dal blog di Enrico Campofreda - 22 Agosto 2014
Nonostante accordi e aggiustamenti fra le parti i clan di Abdullah e Ghani (e tutta la pletora degli alleati con turbante e senza ma certamente con le armi) assieme alla Commissione Elettorale Indipendente, benedetta da Nazioni Unite e da Kerry, continuano a patteggiare il difficilmente patteggiabile: la divisione delle poltrone. Un potere che dovrebbe seguire la comparsata delle verifiche d’un numero imprecisato di urne elettorali. Le ultime cifre ne indicano 14.516, magari fra qualche giorno quel riferimento aumenterà di nuovo.
Si va avanti in tal modo da fine giugno e in condizioni normali si potrebbe pensare a un ‘work in progress’, non è così. Quello che procede a Kabul è un negoziato che ai sorrisi e alle strette di mano dei due politici intenti a decidere come spartirsi la guida della Repubblica Islamica e dividere la torta degli aiuti internazionali (compresi quelli della cooperazione che spesso prendono le vie dei locali ministeri), contrappone le tensioni dei loro sostenitori. Non solo fra gli attivisti di strada, ma fra gli incravattati funzionari che constatano come i voti sui database non corrispondono affatto a ciò che compare sulle schede rivisitate.
Un peccato comune a entrambi i candidati, perché le presidenziali andate in scena di falso hanno l’intero meccanismo, basato su brogli e voto di scambio. Martedì scorso qualche parola di troppo fra gli schieramenti ha prodotto una mega rissa all’interno della sede della commissione, non sono spuntati i kalashnikov ma coltelli e forbici sì, e con essi diversi addetti si sono bucati le carni finendo in sei all’ospedale.
dal sito di Saajs, (Associazione Sociale per la Giustizia in Afghanistan), 19 Agosto 2014
Novant’anni fa, il 19 Agosto 1919, gli agguerriti combattenti per la liberazione del nostro paese hanno issato la bandiera della libertà e dell’indipendenza sacrificando le loro vite nella lotta contro le forze occupanti inglesi.
Il re Amanullah e i suoi alleati, Mahmood Tarzi, Ghulam Mohmmad Khan Charkhi, Wali Khan Darwazi, Sarwar Joya, Abdul Rahman Lodin, insieme a molti altri valorosi combattenti avevano giurato di non arrendersi al potente nemico e continuare invece la loro lotta per l’indipendenza.
Dinnanzi al nostro popolo unito, le truppe inglesi ormai decimate avevano capito che il loro governo non sarebbe durato a lungo, e così si arresero, accettando la sconfitta e concedendo l’indipendenza all’Afghanistan. Ovviamente, non prima di aver vagliato ogni possibile alternativa che garantisse continuità alla loro sanguinolenta occupazione.
La determinazione del governo Amani nel resistere alle forze inglesi, e le riforme culturali, politiche ed economiche di questo governo che avevano posto le basi per un futuro migliore per il paese, spaventarono i nemici interni e stranieri.
Coloro che non accettavano l’idea di un Afghanistan progressista tentarono di ostacolare il processo di riforme del governo Amani creando disparità tra gli innocenti, il tutto con la stretta collaborazione degli inglesi. Inizialmente, Habibullah fu chiamato a destabilizzare il governo e spianare la strada al noto Nadir, il principale braccio destro degli inglesi, che mirava al trono.
Nadir rese vani tutti i progressi ottenuti fino a quel momento e instaurò un regime dispotico. Il nemico approfittò della situazione per rivendicare la propria sconfitta ed eliminare i principali sostenitori progressisti e patriottici di Amanullah, arrestandoli o uccidendoli. L’obiettivo degli inglesi era quello di intimidire il nostro popolo e mettere a tacere la resistenza. Il regime dispotico di Nadir e della famiglia durò per diversi decenni e soppresse con violenza ogni tentativo di ribellione da parte del popolo.
di Cristiana Cella - Cisda Firenze
Da tre anni il progetto Vite Preziose sostiene la vita e le speranze di 28 donne afghane, vittime della violenza maschile fondamentalista. Da tre anni, donne e uomini italiani , con un contributo mensile di 50 o 25 euro, o con una donazione ‘una tantum’, sono al loro fianco nelle difficili battaglie quotidiane e sulla rischiosa strada del loro riscatto. Siamo fieri dei nostri sponsor, che con generosità ed entusiasmo continuano a seguirci, , e delle piccole/grandi conquiste che abbiamo ottenuto.
Il progetto portato avanti insieme alla Ong di donne afghane Hawca (Humanitarian Assistence of women and Children of Afghanistan), e al Cisda, ha trovato grande spazio e sostegno sulle pagine e sul sito dell’Unità, dove è stato lanciato nel 2011. Oggi, dopo la, speriamo provvisoria, chiusura, il nostro progetto sarà ancora più presente su Osservatorio Afghanistan, raccogliendo tutti gli aggiornamenti e le notizie che ci arrivano da Kabul.
In questi tre anni, la vita e le condizioni della popolazione civile afghana non hanno fatto che peggiorare. La guerra dimenticata continua il suo devastante corso. Miseria, droga, vittime di bombardamenti e attentati sono aumentate ogni anno. Mentre il fondamentalismo dilaga e si rafforza sempre di più, nelle famiglie, nel Governo, nelle Istituzioni e nella giustizia, le sofferenze delle donne sono tragicamente cresciute.
E il coraggioso lavoro di Hawca diventa sempre più difficile e pericoloso. Proprio per questo è importante che il nostro sostegno, questo piccolo ponte di solidarietà, continui con forza il suo percorso, aiutando, se possibile, un numero sempre maggiore di madri di famiglia, bambine, ragazze, vedove e affiancando le battaglie politiche di Hawca e delle altre organizzazioni democratiche che sosteniamo da anni. Perché ognuna di loro e l’Afghanistan stesso, possano avere un futuro.
Ecco le storie aggiornate di alcune delle donne che partecipano al progetto. Per ulteriori informazioni, notizie o dubbi, scrivete a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
SAFIA - LA STORIA
Ho 32 anni vivo alla periferia di Kabul. Sono nata quando i russi sono entrati nel mio paese. La pace non so cosa sia, è un tempo lontano, nei ricordi di mia madre. Sembra una favola, finta. Era il ’96 quando mio marito è morto. Da quattro anni i capi mujahiddin si sbranavano come cani rabbiosi intorno a un osso, Kabul. Si moriva anche solo per andare a cercare un po’ d’acqua. Vivevamo come topi, chiusi, terrorizzati, nelle nostre case. Allora sono arrivati i talebani, dicendo, come dicono tutti prima di sparare, di portare la pace.
Nel mio quartiere, eravamo tagiki, lì si era installato Massud per attaccare i talebani. I combattimenti erano feroci. Massud ha perso, è scappato nella sua roccaforte del Panshir. Lui e i suoi sono scappati. Ma noi siamo rimasti, da soli, a subire la vendetta talebana. Molte persone innocenti sono state massacrate, bastava la nostra faccia, bastava che venissimo dal Panshir. Mio marito è stata una di queste vittime. Ero giovane allora, e avevo già tre figli, molto piccoli. Per i bambini vivere era una scommessa. Il mio figlio maschio si è ammalto. Tubercolosi.
Due anni fa è morto. Finché c’era lui, vivere con la famiglia di mio cognato era sopportabile, mi difendeva. Ma da due anni, io e le mie figlie siamo prigioniere di questa famiglia. Mio cognato non vuole che vadano a scuola, né che io lavori fuori casa. Mia cognata mi grida tutto il giorno: ’Fino a quando dobbiamo darvi da mangiare?’ Minaccia continuamente di buttarci fuori casa. Quando mio cognato torna dal lavoro, ci accusa di qualsiasi sciocchezza e lui ci picchia, ogni sera. La mia speranza sono le mie figlie. Che possano avere un’altra vita, che non debbano sentirsi vecchie a 30 anni. Se avessi un po’ di soldi miei, potrei mandarle di nuovo a scuola, potrei lasciare questa casa, dove non ci vogliono, e cercare un piccolo lavoro. Trovare almeno la pace dentro.
GLI SVILUPPI
L’aiuto di Paola, che è al suo fianco da un anno e mezzo, comincia a cambiare la sua vita e a riportare un po’ di speranza. Con il sostegno che riceve, si libera dal ricatto economico della famiglia e può provvedere alle necessità sue e delle figlie. Non deve più subire gli insulti e le violenze che accompagnavano ogni sua richiesta, anche solo di sopravvivenza. Come sempre qui, la via della liberazione per le donne passa dalla scuola e Safia vuole fermamente che le sue figlie riprendano a studiare, per costruirsi una vita diversa dalla sua.
Con l’aiuto della sua sponsor e delle assistenti di Hawca, riescono a ottenere questo prezioso traguardo. Ma i guai non sono finiti. Il cognato si mette in mente di sposare la figlia maggiore, ancora bambina e la ossessiona con le sue pressioni. Safia lotta con le unghie e coi denti per proteggerla. Come spesso succede, il sostegno economico diventa un’arma di difesa.
‘Se le ragazze non vanno a scuola, il sostegno finirà’ così dicono ai loro uomini molte delle nostre amiche. E gli uomini si convincono. Il cognato molla la presa ma propone il figlio. Vuole assolutamente che la bambina sposi il cugino.
La ragazzina, che ha già imparato a combattere, rifiuta e grazie ad Hawca che l’appoggia, riesce a sventare anche il pericolo di questo matrimonio forzato. Continua a studiare con ottimi voti. Safia riesce anche a lavorare fuori casa adesso, come donna delle pulizie , e guadagna qualcosa. Il sogno è quello di andare a vivere da sola con le figlie, una cosa difficilissima in Afghanistan, ma ora che il percorso è cominciato e non è più sola , è convinta che ce la farà. Lasciare l’inferno di quella casa sarà la sua vittoria più grande.
Per questo cerca un lavoro migliore, per poter mettere da parte il necessario. La sua amica italiana, che ringrazia ogni giorno, è la sua principale alleata in questa difficile battaglia.
[PL] - 13 agosto 2014 - Misna
Ashraf Ghani, uno dei due candidati in competizione per diventare presidente dell’Afghanistan dal mese prossimo, ha detto che il termine per concludere la verifica dei voti elettorali si sta avvicinando rapidamente e che l’accordo mediato dagli Stati Uniti fra i due rivali, per formare un governo di unità, non significa che il vincitore dovrà pienamente condividere il potere con il perdente.
Nel corso di un incontro con i giornalisti stranieri nella sua residenza a Kabul, Ghani ha detto che il vincitore nominerà il perdente amministratore “per decreto” per servire “a discrezione del presidente”.
L’aspirante capo di Stato spera la la verifica dei voti sia fatta in tempo per permettere al nuovo presidente di partecipare a un summit della Nato ai primi di settembre. Nessuna data di inaugurazione è stata fissata a causa di “incertezze tecniche”.
Ghani ha anche aggiunto che sia lui che Abdullah saranno presenti al vertice, considerato un momento chiave per ottenere nuovi aiuti esteri per l’economia afghana in profonda recessione.
Il Fatto Quotidiano - 11 agosto 2014
"Migliaia di afgani sono stati uccisi o feriti dall'esercito statunitense dall'inizio dell'invasione, ma le vittime e le loro famiglie hanno poche possibilità di avere un risarcimento. Il sistema della giustizia militare - Richard Bennett, direttore della ong per l’Asia Pacifico - quasi sempre fallisce nel ritenere i suoi soldati responsabili per uccisioni illegittime e altri abusi"
“Nessuna giustizia per migliaia di civili uccisi nelle operazioni di Usa e Nato” in Afghanistan. È Amnesty international che con il rapporto “Left in the dark” punta il dito contro militari americani e della Nato responsabili in oltre un decennio di conflitto con i talebani ed Al Qaeda della morte di innocenti senza che quasi siano stati processati e puniti.
“Sono stati esaminati numerosi casi di attacchi aerei e raid notturni – si legge nel report dell’organizzazione umanitaria che da decenni si batte per il rispetto della dignità e dei diritti della persona umana – Episodi di apparenti crimini di guerra non sono stati investigati e i responsabili sono rimasti impuniti”. Richard Bennett, direttore della ong per l’Asia Pacifico, ha sottolineato che “nessuno dei dieci casi specifici su cui ci siamo concentrati nel periodo 2009-2013 – e che hanno comportato la morte di 140 civili, fra cui donne incinte e 50 bambini – è stato oggetto di azione giudiziaria da parte della Procura militare americana”. Per Bennet: “Migliaia di afgani sono stati uccisi o feriti dall’esercito statunitense dall’inizio dell’invasione, ma le vittime e le loro famiglie hanno poche possibilità di avere un risarcimento. Il sistema della giustizia militare quasi sempre fallisce nel ritenere i suoi soldati responsabili per uccisioni illegittime e altri abusi”
Diario Afghanistan - 5 agosto 2014 - dal Sito di Emergency
A luglio, nel nostro ospedale di Kabul abbiamo ricoverato 326 pazienti per ferite di guerra: più di dieci al giorno.
È il numero più alto mai registrato in un nostro ospedale in Afghanistan dal 1999. Oltre ai 326 ricoverati, a luglio a Kabul abbiamo curato in Pronto soccorso altre 602 persone.
La situazione sta deteriorando di giorno in giorno, i nostri ospedali sono pieni e le nostre ambulanze continuano a fare avanti e indietro dai Posti di primo soccorso sparsi per il Paese trasportando feriti.
Agosto è appena iniziato e non promette bene: solo oggi aLash kar-gah abbiamo ricevuto una decina di feriti.
Redazione Contropiano - 6 agosto 2014
Il portavoce del dipartimento della Difesa di Washington, John Kirby, ha confermato la morte di un generale di divisione degli Stati Uniti in un'accademia militare alle porte di Kabul, in Afghanistan. A sparare sarebbe stato ieri mattina un membro delle forze di sicurezza afgane. Nell'attacco sarebbero rimasti feriti anche 15 militari occupanti mentre l'assalitore sarebbe stato ucciso.
È la prima volta che l'esercito perde un ufficiale così alto in grado in Afghanistan. La vittima di ieri è il primo generale ucciso - scrive il New York Times - su un fronte estero dai tempi della guerra del Vietnam. Non sono stati aggiunti altri dettagli sull'attentato.
Keith Perry - The Telegraph, 31 luglio 2014 - Rawa News
È stato reso pubblico che il costo della ricostruzione afghana ha superato il totale dei soldi spesi per far ripartire l'Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Una relazione del governo statunitense rivela livelli di corruzione e spreco senza precedenti, questi hanno fatto si che il costo superasse il totale speso per il Piano Marshall. I britannici e le altre truppe occidentali si stanno preparando a lasciare il paese alla fine dell'anno.
I contribuenti americani hanno versato 615 miliardi di sterline dal 2002 ed i britannici 890 milioni per lo sviluppo di centinaia di progetti. L'operazione militare è costata all'America altri 296 miliardi di sterline ed ai britannici 22 milioni, così ha riportato il Times.
Comunque, i controllori di conti americani dicono che la maggioranza dei progetti che sono stati analizzati peccavano di "scarsa pianificazione, impostazione scadente, sorveglianza inadeguata".
Il costo del Piano Marshall equivarrebbe oggi a 61 miliardi di sterline, dice la relazione che è stata presentata questa settimana al Congresso americano.
(Vignetta: Nayer)
Il professor Michael Clarke, direttore del centro di ricerca Royal United Service Institute, ha detto: "Il mondo guarderà all'Afghanistan e Iraq come esempi di una scarsa elaborazione di pensiero e pianificazione."
Il programma di assistenza economica iniziata dal Generale George Marshall, segretario di stato americano, generò decenni di prosperità nell'Europa occidentale.
Per contrasto, circa 13 anni dopo che i Talebani sono stati rovesciati, gli Stati Uniti e altri donatori continuano a contribuire al 60% del bilancio nazionale afghano e sono impegnati a sottoscrivere un ulteriore "decennio di trasformazione" nel paese.
"Larghe aree del paese saranno presto precluse al personale americano per la chiusura delle basi ed il ritiro delle truppe", dice la relazione del'Ispettore Generale per la ricostruzione in Afghanistan.
La relazione aggiunge che confidare che gli aiuti economici finiscano nelle mani giuste diminuirà drammaticamente mano a mano che la NATO ritirerà le truppe.
Secondo una stima fatta l'ottobre scorso circa l'80% del paese è già fuori dall'area di controllo degli osservatori americani.
RAWANews - 24 luglio 2014, di Alice K. Ross, VICE News.
Un contadino di nome Miya Jan, ha detto al “Los Angeles Times” che il pomeriggio del 7 settembre dello scorso anno, a Watapur, nella provincia afghana di Kunar, ha sentito un ronzio sopra la testa, ha alzato lo sguardo e visto un drone; pochi minuti dopo ha sentito un’esplosione.
Raggiunto il luogo dell’esplosione ha visto un veicolo distrutto e ha capito che apparteneva a suo cugino. Tra i corpi, ha riconosciuto suo fratello con la sua famiglia. “C’erano brandelli dei corpi dei miei familiari sparsi per tutta la strada”, ha dichiarato. “Ho preso quei brandelli dalla strada e dal camion e li ho avvolti in un pezzo di carta per seppellirli”.
Ci sono state dichiarazioni e contro-dichiarazioni all’indomani dell’attacco. I funzionari afghani hanno detto che nel veicolo c’erano almeno otto civili, ma forse addirittura 11. Invece l’International Security Assistance Force (ISAF) ha riferito che l’attacco aveva ucciso 10 “forze nemiche”. Un portavoce dell’ISAF ha detto al “New York Times” che avrebbero fatto un’indagine.
Anche la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha indagato. Dopo aver parlato con più di 50 testimoni, ha concluso che, quando è stato colpito, il veicolo trasportava sei “ribelli”, insieme a 11 civili, tra cui quattro donne e quattro bambini. Una bambina di 4 anni è stata gravemente ferita.
Di fronte a questa affermazione dell’UNAMA, l’ISAF ha inizialmente “negato la possibilità che ci fossero vittime civili”. In seguito a ulteriori pressioni, l’ISAF ha confermato la morte di una donna e di un bambino, e “non ha escluso la possibilità che anche un’altra donna avesse perso la vita”.
Un portavoce ISAF ci ha riferito che sono state prese precauzioni per evitare di uccidere civili nell’attacco. “ISAF ha identificato un singolo bersaglio in un veicolo e lo ha seguito in una zona lontana da villaggi abitati e, nonostante un attento controllo, l’ISAF non era al corrente che ci fossero almeno tre civili nel veicolo colpito.”
“Sebbene la missione dell’ISAF abbia colpito gli insorti, purtroppo l’attacco ha provocato tre vittime civili.”
Abbiamo potuto prendere visione della relazione interna sulle vittime provocate dall’ISAF risalente al settembre 2013: nonostante UNAMA abbia segnalato la morte di 10 civili la relazione dichiara che, nell’incidente, sono state registrate solo tre vittime civili. Non è stata riconosciuta la morte degli altri civili e questo fa svanire la possibilità di inserire ulteriori morti nell’anonimo foglio di calcolo.
Abbiamo ricevuto da Mahbooba di AFCECO il messaggio seguente che chiede aiuto per Fahim che versa in condizioni critiche.
Aiuto per Fahim
Cari amici,
Scrivo questa lettera profondamente addolorata per la condizione di salute di un bambino del nostro orfanotrofio a Kabul che ora è in ospedale. Fahim è un ragazzo di 11 anni che vive nell'orfanotrofio di Sitara ha avuto un ictus cerebrale 10 giorni fa ed è stato in terapia intensiva per molti giorni. Ora, è uscito dalla terapia intensiva e mostra segni di ripresa, ma è ancora in condizioni molto critiche Ha un forte mal di testa e febbre alta.
L'ospedale dove è ricoverato non dispone di mezzi adeguati, anche per i più di 100 bambini che si trovano su piccoli letti nei corridoi dell'ospedale con quasi nessuna cura. Abbiamo deciso di portare domenica mattina Fahim in Pakistan per farlo curare meglio. Prevediamo che la spesa per le cure mediche in Pakistan saranno molto altre che ci potrebbe mettere in difficoltà ad affrontarle. Pertanto, cerchiamo il vostro aiuto per salvare la vita di questo bambino. Qualsiasi aiuto sarebbe molto apprezzato.
l padre di Fahim è stato ucciso dai talebani, prima che lui nascesse e sua madre vedova per guadagnarsi da vivere ha vissuto dei momenti difficili. La povera vedova è sopravvissuta in qualche modo poi ha ottenuto un lavoro in AFCECO. Khala Seema, la madre di Fahim ora è governante all'orfanotrofio di Sitara in realtà è una madre per gli 80 bambini in quel orfanotrofio. Fahim soffre anche di diabete e prende l'insulina costantemente, ha una sorella, Sara, che vive nell'orfanotrofio di Mehan.
Non esitate a scrivermi se volete sapere di più su Fahim e su come aiutarlo. Ecco alcune della visita che che ho fatto con i bambini a in ospedale.
Grazie in anticipo per il vostro aiuto
Mahbooba
Chi volesse aiutare AFCECO e Fahim può inviare una donazione sul conto del CISDA - COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNE AFGHANE Onlus
presso la BANCA POPOLARE ETICA – Agenzia Via Melzo, 34 – Milano
IBAN: IT64U0501801600000000113666
inserndo come casuale "Aiuto per Fahim"
Reset - 31 luglio 2014, di Raffaella Angelino e Ilaria Romano.
Aspettare un presidente, 8 milioni di schede al vaglio (Ilaria Romano).
In Afghanistan si continuano a passare in rassegna, una scheda dopo l’altra, i voti del ballottaggio del 14 giugno. Un’operazione complicata, che vede impegnati osservatori internazionali delle Nazioni Unite e le squadre dei due candidati alla presidenza, Abdullah Abdullah, ex ministro degli Esteri ed ex sfidante di Karzai che rinunciò al ballottaggio nel 2009, e Ashraf Ghani, ministro delle Finanze nel governo uscente e responsabile del processo di transizione che oggi preoccupa particolarmente.
Il 5 aprile Abdullah era quasi riuscito a passare al primo turno, e comunque con il suo 45% aveva staccato Ghani di tredici punti percentuali. Al secondo turno però la situazione è completamente cambiata e lo sfidante, stando ai risultati parziali secondo l’Afghanistan’s Independent Election Commission, ha ottenuto il 56,44%. Le accuse di brogli sono state immediate. Abdullah ha parlato di corruzione dei funzionari elettorali e ha accusato Ghani di aver vinto con almeno due milioni di schede false, e un’affluenza “sospetta” alle urne, più alta che al primo turno.
Così otto milioni di schede sono finite sotto indagine, a partire dal 17 luglio, giorno in cui sono cominciate le verifiche a seguito di un accordo raggiunto con la mediazione del segretario di stato Usa, John Kerry. Da allora sono state analizzate solo 22 mila schede, circa il 4,5% del totale. Numeri che rendono l’idea di quale sia la mole di lavoro ancora tutta da affrontare, soprattutto se per ogni singola preferenza espressa si può aprire un dibattito di legittimità fra le squadre di esperti delle due parti in causa, dato che nessuno ha stabilito preliminarmente dei criteri univoci per dichiarare valido o meno ogni voto.
Come ha raccontato il corrispondente del New York Times Mattew Rosenberg, la scritta Insh’allah accanto al nome del candidato ha aperto un dibattito sull’opportunità di dichiarare nullo quel voto. E tutto questo deve essere moltiplicato per otto milioni per avere un’idea di quali potranno essere i tempi di verifica, sempre che non si giunga ad un compromesso politico.
Se Abdullah riconoscesse la vittoria a Ghani potrebbe negoziare un ruolo nel nuovo esecutivo, e d’altra parte, in base a quanto definito con gli Stati Uniti, la soluzione dovrebbe essere un governo di coalizione che includa entrambe le parti. Già nel 2009 aveva chiesto un ballottaggio equo con Karzai, tacciando la Commissione elettorale di brogli al primo turno, e poi si era di fatto sfilato dalla competizione lasciando da solo il presidente uscente e riconfermandolo come l’unico eleggibile rimasto in lizza.
Nel frattempo resta in stallo anche il futuro della presenza internazionale nel paese. Karzai ha rifiutato di firmare un accordo con Washington per il “dopo 2014”, ma il suo successore potrebbe non avere ancora un nome quando ai primi di settembre i paesi Nato coinvolti in Isaf dovrebbero riunirsi per discutere la fine della missione.
Ad Ovest della missione: gli italiani di Isaf (Raffaella Angelino, Herat)
Lo stallo politico ha contribuito non poco alla difficile gestione della sicurezza all’interno del paese, proprio nel momento di massimo rischio di attacchi da parte della cosiddetta “insurgency”, ideologizzata e non. Il paese si trova in piena “fighting season”, il periodo estivo durante il quale si concentra l’azione offensiva, solo in parte fiaccata dal mese di ramadan (ramazan in Afghanistan). Nel settore Ovest del paese, in particolare, che a livello Isaf-Nato si trova sotto il comando militare italiano, gli episodi di violenza direttamente legati al processo elettorale sono stati abbastanza circoscritti e le forze di sicurezza afghane hanno avuto una maggiore capacità di controllo del territorio rispetto a quanto è accaduto (e accade) nelle zone più “calde”, a est e a sud del paese.
RAWANews - 29 luglio 2014, di Gulabuddin Sukhanwar - Khaama Press.
Quest'anno, gli afghani stanno soffrendo più che mai, con meno opportunità di lavoro, e la paura per la propria incolumità a causa di attacchi quotidiani, kamikaze e conflitti continui.
Tradizionalmente, dopo un mese di digiuno conosciuto come il mese sacro del Ramadan, la comunità musulmana celebra i giorni della EID.
Normalmente i giorni della EID, sono dedicati alla visita ai familiari, parenti e amici per condividere la felicità e il perdono, dimenticando ogni tristezza e conflitti.
Per la preparazione della EID le persone si fanno nuovi vestiti per se e soprattutto per i loro figli, preparano cibi tradizionali della festività (frutta secca e fresca, ecc.).
Ma quest'anno, come lo scorso anno, come faranno gli afghani poveri a festeggiare?
Possiamo avere una vera festa data la nostra attuale situazione economica e politica?
Purtroppo, durante il mese di Ramadan, il prezzo dei generi alimentari, vestiti e di altre cose essenziali diventa costoso e rende la vita difficile per le persone che vivono sotto la soglia di povertà. Secondo il rapporto della Banca Mondiale per il 2013, il 36% della popolazione dell'Afghanistan si trova in questa situazione.
Quest'anno, gli afghani stanno soffrendo più che mai, con meno opportunità di lavoro, e la paura per la propria incolumità a causa di attacchi quotidiani, kamikaze e conflitti continui.
Durante le ultime settimane del Ramadan, il paese ha subito pesanti attacchi in diverse regioni uccidendo più di un centinaio di persone; gruppi di insorti hanno ucciso 14 civili, tra cui una coppia di sposi perché appartenevano all'etnia Hazara - sciita.
RAWANews - 19 luglio 2014, Shuaib Tanha Shukran e Hamed Kohistani, Gruppo Killid.
Un’indagine del Killid Group svela la presenza di un’incredibile corruzione nei controlli doganali delle province dell’ovest, con cifre che variano dal 30 all’80%. Sono stati sottratti milioni di dollari e un lavoro alla dogana viene venduto a un prezzo che varia dai 10.000 ai 100.000 dollari.
Mohammad Taher Anbari, il capo dell’anticorruzione nelle regioni dell’ovest, ha riferito che l’anno scorso 12 ufficiali doganali a Herat, Farah e Nimroz sono stati arrestati con l’accusa di intascare tangenti.
Quattro di questi, a Farah, sono stati presi con le mani nel sacco mentre accettavano oltre 2 milioni di afghani (l’equivalente di 34.700 dollari) pagati come tangente per 5 camion pieni di merce tassati solo per una cifra pari al 50% del dovuto. Anbari sostiene che gli ufficiali doganali corrotti intascano una cifra pari a quella che viene raccolta dalla frontiera e pensa che il quantitativo di denaro che viene passato sotto banco potrebbe arrivare a 40 milioni di afghani (694.000 dollari) al giorno. I funzionari dell’intelligence sostengono che la corruzione a Farah e a Nimroz è aumentata. Il generale Abdul Samad, ex capo del direttorato della sicurezza nazionale di Nimroz, calcola che, nelle due province, l’80% degli ufficiali doganali sia corrotto. Farah ha guadagnato la reputazione del dipartimento più corrotto di tutto l’ovest.
Secondo Samad, le radici della corruzione sono penetrate negli uffici governativi e giudiziari ma i funzionari dell’itelligence non sono riusciti a dimostrare le loro accuse.
Afghanistan: Sguardi e analisi di Claudio Bertolotti - 28 luglio 2014
Afghanistan: i numeri dell’impegno Nato post-2014 e la conclusione del processo elettorale
Il 25 giugno, i ministri della Difesa dei paesi componenti la Nato, unitamente agli altri alleati non-Nato partecipanti alla missione Isaf, si sono incontrati con il vice ministro della difesa afghano, Ershad Ahmadi, per definire i tempi e le necessarie attività di coordinamento per il futuro – e non problematico, anche sul piano formale – schieramento sul suolo afghano della nuova missione dell’Alleanza atlantica.
A conferma di quanto previsto oltre un anno fa su «Osservatorio Strategico», è stato deciso che l’ammontare delle truppe straniere che andranno a costituire la nuova missione Nato “Resolute Support Mission”,sarà di circa 12.000 unità; il loro ruolo sarà di “train, advise e assist” a favore delle forze di sicurezza afghane. Del totale, 8.900 saranno statunitensi e le restanti ripartite tra i paesi partecipanti alla missione: l’Italia confermerà la propria leadership nella parte ovest del paese.
Chi sarà il successore di Hamid Karzai?
Sabato 14 giugno si è svolto il secondo turno elettorale per la presidenza dell’Afghanistan: finisce così l’epoca di Hamid Karzai.
Nel complesso, l’ultimo appuntamento elettorale ha visto una partecipazione superiore a quella registrata nel 2009: circa il 50 % di elettori in più, di questi il 36 % donne. Un dato importante da leggere come segnale di fiducia in contrapposizione all’alto livello di conflittualità socio-politica.
Abdullah contro Ghani
Zalmai Rassoul, candidato sponsorizzato da Karzai, non ha ottenuto il successo elettorale sperato accontentandosi dell’11,5 % delle preferenze. Ma il suo ruolo ha influito sugli equilibri elettorali dei due candidati rimasti in corsa: Abdullah Abdullah (ex ministro degli Esteri) con il 45 % delle preferenze e forte dell’endorsement di Rassoul, e Ashraf Ghani Ahmadzai (ex ministro delle Finanze) fermo al 31,6 %.
Aljazeera.com - Bethany Matta 17 luglio 2014
I violenti attacchi in Afghanistan causano un aumento delle vittime civili in particolare dei bambini e impediscono l'accesso alle cure mediche.
Mohammad Sabir stava camminando vicino ad una clinica nella provincia di Parwan nell'Afghanistan orientale, la mattina dell'8 giugno, quando una violenta esplosione ha devastato la zona
Sabir e suo figlio Mohammad Taous di 10 mesi, che teneva per mano, è morto con quattro studenti che si erano fermati a guardare le forze Afgane e della NATO che erano accampate davanti alla clinica per indagare su un razzo sparato nella zona la mattina precedente.
"Stavo andando a lavorare in quel momento," ha detto il dottor Abdul Basir, che lavora presso la clinica. "Ero a circa 40 metri quando ho sentito l'esplosione e poi ho visto una grande nuvola di fumo nel cielo."
Quest'anno, in tutto l'Afghanistan, gli attacchi che hanno portato alla mutilazione e l'uccisione di bambini sono aumentati.
Da gennaio a giugno, in media alla settimana 40 bambini sono stati uccisi o feriti, secondo l'UN Assistance Mission in Afghanistan's (UNAMA) nella relazione sulle vittime civili in Afghanistan. Con un aumento del 34 per cento dei bambini vittime rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Il numero totale di vittime civili complessive durante questo periodo è stato superiore del 24 per cento.
Il Fatto Quotidiano - Redazione - 28 luglio 2014
Perse le tracce del 43% delle forniture inviate alle forze di sicurezza afghane, per un valore di 626 milioni di dollari. Secondo il Washington Times, i sistemi che dovrebbero mantenere aggiornato l’inventario contengono una quantità impressionante di errori. Si teme che gli arsenali siano finite sul mercato nero e quindi nelle mani dei insorti.
Il Pentagono ha perso le tracce di oltre il 40 per cento delle armi da fuoco fornite alla forze di sicurezza afghane per un valore di 626 milioni di dollari. Sono queste le conclusioni di un rapporto dell’Ispettorato generale per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar). Secondo il documento, pubblicato sul Washington Times, i due sistemi informativi che dovrebbero mantenere aggiornato l’inventario di tutte le armi Usa inviate in Afghanistan contengono una quantità impressionante di errori.
Il Sigar è la principale autorità di sorveglianza del governo americano sulla ricostruzione afghana. Il Congresso creò l’ufficio distaccato per supervisionare sulla gestione delle modalità e dei fondi dedicati alla ricostruzione. Tra le operazioni portate avanti dal Sigar, ispezioni e indagini per promuovere l’efficienza dei programmi statunitensi nel Paese, oltre a prevenire le frodi sull’utilizzo dei soldi dei contribuenti afghani.
Samsara Route - 17 luglio - 2013.
Gloria Geretto inizia a collaborare con il CISDA (Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane) nel 2010, dopo avere incontrato, tramite la medesima associazione, la portavoce dell’ Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane, nata nel 1977 come organizzazione socio-politica democratica, laica e anti-fondamentalista.
La denuncia dei crimini commessi dai signori della guerra, il racconto della forza straordinaria di queste donne che lottano per opporsi alla violenza e per rivendicare i propri diritti, sono gli elementi che la spingono a partecipare.
Con l’obiettivo di descriverne le principali attività, chiediamo a Gloria di parlarci di CISDA, l‘osservatorio sull’Afghanistan, per non dimenticare una realtà che, sebbene possa apparire lontana, ci mostra concretamente uno dei nodi chiave del nostro tempo: per tutelare i diritti umani non è sufficiente creare garanzie giuridiche, ma è necessaria la formazione e l’impegno di una coscienza civile che si imponga per pretenderne il rispetto.
Come opera CISDA? Quali attività svolge nella realtà italiana ed internazionale? Quali problematiche affronta ogni giorno?
Il CISDA, che ha sede a Milano ma è attivo in tutto il territorio italiano, promuove azioni di carattere politico-sociale a livello nazionale e internazionale, attraverso una vasta rete di associazioni contrarie alla guerra, ad ogni forma di fondamentalismo, che si occupano di tutela dei diritti civili. Il coordinamento lavora in partnership con alcune associazioni afghane nell’ambito della solidarietà sociale, dell’educazione e della tutela dei diritti delle donne. Raccoglie fondi destinati interamente a progetti rivolti alle donne e bambini in Afghanistan e Pakistan, tra questi il finanziamento a scuole, orfanotrofi e rifugi per donne vittime di violenza domestica in Afghanistan e Pakistan.
In Italia il Cisda organizza incontri politici fra la società civile afghana e le varie istituzioni italiane; conferenze e tour politici con rappresentanti delle associazioni afghane con le quali collabora, tra le quali RAWA, per far conoscere nel nostro paese la difficile situazione in Afghanistan e le attività di queste organizzazioni che danno voce a chi non ne ha. In ambito politico, il CISDA sostiene inoltre attivamente le giovani voci democratiche come il Partito Democratico Afghano Hambastagi, la deputata democratica afghana Malalai Joya – più volte ospite del CISDA in Italia per una serie di incontri pubblici e politici – e l’Associazione afghana dei richiedenti giustizia (SAAJS) che chiedono a nome delle migliaia di vittime dei crimini di guerra commessi negli ultimi trent’anni, che i colpevoli di queste atrocità vengano processati dinnanzi ad una Corte internazionale competente.
Quali sono le dimensioni della violenza sulle donne nella realtà Afghana?
Visto dall’Italia, con l’handicap della nostra sommaria informazione, sembra quasi che sia una condizione irrimediabile e senza tempo, conseguenza di una cultura estremamente radicata e poco sensibile alle spinte di cambiamento, è così?
A differenza di quanto i media nel nostro Paese lasciano ad intendere, la condizione delle donne in Afghanistan non è affatto migliorata negli ultimi dodici anni di occupazione, o “Missione di pace Isaf” come è stata definita: solo una minima parte delle donne afghane, principalmente residenti nelle grandi città, ha ottenuto qualche diritto; in realtà la situazione nelle provincie rurali più povere del Paese è sempre più critica. La liberazione delle donne afghane non è stata che il pretesto per invadere il Paese e proseguire così interessi strategici geo-politici molto più urgenti sull’agenda politica delle forze occupanti dei diritti delle donne.
di Cristiana Cella (Cisda Firenze), 23 luglio 2014 - L'Unità
Il progetto Vite Preziose ha compiuto tre anni, cambiando, con il sostegno mensile dei lettori, la vita di 28 donne afghane, vittime della violenza maschile fondamentalista. L’Unità è stata ed è, in questo lungo tempo di battaglie, un ponte di solidarietà straordinario. Sono orgogliosa della qualità umana dei lettori del giornale su cui scrivo.
Persone che fanno molto, con semplicità e affetto, inventandosi sempre nuove strategie per aiutare chi vive ogni giorno in condizioni insostenibili. Persone che ci ringraziano per aver dato loro la possibilità di entrare nella vita di donne lontane, sì, ma che vivono in un paese nel quale i nostri soldati, le nostre armi e i nostri soldi, stanno stabilmente da 13 anni. Un paese, quindi, che dovrebbe riguardarci da vicino. Sono quei civili afghani di cui nessuno parla e che vivono sulla loro pelle le devastazioni della guerra, dell’occupazione e del fondamentalismo misogino sempre più dilagante.
Quello che conta soprattutto, per i nostri sponsor, è la possibilità di cambiare le cose, di essere il diretto motore della trasformazione, verso una vita di dignità. E, inoltre, l’opportunità di stare al fianco delle coraggiose donne della ONG Hawca (Humanitarian Assistence of women and Children of Afghanistan), sostenendone il difficile lavoro quotidiano, sempre più rischioso. ‘La sicurezza , anche a Kabul, è molto critica- ci raccontano- Ogni giorno vediamo e sentiamo le esplosioni dei continui attentati.’
L’ultimo, nella provincia di Paktika, ha fatto 90 morti in un mercato. Mentre si dovrebbero ricontare più di 8000 schede elettorali, la lotta tra i due candidati alla presidenza è sempre più dura e rischia di trascinare il paese sull’orlo di un baratro. Le vittime civili continuano a salire, seminando incertezza e paura intorno alla ‘transizione democratica’, tanto decantata dall’Occidente.
Tra difficoltà sempre più grandi, il nostro piccolo cammino di solidarietà continua la sua strada. Qui di seguito, aggiornate dalle notizie che arrivano da Kabul, alcune delle storie di donne e bambine che, tra conquiste e ostacoli, grazie a questo prezioso sostegno, stanno provando a vivere di nuovo. La lunga guerra dentro la guerra, quella delle donne contro la violenza, la miseria, la droga e la sopraffazione continua, è sempre più dura. Le necessità delle donne che fanno parte del progetto e di quelle che si rivolgono, oggi, ad Hawca, sono sempre più pressanti.
Chi volesse partecipare e diventare parte di questa comunità solidale, può scrivere una mail a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Riceverà tutte le informazioni che desidera.
BASERA
La storia di questa ragazzina è stata una delle prime a uscire sul giornale. Difficile anche da raccontare.Basera, a 14 anni, è violentata da un amico del padre. Non dice niente ai suoi per paura di essere picchiata o uccisa dal padre. In Afghanistan, la colpa e la vergona dello stupro ricadono sulla vittima, il colpevole viene raramente punito. Ma Basera è incinta e, a un a certo punto, non può più nascondere la gravidanza, già avanzata.
Madre e fratello la fanno abortire nella stalla, con un coltello da cucina. Rischia di morire prima che il padre si decida a portarla in ospedale. Le avvocate di Hawca riescono a fare arrestare lo stupratore. Con molta probabilità, resterà poco in prigione, in Afghanistan funziona così, ma è già qualcosa. Rimane due anni nella ‘casa protetta’, mentre madre e fratello subisco anche loro una condanna.
L’aiuto di Ciro e Michela le permette di curarsi e di seguire la scuola. Con il lungo e paziente lavoro di Hawca, la famiglia capisce il male che le ha fatto. Ora Basera ha accettato di tornare a vivere con loro, sotto lo stretto controllo delle assistenti sociali di Hawca. La sua vita continua a migliorare. I problemi fisici sono ormai dietro le spalle ma deve essere ancora seguita dallo psicologo per il trauma subito. È cambiata, è felice della sua vita, è una ragazza allegra, ha ritrovato se stessa. Segue la scuola con profitto e, oltre a questo, cuce vestiti per le persone del suo quartiere, sogna di aprire un negozio. E’ sempre più brava ed è fermamente decisa a diventare una grande stilista. Pensa ogni giorno ai suoi sponsor e prega per il loro successo.
NELOFAR
Nelofar è vedova con quattro figli e, come moltissime altre donne nella sua condizione, è costretta a vivere nella casa del cognato, un uomo brutale e violento. Le impedisce di lavorare. Se lo farà, la caccerà di casa e non rivedrà più i suoi figli. Il ricatto la imprigiona nell’incubo delle continue violenze del cognato. I figli non vanno a scuola ma a mendicare, l’unico ‘lavoro’ concesso. Il figlio maggiore impara presto il comportamento dello zio.
Si droga e diventa violento anche con la madre. L’aiuto di Laura, Stefania, Martin e Emma, si rivela subito fondamentale. Il denaro che riceve ogni mese spezza la dipendenza dal cognato e le dà la forza di reagire. Ora Nelofar è libera, vive con i figli per conto suo, a casa di parenti. I ragazzi hanno ripreso la scuola con successo e lei ha trovato un buon lavoro come donna delle pulizie in una famiglia.
Golam Azrat, il figlio maggiore, è stato curato in un centro di recupero, ha smesso completamente con la droga e le violenze e segue con profitto un corso d’inglese. Il sostegno economico e psicologico continua a nutrire la fiducia necessaria a organizzare un futuro contando sulle proprie forze.
22 Luglio 2014 – Documento del Solidarity Party of Afghanistan
per vedere le foto della manifestazione clicca qui
In Afghanistan e in Palestina, il sangue degli innocenti scorre come un fiume in piena.
Ogni giorno assistiamo ad atrocità indescrivibili. Senza alcun dubbio, ogni catastrofe di natura criminale nel mondo vede la firma di cannibali neo-colonialisti intenti a fare i loro sporchi interessi attraverso guerre e saccheggi. E in tutto ciò, il mondo cosiddetto ‘libero’ e ‘democratico’ rimane a guardare in silenzio le atrocità compiute da talebani e sionisti, fornendo loro armamenti e aiuti finanziari.
Da molti anni, la ‘Gaza’ Afghana e la Gaza palestinese - accomunate dallo stesso tragico destino - sono vittime delle continue cospirazioni delle potenze occidentali. Per questo ci rivolgiamo a tutti i popoli del mondo, affinché prendano consapevolezza di questo scempio e si mobilitino per fermare l’avanzata del fascismo e dei regimi criminali che stanno disseminando terrore e distruzione nel mondo - prima che sia troppo tardi.
I massacri avvenuti di recente nel distretto di Orgun, avvengono in un momento critico, in cui i burocrati più corrotti del nostro paese stanno cercando di accapparrarsi posizioni di prestigio nel futuro governo mentre la sicurezza del popolo afghano viene messa ancora una volta in secondo piano. Allo stesso tempo, i criminali che siedono in parlamento - così come tutti gli altri criminali del resto - stanno approfittando della situazione catastrofica in cui desta il nostro paese per assicurarsi privilegi nel nuovo parlamento e un ruolo chiave nel futuro governo.
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