informatica e dove sta nascendo una fornita biblioteca; infine gli orfanatrofi, otto, sparsi nel paese, che sono delle case famiglia con una coppia di genitori che ospitano gli orfani per un totale di 600 tra ragazzi e ragazze.
Milena Nebbia