Enrico Campofreda - Blog - 30 marzo 2020
Ha viaggiato da Occidente il coronavirus che s’è affacciato in Afghanistan. Come dappertutto nel mondo ha viaggiato con gli uomini, soprattutto lavoratori migranti che da metà marzo hanno attraversato il confine in direzione di Herat rientrando dall’Iran.
Anch’essi avevano perso lavoro per la progressiva copiosa serrata di tante attività rurali di raccolta di frutta e ortaggi, di facchinaggio nei grandi centri di smistamento merci e nei bazar. Alla frontiera, che ora è stata chiusa, il flusso crescente è diventato una marea.
Ammette il governatore della provincia di Herat, che il non numeroso personale sanitario di controllo, riusciva a mala pena a misurare la temperatura al 10% dei cittadini che rientravano. Il trasloco di per sé poteva essere fonte di contagio: i bus erano zeppi, così come le camere prese in affitto negli spostamenti di ritorno per un viaggio che, verso Kabul o ancora più a est a Jalalabad dura due-tre-quattro giorni.
Sono state giornate di enorme calca e promiscuità, e ora che la dogana è stata chiusa c’è chi attraversa una frontiera porosa con propri mezzi, finanche a piedi e soprattutto senza controlli sanitari. Il bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità stima poco più d’un centinaio di casi, ma non è una statistica è solo un numero che rileva gli episodi eclatanti.
Come altre situazioni critiche di Paesi mediorientali le carenze strutturali non consentono di arginare una pandemia, e se da una parte un certo isolamento delle persone è imposto da ragioni d’incolumità per la presenza di attentati da parte dell’Isil, la coabitazione nelle povere case delle città può infiammare eventuali focolai di chi porta il virus da fuori. Per ora l’epicentro del Covid-19 è Herat, che conta un milione e mezzo di abitanti stabili e dove la situazione della sicurezza è più calma che altrove. Fra l’altro quattro militari italiani del contingente Nato di stanza in città risultano positivi. Proprio quel che s’è visto nei giorni scorsi con gruppi di persone a contatto di gomito nelle moschee, nelle strade, nei parchi è l’esatto contrario d’un comportamento di prevenzione e contenimento epidemico.