Enrico Campofreda dal suo Blog 13 ottobre 2021
Mentre il G20 a trazione Mario Draghi cerca nelle Nazioni Unite un anello per tenere aperto il canale con l’Afghanistan talebano, vuol trattare col suo governo senza riconoscerlo, elargendo una mancetta da un miliardo di euro di provenienza Ue, il ministro degli Esteri di Kabul - che coi rappresentanti europei e americani s’è incontrato a Doha - decuplica l’importo. Amir Khan Muttaqi ha riproposto l’azzeramento delle sanzioni che da due mesi bloccano 9.5 miliardi di dollari. Solo liberando quella cifra il Paese, soffocato da mancanza di liquidità, inizierebbe a respirare. Il nodo scorsoio è posto direttamente alla gola dei dipendenti dell’amministrazione statale, rimasti senza stipendio, ma senza denaro liquido nessuno spende e l’intera malandata economia nazionale resta asfittica, in primo luogo nelle città e specie per gli approvvigionamenti di prima necessità, naan compreso. Così più realistica che pietistica appare la dichiarazione del turbante con funzione di rapporti esterni quando afferma che indebolire l’attuale governo afghano non è strategicamente utile a nessuno, soprattutto per far fronte alle due emergenze indissolubilmente legate alla strozzatura economica: sicurezza interna e flussi migratori. La prima rientra nella grande richiesta statunitense ai taliban sin dalla firma dell’accordo qatarino: impedire il radicamento in loco di radicalismi fondamentalisti, oggi targati non più Qaeda bensì Isis. Una presenza che gli studenti coranici si sono serbati in seno e che facendo leva su spaccature e dissidenze è diventata una coriacea concorrenza jihadista in terra afghana. Accanto alla geostrategia militare la questione mette in fibrillazione anche la geostrategia finanziaria, quella cui guardano gli investitori d’ogni risma che sotto i precedenti governi filoccidentali facevano affari, principalmente coi prodotti del sottosuolo. Nel settore i cinesi sono in prima fila, e per questioni diverse ma speculari un territorio tenuto sotto controllo – oggi dai coranici, vista la dissoluzione dell’esercito sostenuto dalla Nato – fa oggettivamente comodo alle potenze globali.