Blog di Enrico Campofreda - 7 Ottobre 2014
Mariam (come abitudine il nome è di fantasia per ragioni di sicurezza) è una delle centinaia di militanti della Revolutionary Association Women of Afghanistan attiva nel proprio Paese. È presente in questi giorni in Italia dove terrà incontri pubblici in alcune città (Bologna, Milano, Venezia, Vicenza) per illustrare la pianificazione dei programmi dell’organizzazione verso la condizione femminile. L’abbiamo incontrata a Roma discutendo, fra l’altro, della nuova fase interna rispetto alle mutazioni geopolitiche.
Mariam cosa s’aspetta la popolazione afghana dal nuovo corso della presidenza Ghani?
Le elezioni cosiddette democratiche sono state una farsa, il nostro popolo non s’aspetta nulla.
Nonostante la palese impasse elettorale, con la reciproca accusa di brogli fra i candidati finali, la comunità internazionale definisce questo percorso democratico. E’ ipocrisia o un piano preordinato?
Di sicuro non siamo di fronte a una situazione democratica. Il Paese è sotto occupazione della Nato che interviene con contingenti di 47 nazioni (fra cui l’Italia, ndr), queste elezioni hanno rappresentato un insieme di giochi messi in atto dagli Stati Uniti. Il volere dei cittadini non è mai rientrato negli intenti del precedente regime fantoccio (Karzai, ndr).
Gli antichi signori della guerra restano in primo piano, nelle Istituzioni (Dostum è vicepresidente) o nelle alleanze di vertice (Sherzai, Sayyaf sono vicini al Capo Esecutivo Abdullah). Ultimamente s’è verificato un cospicuo riarmo dei privati. Tutto ciò preoccupa?
Coi fondamentalisti al potere il rischio della guerra civile è sempre presente. Nonostante i nuovi vertici lancino proclami di unità nazionale i fondamentalisti non hanno mai appoggiato l’unione delle varie etnìe afghane. Al contrario puntano a sostenere il proprio gruppo etnico e alimentare i contrasti fra fazioni. Avviene tuttora, i loro interessi sono altri.
La distribuzione di armi da parte dei candidati ai sostenitori dimostra la totale instabilità del percorso politico. Ora hanno raggiunto un accordo, ma solo due mesi fa erano pronti a spararsi addosso. Ci sono le prove di consistenti furti di armi in dotazione all’esercito, episodi per nulla sporadici e marginali. Non iniziative di singoli o bande, ma di organismi paramilitari. Tutto ciò si nota nelle aree rurali dove circolano moltissime armi, che trasformano diatribe personali in omicidi, come nel caso del povero Safa (il giovane militante di Hambastagi freddato da un prepotente locale, ndr).