di Enrico Campofreda, 20 giugno 2013 - Contropiano
La sdegnosa alzata di spalle di mister Karzai al cospetto del padrino americano e l’annuncio del suo forfeit al battesimo ufficiale dei colloqui coi talebani a Doha è solo l’ultimo atto d’una querelle identitaria operata dal presidente afghano.
Un presidente-fantoccio creato da Bush jr e consolidato da Obama quale modello d’un Afghanistan democratico che giustificava l’occupazione delle truppe Nato a guida statunitense.
Truppe detestate dalla popolazione, anche la meno politicizzata, per la morte che seminano da oltre un decennio. Morte diretta, tramite bombardamenti che cacciano talebani ma colpiscono un gran numero di civili, e quella indiretta che offre impunità ai killer delle province: i Signori della guerra finiti nel governo Karzai. I talebani sono da tempo interlocutori oltre che nemici dell’Occidente, dal dicembre 2010 lo sono per il Dipartimento di Stato statunitense e per Karzai che ora fa i capricci.
Da Holbrooke che voleva i contatti, a Petraeus che li glissava, a Romney totalmente contrario, al pragmatico Bergman che afferma di non aspettarsi nulla a breve termine, tutta la politica americana sa che nella palude afghana non ci si può risollevare né col successo né con l’onore. Per andarsene con gran parte dei soldati e mercenari di terra e restare con reparti scelti, più i manovratori di droni bisogna accordarsi coi Taliban.
Lo sa anche Karzai a cui viene chiesto di stare al gioco, inglobando i turbanti nel governo (se loro vorranno) e comunque steccando con loro i proventi degli appalti che aziende globalizzate, per ora soprattutto cinesi, iraniane, pakistane e ovviamente statunitensi, ricevono grazie ai buoni servigi del Capo di Stato e al voto della Loya Jirga.