Rawanews BBC World Service Yalda Hakim 28 gennaio 2022
In un nuovo documentario le manifestanti hanno detto a Yalda Hakim della BBC di essere state minacciate e spruzzate di peperoncino.
Sheila Dost trattiene le lacrime mentre mi racconta del giorno in cui ha portato i suoi due bambini piccoli a manifestare contro le restrizioni talebane all'istruzione delle ragazze.
Norvegia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e poi Russia, Iran, Qatar, Cina, Pakistan. Nei giorni scorsi la delegazione talebana guidata dal ministro degli Esteri Muttaqi, condotta su un aereo norvegese sino a Oslo, ha discusso con tutti i rappresentanti d’un pezzo di mondo interessato alla crisi umanitaria prima che socio-politica dell’Afghanistan.
Norvegia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e poi Russia, Iran, Qatar, Cina, Pakistan. Nei giorni scorsi la delegazione talebana guidata dal ministro degli Esteri Muttaqi, condotta su un aereo norvegese sino a Oslo, ha discusso con tutti i rappresentanti d’un pezzo di mondo interessato alla crisi umanitaria prima che socio-politica dell’Afghanistan.
Quando il 15 agosto i talebani entrano a Kabul e occupano il palazzo presidenziale, non c’è politico o istituzione che non si dica al fianco delle popolazioni afgane. Terminate le rapide e confuse operazioni di evacuazione che hanno riguardato poche migliaia di personela grandissima parte delle persone che temono ritorsioni e violenze da parte dei nuovi padroni è rimasta bloccata nel paese.
«Fiero che il governo norvegese abbia invitato a Oslo il governo taliban, la società civile e i paesi chiave. E compiaciuto, da veterano, di aver incontrato il facente funzioni ministro degli esteri Amir Khan Muttaqi.
Il progetto ha visto impegnate le associazioni Io Donna, coordinamento donne Anpi, coordinamento donne Spi Cgil, Auser, Fiab, associazione Fr/Azione Tuturano.
Era il 2017 e la delegazione Cisda conobbe una donna che girava per Kabul vendendo libri, il suo nome è Del Jan e questo suo girare per la città continua ancora oggi, nonostante i talebani, per diffondere cultura attraverso i libri. Questo è il racconto di quell'incontro che è anche riportato nel libro “Sotto un cielo di stoffa, avvocate a Kabul” di Cristiana Cella che il Cisda vende.
È un tramonto nuvoloso a Kabul, la luce grigia, opaca. Del Jan si prepara. Sceglie accuratamente dei libri dalla pila alta, nell’ingresso di casa sua, accanto alla scala. Li mette in un grosso zaino e se lo infila in spalla. Altri, li sistema in un grande sacco di plastica rosa. È pronta. Esce e cammina a passo svelto per le strade.
I capelli grigi che s’intravedono appena sotto lo scialle nero, il viso senza età, bello di una compostezza serena, la forza di chi sorregge la propria vita con dignità.
Ha smesso di piovere, Del Jan si appoggia su una sedia, estrae i libri con cura dal sacco. Li tiene sulle braccia perché si vedano meglio, fa un effetto migliore. Entra decisa in un negozio di parrucchiere, li appoggia su un tavolo. Un ragazzo sceglie, contratta, paga due libri. Del Jan riprende la sua strada. Cammina spedita, la pioggia sta ricominciando. Entra in un ristorante, ancora abbastanza vuoto. Mostra la sua preziosa mercanzia. Sono quattro adesso gli uomini che la circondano. Chiedono, parlano, cercano, comprano. Del Jan risponde con competenza. La sua espressione è gentile, impassibile, mentre si mette in tasca i soldi.
Piove forte ora, sulla strada lucida, sulle macchine, nelle pozze di fango, si riflettono le luci colorate delle bancarelle, delle insegne dei negozi. Si sistema meglio lo scialle, rimette la plastica sopra i libri perchè non si bagnino e continua a camminare.
Lo fa da sedici anni, ogni giorno, Del Jan. È il suo mestiere, venditrice ambulante di libri. L’unica donna a Kabul. Il marito è scrittore, così lei può vendere anche le sue opere. Non è stato facile all’inizio. «I primi anni sono stati molto duri per me. La gente mi guardava male, gli uomini mi fermavano, m’insultavano, mi minacciavano. Ma poi, poco a poco, le cose sono cambiate. Ormai mi conoscono e piace a tutti comprarsi un libro. Adesso è diventato normale vedermi girare per la strada e le persone sono gentili, m’incoraggiano nel mio lavoro. Hanno bisogno di me, di qualcosa di nuovo, diverso, per le loro faticose giornate».
Durante la guerra civile, Del Jan era scappata da Kabul, si era rifugiata a Mazar-e-Sharif e poi in Pakistan. A quel tempo, con l’aiuto del figlio più grande, preparava del cibo in casa e lo an- dava a vendere per la strada. Era il 2002 quando è tornata. Ha pensato che, invece del cibo, poteva vendere libri nelle strade della sua città. I talebani, con i loro divieti, se ne erano appena andati e molti libri erano stati distrutti. Un lungo digiuno.
Nella sua casa, invasa da volumi di tutti i tipi, l’aspetta il marito, grossi occhiali e cappellino di lana in testa. «La nostra gente ha fame qui – dice, toccandosi lo stomaco – ma, ancora di più, ha fame qui, si tocca la testa – nella mente». Parlano, fianco a fianco, per spiegare il loro lavoro. «Io e mio marito pensiamo – dice Del Jan – che il nostro popolo abbia bisogno di essere nutrito con i libri e la letteratura ancor più che con il cibo. Dobbiamo far rinascere la cultura della lettura e, con questa, aumentare il livello di alfabetizzazione e consapevolezza delle persone. Leggere, qualsiasi cosa, apre la mente, sveglia lo spirito critico, t’insegna il rispetto per gli altri. Ne abbiamo molto bisogno».
Per Del Jan e suo marito questo lavoro è una vera missione, ne sono convinti.
Hanno cinque figli, una in particolare, è circondata dall’amore e dall’attenzione di tutti in casa. Si chiama Aizha ed è autistica. «Lei è la persona più speciale di tutta la famiglia. Solo per lei, quando compie gli anni, facciamo una festa». Le piace disegnare, dipingere, ascoltare la musica. Non può andare a scuola, non ci sono scuole per persone come lei. I disabili in Afghanistan hanno un triste destino, l’esclusione. Ma Aizha cresce serena nel suo mondo, nel calore della sua famiglia. Mahbooba, manager di AFCECO, la invita a visitare l’orfanotrofio di Mehan. Le ragazze la circondano, allegre, chiacchierano, la portano per mano a visitare la loro grande casa comune, le mostrano gli strumenti musicali che studiano. Si trova bene qui e viene spesso, adesso, a trovare le sue nuove amiche.
Durante la festa per l’8 marzo, a Mehan, dopo una serie di bellissimi concerti e spettacoli di danza, Del Jan è chiamata sul palco. Le consegnano il premio come “Madre dell’anno”. È commossa.
Da 23 anni Abdullah Öcalan è stato imprigionato a seguito della cospirazione internazionale del 15 febbraio 1999. Per oltre dieci anni è stato l’unico prigioniero nell’isola fortezza di Imrali. Nonostante le condizioni indescrivibili del suo isolamento non ha mai smesso di sperare in una soluzione pacifica ai conflitti in Medio Oriente.
Da 23 anni Abdullah Öcalan è stato imprigionato a seguito della cospirazione internazionale del 15 febbraio 1999. Per oltre dieci anni è stato l’unico prigioniero nell’isola fortezza di Imrali. Nonostante le condizioni indescrivibili del suo isolamento non ha mai smesso di sperare in una soluzione pacifica ai conflitti in Medio Oriente.
Da 23 anni Abdullah Öcalan è stato imprigionato a seguito della cospirazione internazionale del 15 febbraio 1999. Per oltre dieci anni è stato l’unico prigioniero nell’isola fortezza di Imrali. Nonostante le condizioni indescrivibili del suo isolamento non ha mai smesso di sperare in una soluzione pacifica ai conflitti in Medio Oriente.
Per diversi anni Öcalan è riuscito a negoziare con il governo turco per raggiungere questo obiettivo. La stragrande maggioranza della popolazione curda vede Abdullah Öcalan come proprio rappresentante, e ciò è stato confermato dalla raccolta di firme di oltre 3,5 milioni di curdi nel 2005.
Ocalan è un attore politico e il suo status ha anche dimensioni politiche più ampie. La società curda, così come gli analisti politici, lo considerano un leader nazionale e il rappresentante politico dei curdi. La prigione dell’isola di İmralı, gestita dallo stato turco, continua ad essere sottoposta ad uno status straordinario. Il continuo isolamento di Ocalan, che dura già da 23 anni, si basa su pratiche considerate illegali sia dalla magistratura turca che dal sistema giuridico internazionale.
In un hotel su una collina appena fuori Oslo da due giorni si discute della crisi umanitaria in Afghanistan, e in generale della situazione nel paese. Seduti al tavolo, una delegazione del governo di Kabul – che nessun paese occidentale ha ancora riconosciuto – e i rappresentanti di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Norvegia e Unione europea.
Pagine Esteri, 26 gennaio 2022 – L’assalto alla prigione di Hasakah, operato dall’Isis lo scorso 20 gennaio, è stato improvviso ma pianificato e coordinato: numerosi miliziani hanno occupato molti edifici nel centro abitato e per giorni ci sono stati combattimenti.
Sono intervenute le forze speciali e gli Stati Uniti hanno bombardato la zona. Non ci sono ancora numeri accertati ma ci sono state decine tra morti e i feriti.
AgenPress – Giovedì i talebani hanno fatto irruzione in una residenza a Kabul, sfondando la porta e arrestando una donna attivista per i diritti umani e le sue tre sorelle.
La ricostruzione dei discorsi, delle strategie, delle azioni militari in Afghanistan, delle alternative pacifiste, della sconfitta occidentale e del ritorno dei Talebani. L’introduzione dell’ebook ‘Afghanistan senza pace, 2001-2021’
Vent’anni dopo, è la fine dell’intervento militare occidentale in Afghanistan. Il bilancio è già pesantissimo se ci si limita a considerare i costi umani ed economici: una spesa di quasi 8 mila miliardi di dollari, un totale di 241 mila vittime ufficiali.1La guerra più costosa di sempre se si considera la spesa totale per la War on Terror. I Talebani, saliti per la prima volta al potere tra il 1995 e il 1996 a seguito della guerra civile afghana successiva al ritiro dell’URSS, e rovesciati dall’intervento a guida statunitense nel 2001, riconquistano il paese e la capitale Kabul a distanza di vent’anni. È proprio da qui che inizia la ricostruzione di questo ebook. In questo volume – che raccoglie articoli, documenti, analisi, reportage – vogliamo fornire ai lettori gli strumenti per un’analisi di ampio respiro sui discorsi, le strategie, le azioni militari della Guerra al Terrore – e delle campagne militari in Afghanistan e in Iraq – e sugli esiti che hanno avuto. Ricostruiamo la critica emersa fin dall’inizio alla scelta di scatenare la guerra, le manifestazioni mondiali, le alternative pacifiste, le pratiche di solidarietà nell’Afghanistan occupato.
Raccogliamo reportage dalla guerra, inchieste che offrono uno spaccato della realtà e della quotidianità afghana, durante e dopo la fine dell’intervento militare occidentale, raccontando gli esiti della guerra e le eredità che lascia al paese. Da questi racconti emerge tutta la complessità dell’Afghanistan.
Guardare alle trasformazioni in seno a un élite urbana ristretta e dipendente dai finanziamenti esterni non basta per comprendere il contesto afghano e il lascito di questi vent’anni di guerra. Nelle aree montuose ed extra-urbane, che costituiscono gran parte del territorio del paese e in cui si concentra la grande maggioranza della popolazione, si sovrappongono disagi materiali e tensioni irrisolte. L’accesso ai beni essenziali e ai servizi pubblici, la difesa dei diritti fondamentali, la condizione femminile e le rivendicazioni di genere, tassi altissimi di povertà e di crescita demografica, la ricostruzione delle infrastrutture e la scarsa legittimità istituzionale sono tutti nodi che la guerra non ha sciolto.
OSLO, 22 GEN - Una delegazione talebana è arrivata oggi in Norvegia per tre giorni di colloqui con diplomatici occidentali e rappresentanti della società civile afgana nella speranza, ha detto il loro portavoce, di "cambiare l'atmosfera bellica" nel Paese.
Una sentenza del Tribunale di Roma impegna l'Italia a dare protezione umanitaria a due giovani giornalisti afghani, ma la Farnesina oppone un'inaccettabile resistenza. Un caso che rivela l'ipocrisia del governo italiano
Vi ricordate tutte le belle parole sull’Afghanistan quando arrivarono i talebani e quando tutto il mondo si dichiarava pronto ad accogliere le persone in difficoltà, persino i più ostici sovranisti? Per sapere cosa stia facendo l’Italia si può leggere l’ordinanza del Tribunale di Roma che già il 21 dicembre ha sancito il diritto di entrare in Italia per proteggersi dal rischio di diritti umani gravemente compromessi. ll caso riguarda due afghani che erano giornalisti sotto il precedente governo in Afghanistan e impegnati in varie attività culturali.
Dopo cinque mesi al potere, gli studenti coranici continuano a dare la caccia a chiunque abbia collaborato con gli americani e con la precedente amministrazione, pronti a giustiziare ogni oppositore. Le donne non possono più lavorare ne studiare. Il consumo di droga è esploso. E intanto il Paese sprofonda nella crisi economica, che i nuovi padroni di Kabul non sanno come gestire
KABUL - Si sono accorciati la barba e, dismesso il mantello nero da briganti, molti di loro indossano oggi l'uniforme mimetica dell'esercito sconfitto. In giro vedi anche meno kalashnikov e nel traffico di Kabul non senti più i loro pick-up sgommare come una volta. Inurbati da sei mesi nella capitale, e da allora incontrastati padroni dell'Afghanistan, i talebani si sono dati una ripulita: passata l'euforia della vittoria, è anche tramontato il bisogno di affermare il loro potere terrorizzando la popolazione civile.
"Ma adesso operano più di nascosto, all'oscuro dei media internazionali agli occhi dei quali vogliono presentarsi con un volto nuovo, più umano e responsabile", dice Alì Jafari, ex funzionario pubblico, licenziato perché appartenente alla minoranza sciita hazara e costretto a nascondersi per paura di ulteriori rappresaglie. "Sono però rimasti gli aguzzini di sempre, poiché non danno la caccia soltanto agli esponenti della mia etnia, ma a tutti gli ex nemici, e cioè a coloro legati al precedente governo".
"In tutto il mondo, Guantanamo rimane uno dei simboli più duraturi dell'ingiustizia, dell'abuso e del disprezzo per lo stato di diritto che gli Stati Uniti hanno scatenato in risposta agli attacchi dell'11/9"
Vent'anni dopo l'inizio delle operazioni di detenzione di Guantánamo Bay, l'11 gennaio 2002, un nuovo rapporto valuta gli enormi costi dei trasferimenti illegali degli Stati Uniti, delle detenzioni segrete e della tortura dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001. Il rapporto, tratto dal Costs of War Project presso il Watson Institute della Brown University e Human Rights Watch, delinea come questi abusi calpestino i diritti di vittime e sospetti, creino un onere per i contribuenti statunitensi e danneggino gli sforzi antiterrorismo in tutto il mondo, mettendo in ultima analisi a repentaglio la tutela universale dei diritti umani per tutti.
"In tutto il mondo, Guantánamo rimane uno dei simboli più duraturi dell'ingiustizia, dell'abuso e del disprezzo per lo stato di diritto che gli Stati Uniti hanno scatenato in risposta agli attacchi dell'11/9", ha dichiarato Letta Tayler, direttore associato di Crisi e Conflitti presso Human Rights Watch e co-autore del rapporto. "La dipendenza del governo degli Stati Uniti da commissioni militari profondamente sbagliate, insieme ad altri fallimenti di un giusto processo, non ha solo violato i diritti degli uomini detenuti a Guantánamo, ha anche privato i sopravvissuti degli attacchi dell'11 settembre e le famiglie dei morti del loro diritto alla giustizia".
La relazione rileva che:
Gli Stati Uniti non hanno ritenuto nessuno responsabile per l'orchestrazione da parte della CIA di un sistema di "siti neri" nascosti in tutto il mondo nei quali hanno detenuto segretamente almeno 119 uomini musulmani e torturato almeno 39.
Campagna Il tempo è arrivato: libertà per Ocalan! Aggiornamento della petizione
Silvana Barbieri, Rosella Simone, Change.org, 15 gennaio 2022
Il 19 dicembre 2021 è apparso sul Sole24 ore un Appello promosso dalla Campagna Internazionale “Giustizia per i Curdi” firmato da più di mille personalità mondiali. Chiedeva la rimozione del Pkk, il partito curdo dei lavoratori, dall’elenco dell’Unione europea delle organizzazioni terroristiche. A sostegno della richiesta presentava argomenti strategico politici e sentenze legali emanate da alte Corti europee che vale la pena riprendere e rilanciare non per fare il gioco di supposte organizzazioni terroristiche ma come richiamo alla coerenza democratica dell’Unione europea di cui anche l’Italia fa parte. All’Europa che ha posto all’origine della sua Unione i valori universali di dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà chiediamo una posizione chiara e senza ambiguità all’appello che tanti hanno sottoscritto e la coerenza con i propri pronunciamenti e leggi che qui vogliamo ricapitolare.
La Corte Europea di Giustizia, organo dell’Unione Europea con sede in Lussemburgo con il compito di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati dell’UE, interrogata in materia ha dichiarato illegale e assolutamente non motivata la presenza del Pkk nella lista europea delle organizzazioni terroristiche: pur riferendosi a causa di vari cavilli giuridici esclusivamente al periodo 2014-17. Proprio in quell’arco di tempo i curdi sono stati i “nostri” soldati, quelli che combattevano per fermare il dilagare dello Stato islamico e morivano anche per noi. Salvo poi rimetterli nella lista dei cattivi una volta che Trump aveva finito di servirsi di loro contro l’Isis abbandonandoli nuovamente al loro destino. La sentenza è stata sottoposta a ricorso, ricordando che la sua formulazione in realtà mette in modo molto più ampio in questione la legittimità dell’iscrizione di quell’organizzazione nella lista anti-terrorista UE.
Ma non basta, che il Pkk non sia un’organizzazione terrorista lo ha deciso anche la Corte d’Appello del Belgio in un processo fortemente voluto dalla Turchia contro alcuni militanti curdi a Bruxelles, sentenza successivamente e definitivamente confermata dalla Corte di Cassazione belga in quanto giurisdizione penale suprema di un paese membro dell’UE. Su quesito posto dal Procuratore generale del Belgio, la Corte d’Appello ha deliberato che il Pkk non può essere considerato un’organizzazione terrorista perché organismo parte di un conflitto internazionale, il che lo rende soggetto alle leggi internazionali di guerra e non a quelle penali mettendolo allo stesso livello giuridico dello stato turco.
Intervento di Sahar all’incontro online che l’associazione FUTURA aps di Lavagna ha proposto per sensibilizzare verso la difesa dei diritti e l’implementazione della democrazia, il 14 gennaio 2022
Vi ringrazio molto per questa meravigliosa opportunità di lasciarmi parlare del mio paese, l'Afghanistan. Purtroppo, siamo di nuovo in una situazione molto tragica, il nostro paese stava facendo piccoli passi verso un futuro leggermente migliore, nonostante fosse sotto l'occupazione statunitense e una finta democrazia. Ma oggi, metà della popolazione - le donne - sono costrette a stare a casa, la povertà e la disoccupazione sono spaventose. Quando un paese è gestito da individui così brutali, ignoranti e barbari, queste sono le conseguenze devastanti. Oggi vediamo che tutto il Paese è paralizzato, la situazione economica e i sistemi giudiziario, legislativo ed esecutivo sono fermi.
La situazione è solo peggiorata da agosto perché i talebani hanno iniziato a introdurre le loro nuove regole. Una delle loro leggi riguarda le trasmissioni televisive: hanno vietato tutti i tipi di film/commedie straniere, tutti i tipi di discorsi contro l’Emirato Islamico e hanno vietato tutti i tipi di film con donne senza hijab (copricapo)
Recentemente, un professore universitario di nome Faizullah Jalal, notoriamente chiamato Ustad Jalali, è stato arrestato dai Talebani a causa della sua denuncia contro i Talebani. Il lato positivo è stato che le donne di tutto l'Afghanistan hanno protestato per liberarlo. Possiamo non essere completamente d'accordo con quello che dice, ma è suo diritto dirlo, quindi la libertà di parola è oggi sotto una grande minaccia.
I talebani hanno anche annunciato che le donne devono essere coperte, devono indossare l'orribile burqa blu o l'abaaya o naqab nero, che copre tutto il viso; indumenti che non hanno mai fatto parte della cultura o dell'abbigliamento afgano.
Sono critiche anche le condizioni metereologiche. l'Afghanistan ha un inverno molto rigido e si sono susseguiti molti giorni di forti nevicate che hanno lasciato molte persone, soprattutto bambini, in condizioni molto dure. Alcuni bambini hanno perso la vita e questa situazione estrema è stata particolarmente impegnativa per gli sfollati interni perché mancano di cibo, riparo, combustibili per riscaldarsi, nonché di abiti caldi.