by Abasin Zanini, 29.9.2012, RawaNews
by Abasin Zanini, 29.9.2012, RawaNews
Rinascita, di Ferdinando Calda, 20 settembre 2012
KABUL/FILM ANTI-ISLAM ATTENTATO KAMIKAZE
Il manifesto 2012.09.19 - 07 INTERNAZIONALE KABUL/FILM ANTI-ISLAM ATTENTATO KAMIKAZELa Nato: stop operazioni congiunte con gli afghaniTAGLIO MEDIO - G. B.
In Afghanistan il film anti-islamico Innocence of Muslims continua, in modo virale, a infiammare gli animi. Dopo le proteste di Kabul, Herat e Mazar-e-Sharif, ieri a Kunduz, nel nordest del paese, sono scesi in strada centinaia di studenti, che hanno incendiato ritratti di Barack Obama e ingaggiato una lunga guerriglia urbana con le forze di polizia locali. Nella capitale, invece, una donna kamikaze ha fatto esplodere l'automobile che guidava, una Toyota-corolla imbottita di esplosivo, contro un minibus nei pressi dell'aeroporto. Dodici i morti accertati, tra cui un ragazzo di 12 anni, 11 invece i feriti.
Asia Times Online, di Nick Turse, 6 Settembre, 2012
[Traduzione in sintesi a cura del CISDA]
Il conteggio ufficiale delle basi militari ISAF in Afghanistan, considerando tutte le installazioni militari straniere di ogni tipo, tra cui logistica, amministrazione e strutture di supporto raggiunge l’enorme numero di 1.500 siti.
Al culmine dell'occupazione americana dell'Iraq, gli Stati Uniti contavano 505 basi nel Paese, che vanno da piccoli avamposti a mega basi aeree. Stime stampa dell’epoca ne citavano solo 300. Solo quando le truppe Usa si prepararono a lasciare il paese emerse il reale - sorprendentemente alto – numero di basi riferito. Oggi che gli Stati Uniti si preparano per il ritiro dall'Afghanistan, il vero numero di basi americane e della coalizione in quel paese è altrettanto oscuro, con le fonti ufficiali che offrono cifre contrastanti e imprecise.
Nonostante da anni si parli del ritiro americano, vi è infatti stato un lungo periodo di boom edilizio durante il quale il numero di basi è stato costantemente ampliato. All'inizio del 2010, l’ISAF ha dichiarato di avere quasi 400 basi afghane. All'inizio di quest'anno, il numero era salito a 450. Oggi, un portavoce militare ne dichiara circa 550. E questo potrebbe essere solo la punta di un iceberg.
Quando si aggiungono al conteggio delle mega-basi quelle di piccole dimensioni utilizzate per proteggere strade e villaggi, gli avamposti di combattimento, e le basi di pattugliamento, il numero passa a 750. Conteggiando tutte le installazioni militari straniere di ogni tipo, tra cui logistica, amministrativa e strutture di supporto, il conteggio ufficiale offerto dal Comando ISAF raggiunge un numero enorme di 1.500 siti. Differenti metodi di conteggio probabilmente spiegano almeno una parte di questa crescita fenomenale nel corso di quest'anno. Tuttavia, i nuovi dati suggeriscono una conclusione che dovrebbe spaventare: le basi afghane presidiate superano di gran lunga le 505 basi americane in Iraq, al culmine di quella guerra.
La continua espansione delle basi
Mentre alcune basi USA sono in fase di chiusura o di trasferimento al governo afghano, e si parla di operazioni di combattimento in fase di rallentamento, così come di un piano per il ritiro delle forze da combattimento americane, l'esercito statunitense si sta ancora preparando per lo sviluppo di mega basi come quelle di Kandahar e Bagram, con una gigantesca base aerea a circa 40 miglia a nord di Kabul. "Bagram sarà soggetta a modifiche significative nel corso dei prossimi uno o due anni," dichiara il tenente colonnello Daniel Gerdes della US Army Corps of Engineers di Bagram, chiamato Freedom Builder. "Siamo in una fase di transizione nei progetti per la base ... a lungo termine, di cinque anni, 10 anni."
11.9.2012 - di Glenn Greenwald - The Guardian
C'è una differenza rilevante tra la politica di Bush e quella di Obama: mentre Bush preferiva incarcerare le persone senza processo o procedimenti giudiziari, Obama le uccide.
Secondo le voci ufficiali, sabato scorso un detenuto di Guantanamo è stato trovato morto nella sua cella. E' le nona persona che muore in quel campo di detenzione da quando è stato aperto, più di dieci anni fa. La ex guardia Brandon Neely ha evidenziato che il numero dei detenuti morti presso il campo (nove) è addirittura più elevato di quelli giudicati colpevoli dalla commissione militare (sei). Questo è il quarto detenuto morto a Guantanamo durante l'amministrazione Obama.
Benché l'identità del detenuto non sia stata rivelata, un portavoce del campo ha affermato che “non era stato dichiarato colpevole”.
In altre parole, il governo USA lo ha tenuto rinchiuso per molti anni senza alcuna possibilità di contestare le accuse che gli erano state fatte e senza nessuna speranza di poter lasciare il campo se non con la morte. Infatti, sembra che per molti detenuti la morte sia l'unico modo per andarsene dal campo. L'ultima persona a morire fu il quarantottenne cittadino afghano Awal Gul, che venne a mancare nel febbraio 2011 per un apparente attacco cardiaco.
Gul, padre di 18 figli, era accusato dagli USA di essere un comandante talebano, accusa che ha sempre rifiutato con veemenza poiché, come affermato dal suo avvocato “era disgustato dalla crescente propensione dei Talebani verso gli abusi e la corruzione”. Tuttavia, la politica di detenzione per un periodo indefinito senza processo, ancora in vigore a Guantanamo, fece sì che il caso di Gul non fu mai risolto. Egli morì dopo più di nove anni di detenzione – a migliaia di chilometri dalla sua famiglia, in mezzo all'oceano – nonostante non fosse mai stato condannato.
Il livello più alto della gerarchia infernale è relegare in una gabbia qualcuno senza accuse particolari anno dopo anno, fino alla morte. Di conseguenza, quest'ultimo avvenimento non evidenzia solo il travestimento della politica statunitense della guerra al terrore, ma anche la disonestà del tentativo di esonerare Obama da questa politica.
RAWANews
Di Parwiz Shamal - TOLONews.com
Un'indagine di TOLOnews rivela che funzionari governativi di alto livello e il personale che lavora presso l'ufficio del Presidente Hamid Karzai ricevono sostanziosi “pagamenti-incentivo”, fino a raggiungere 7.000 $ al mese.
Un'indagine documenta che sono stati spesi 11 milioni di Afghanis (corrispondenti a 220.000 US $) in due mesi per 80 dipendenti al Palazzo Presidenziale.
Aimal Faizi, portavoce di Karzai, e Abdul Karim Khoran, il suo capo del personale, ricevono 350.000 Afs ognuno (7.000 $) al mese. Questi salari sono definiti “di incentivo”.
Abdul Karim Khoram, capo del personale dell'ufficio di Karzai
Altre persone ricevono somme altrettanto sostanziose per cibo e trasporti. Ci sono circa 580.000 Afghani che lavorano per il governo e la maggior parte di loro riceve un salario che va da 5.000 a 30.000 Afs al mese.
Hanidullah Farooqi, professore all'Università di Kabul ed economista, ha affermato che bisogna andare in fondo a questa situazione.
“Un normale dipendente del Governo riceve un salario che va dai 5.000 ai 10.000 Afs al mese, mentre un altro dipendente con una qualifica inferiore che lavora all'Ufficio Presidenziale riceve uno stipendio 10 volte o addirittura 100 volte superiore? Questa faccenda va seriamente presa in considerazione”, ha dichiarato Farooqi.
Il Ministero della Finanza ha rifiutato di discutere la faccenda e di fornire ulteriori dettagli, ma ha sottolineato che questi “stipendi-premio” sono prevalentemente approvati dal Presidente Karzai.
Viterbo, 2 settembre 2012 - http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
"NON UN GIORNO DI PIÙ"
APPELLO PER LA CESSAZIONE IMMEDIATA DELLA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA AFGANA
Signor Presidente della Repubblica,
si sarà sicuramente interrogato anche lei sul tragico protrarsi della guerra afgana e sulle innumerevoli sue vittime.
E si sarà sentito anche lei turbato per la flagrante contraddizione tra la partecipazione italiana a quella guerra, a quelle stragi, e il dettato dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, che inequivocabilmente vieta all'Italia di partecipare a quel crimine.
Perché ha abdicato al suo dovere di difendere la vigenza della Costituzione della Repubblica Italiana che ripudia la guerra?
Perché non ha negato il suo consenso alla partecipazione italiana a quella guerra, a quei massacri?
Faccia ora quello che avrebbe dovuto fare fin dal suo insediamento alla Presidenza della Repubblica: denunci l'illegalità di quella guerra e chiami Governo e Parlamento a deliberare l'immediata cessazione della partecipazione italiana ad essa.
Troppi esseri umani sono già stati uccisi.
Non attenda un giorno di più per decidersi ad agire nell'ambito dei suoi poteri e dei suoi doveri per ripristinare il rispetto della Costituzione, ovvero per salvare le vite umane che giorno dopo giorno la guerra sbrana.
Cessando di partecipare alla guerra l'Italia può cominciare ad impegnarsi per la pace che salva le vite.
Questo chiediamo: cessazione immediata della partecipazione italiana alla guerra afgana; pace, disarmo e smilitarizzazione; rispetto della vita, della dignità e dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Ascolti la nostra voce.
Ascolti la voce della sua stessa coscienza.
Ascolti la lettera e lo spirito della Costituzione della Repubblica Italiana.
Solo la pace salva le vite.
Distinti saluti,
Il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo
Viterbo, 2 settembre 2012
TRE COSE DA FARE PER PROMUOVERE LA CAMPAGNA NONVIOLENTA "NON UN GIORNO DI PIÙ"
Proponiamo a tutte le persone, i gruppi e le esperienze collettive interessati a promuovere una campagna nonviolenta per l'immediata cessazione della partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan, di intraprendere le seguenti iniziative:
www.atlasweb.it, 27 agosto 2012 di Luca Pistone
Sono almeno 70 le detenute del carcere di Badam Bagh, a Kabul, condannate per aver commesso i cosiddetti “crimini morali”, che comprendono, tra gli altri, la fuga da casa e il reato di “zina”, e cioè rapporti sessuali pre o extra-matrimoniali.
Secondo Human Rights Watch (Hrw), in tutto il paese sarebbero circa 400 le donne “colpevoli” di simili reati. Badam Bagh, che significa “giardino delle mandorle”, è la più grande prigione femminile dell’Afghanistan e la meglio attrezzata, assicurano i funzionari Unodoc (United Nations Office on Drugs and Crime).
“Difficilmente le famiglie accettano una donna passata da una prigione (…) In molte minacciano di suicidarsi, e molte lo fanno”, spiegano gli operatori della Ong Women for Afghan Women, che segue le donne afghane dal momento della loro uscita dal carcere fino al loro difficilissimo, se non impossibile, reinserimento familiare. L’organizzazione gestisce due case-famiglia, una a Kabul e l’altra a Mazar-i-Sharif.
di Anna Toro, osservatorioiraq, 21.8.2012
I sanguinosi colpi di Stato degli anni Settanta, l'invasione Sovietica dell'79, i regimi comunisti supportati da Mosca, la guerra civile e l'ascesa dei talebani, l'invasione della Nato e delle truppe straniere dal 2001 a oggi. Tutto questo non esiste più, è stato cancellato con un colpo di spugna dai libri di storia delle scuole di tutto l'Afghanistan.
Il motivo di questa censura? “Nient'altro che l'interesse della Nazione” ha risposto il ministro dell'Educazione afghano Farooq Wardak, che ha fatto già stampare i libri "rivisti e corretti", pronti per essere distribuiti all'inizio del nuovo anno scolastico che partirà nella primavera del 2013.
"Negli ultimi 40 anni – spiega Wardak – sono accaduti centinaia di episodi che hanno portato a controversie fortissime nel paese. Mettere sui libri di storia argomenti sui quali non c’è un consenso nazionale significa portare la guerra nelle classi. Invece lo scopo dell'istruzione è portare l’unità, non certo le divisioni".
Ed è così che molti eventi chiave della storia afghana non vengono neppure menzionati, o al massimo liquidati da una manciata di righe.
"Ad esempio, non si parla affatto della miseria che quest'ultima guerra ha portato, e non si menziona Kabul come zona di scontri e di morti", commenta ai microfoni della Bbc un giornalista afghano, che ha chiesto di restare anonimo per motivi di sicurezza.
"I libri dicono che il mullah Omar è stato rimosso nel 2001, senza dire nemmeno chi sia. E degli Stati Uniti e della presenza della Nato nel paese non si parla proprio. E' come se qualcuno stia tentando di nascondere il sole con due dita".
La reazione della società civile - professori universitari, politici, docenti e giornalisti - non si è fatta attendere.
Tra le accuse principali, quella secondo cui con questa mossa il governo starebbe cercando di accattivarsi le simpatie dei talebani e di altri gruppi di potere prima del ritiro delle truppe straniere.
I libri "modificati" verranno infatti distribuiti anche nei villaggi che sono rimasti sotto il controllo dei miliziani.
E secondo le autorità promotrici della censura, se i libri contenessero tutte le atrocità commesse dai talebani durante i loro cinque anni di regime, verrebbero senza dubbio messi da parte o gettati via.
Davanti ad ogni vita umana stroncata è doveroso un rispetto profondo. Ma proprio in nome di tutte le vittime delle guerre, chissà quanti lettori di "Avvenire" sono rimasti scossi per quell’intera pagina dedicata agli “eroi per la pace”, e a quella realtà così “convergente” di soldati e cristiani (8 agosto 2012, pag.3).
Ecco, lo diciamo forte: è davvero insopportabile questa retorica sulla guerra sempre più incombente e asfissiante. [...]
Ci colpisce non veder affiorare nemmeno uno degli interrogativi che gli italiani e i cristiani si pongono ormai da anni, assistendo alla fallimentare carneficina afgana: La nostra presenza militare in Afghanistan costa 2 milioni di euro al giorno, e quali sono i risultati? Se li avessimo investiti in aiuto alla popolazione con ospedali, scuole, acquedotti non avremmo forse tolto consenso ai talebani e ai signori della guerra? E delle vittime in ‘campo nemico’ chi se ne occupa? Abbiamo i numeri esatti dei morti e feriti italiani! E quante sono le vittime irachene o afghane? Forse dobbiamo rassegnarci a considerare le migliaia di esseri umani uccise in questa assurda guerra solo “effetti collaterali”?
Ci colpisce molto leggere che anche l’Ordinario militare si allinea a questa retorica della guerra dichiarando, per esempio che fare il militare è “una professione aperta al bene comune e allo sviluppo della famiglia umana” oppure sostenendo che “i cappellani militari sono parroci senza frontiere, impegnati in una pastorale specifica sul fronte della pace”. Ce ne vuole davvero a descrivere “l’aeroporto di Ciampino dove arrivano le salme dei nostri soldati uccisi” come “una scuola di fede”. E ancora “Essere cristiani ed essere militari non sono dimensioni divergenti”. [...]
Chiediamo di aprire un confronto serio e schietto sul tema della guerra, del servizio militare, oggi non più legato all’obbligo della leva, e della presenza dei Cappellani tra i militari, magari proprio con il Direttore di "Avvenire" e l’Ordinario militare. [...]
Puoi leggere l'appello completo nel sito di Pax Christi. Per aderire, puoi inviare una mail con il tuo nome, cognome e città a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. oppure a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Ann-Carin Landstrom, membro del Comitato Centrale del Partito della Sinistra Svedese, è appena rientrata da Kabul, dove ha incontrato ufficialmente il Solidarity Party of Afghanistan (Hambastagi) e ha visitato i Laboratori studio sui diritti umani e i diritti delle donne che gli attivisti di Hambastagi organizzano nell'ambito di un progetto finanziato proprio dal Partito della Sinistra Svedese. Riportiamo di seguito alcuni estratti della sua relazione.
(La delegazione svedese è stata in Afghanistan dal 22 al 31 luglio 2012)
Il Solidarity Party of Afghanistan (SPA) è stato fondato nel 2004, grazie ad alcuni afgani rientrati in patria dall'estero, con un'ideologia esplicitamente socialista. Fin dall'inizio il programma politico del partito, condiviso con i suoi membri, si è incentrato sulla lotta contro i talebani, contro il fondamentalismo e contro l'occupazione NATO.
Nel 2008 è stata eletta alla direzione del Partito una nuova generazione di giovani afghani e il partito è diventato più attivo e più radicale.
Pur con meno fondi che in precedenza, gli attivisti del partito hanno intrapreso una lotta coraggiosa contro i jihadisti, la NATO, gli Stati Uniti, sottolineando nel contempo la distanza con l'imperialismo sovietico, che in nome del "comunismo" ha occupato il paese per un decennio.
Grossi problemi di sicurezza e una forte limitazione della loro libertà sono subentrati dopo il 27-28 aprile 2012, quando una loro manifestazione a Kabul, molto partecipata, è stata descritta come un grande successo dai media, stampa e TV: il governo ha quindi deciso di sospendere la registrazione legale di Hambastagi e di avviare un procedimento penale con l'accusa di avere realizzato "azioni anti-islamiche". In seguito a questa azione il governo afgano ha ricevuto forti pressioni e proteste, a livello nazionale e internazionalie: la maschera della democrazia era caduta...Ma Hambastagi e le forze democratiche che lo sostengono hanno, per il momento, vinto! L'indagine penale è stata chiusa e la registrazione del Partito non è stata cancellata.
Il SPA è oggi presente in tutte le province dell'Afghanistan: conta circa 30.000 membri, di cui tuttavia solo 15.000 riescono a pagare la quota di adesione (circa 20 afghanis): molti hanno paura che la loro iscrizione diventi pubblica e che questo li esponga a rappresaglie da parte delle autorità, dei signori della guerra e dei talebani.
D'altra parte, se oggi in Afghanistan si può dire che viene formalmente riconosciuto il diritto a libere elezioni e alla democrazia, di fatto per 30 anni - più i 10 anni di occupazione in corso - gli afgani non hanno avuto vera conoscenza del significato di democrazia. Quanto all'intervento della NATO, è da rilevare che gli USA hanno affittato terreni per le loro basi militari con un accordo per 100 anni e apparentemente non hanno alcuna intenzione di lasciare il paese, anche se il 70% della popolazione desidera che le truppe statunitensi e della NATO se ne vadano.
Il lavoro del SPA per i diritti delle donne
Nel 2012 Hambastagi ha ricevuto 120.000 SEK dal Partito Socialista Svedese per organizzare laboratori per l'alfabetizazione e i diritti delle donne. Il progetto mira ad aumentare la partecipazione delle donne alla vita politica, facendo loro sviluppare consapevolezza sui propri diritti.
Il SPA ha iniziato il programma di alfabetizzazione e coscientizzazione con sette gruppi in diverse aree a basso reddito intorno a Kabul nel mese di giugno 2012. Due gruppi di studio sono nella zona di Estaliff, uno ad Ahmad Shah, tre in Bangi e Shivakee.
di Stella Pende, Panorama - 13 agosto 2012
Vendute dalle famiglie, lapidate per adulterio, sfigurate con l’acido, fatte saltare in aria per l’impegno politico o civile. Le afghane sono il principale obiettivo dell’integralismo. Ma c’è una nuova generazione che si ribella. E cerca il riscatto. Politico
Guidava la sua Jeep a Mehntar nell’Afghanistan del Nord per portare libri e pennarelli alle bambine di una scuola fra le montagne. Per Hanifa Safi, ministro degli affari femminili nella provincia del Laghman, l’educazione era «l’unico antidoto contro l’ignoranza e la ferocia che torturano le donne afghane». Invece i suoi sogni sono schizzati in mille pezzi assieme alla sua vita. Hanifa è morta con suo marito in un attentato che ha fatto esplodere la sua auto.
Qualche mese fa raccontava di avere già schivato due attentati: «Nel primo hanno cercato di uccidermi offrendomi del tè avvelenato». Non recitava da martire. Anzi, aveva paura. «L’Afghanistan è di certo il luogo più pericoloso per noi donne» aveva detto. «Ma chi, come me, raccoglie il terrore di bambine stuprate e poi si gira dall’altra parte è peggio del carnefice. E allora vivo giorno per giorno, contando i minuti…».
I giorni delle donne che offrono il loro coraggio alla speranza di un Afghanistan libero sono pieni di insidie. Solo il 2010 ha visto 76 donne ammazzate. Una settimana fa nella regione dell’Helmand un padre «assai religioso» ha ucciso a colpi di ascia le sue due figlie adolescenti invocando il delitto d’onore. Le ragazze erano state fuori quattro giorni senza permesso. Niente di incredibile. Anzi. Esecuzioni senza processi, delitti d’onore, morte per stenti e fame. Oggi però è la condanna a morte per peccati politici e sociali quella preferita dai folli adoratori di Allah.
Come per Hanifa che lavorava per il futuro delle nuove generazioni femminili. Le donne afghane, anima e motore della lotta sociale, sono oggi il primo nemico da colpire. «Quando prendono in mano una missione politica o un progetto combattono come leonesse» dice Seema Ghafar, eccellente politica, «ciò disturba parecchio sia l’ambiente governativo, dove gli uomini raccolgono meno risultati, sia, soprattutto, i talebani spaventati dai successi raccolti da deputate, governatrici e militanti dei diritti umani».
Di Rod Nordland, con Alissa J. Rubin
22 luglio 2012, The New York Times
MAZAR-I-SHARIF, Afghanistan
A Mazar-i-Sharif, le atrocità della guerra civile afgana degli anni Novanta vengono ricordate ancora a bassa voce: racconti dell'orrore su un conflitto etnico e fazionale che fece terra bruciata di tutto, nel quale furono massacrati civili e combattenti prigionieri.
Prova evidente di questi massacri sono le fosse comuni che continuano a essere rinvenute nelle zone rurali dell'Afganistan. Una di queste si trova appena fuori Mazar-i-Sharif, nel nord del paese. Riportata alla luce solo per metà, oggi appare parzialmente ricoperta dal fango delle recenti inondazioni, dal quale emergono ossa e resti di vestiti. Gli esperti dicono che in questo luogo si trovano i resti di almeno 16 vittime: tutti i teschi rinvenuti hanno un foro nella nuca.
Accusati di essere responsabili di questi e di decine di migliaia di altri morti sono uomini potenti, alcuni ritenuti mandanti diretti, altri considerati i vertici della catena di comando che portò ai massacri. I nomi di questi uomini vengono elencati nell'imponente report sulle violazioni dei diritti umani in Afghanistan dall'era sovietica (anni Ottanta) fino alla caduta dei Talebani nel 2001: più di 800 pagine compilate negli ultimi sei anni da un gruppo di ricercatori e specialisti dell'AIHRC (Afghan Independent Human Rights Commission).
L'elenco dei nomi corrisponde a una sorta di manuale sugli uomini più potenti dell'Afghanistan: signori della guerra passati e attuali, così come esponenti delle opposte fazioni che li combattono. Molti erano nomi eminenti nell'era della guerra civile afgana, che scoppiò dopo il ritiro dei Sovietici: nomi che vengono spesso citati nei discorsi preccupati degli Occidentali quando si immagina la probabile degenerazione violenta che potrà seguire alla fine della missione militare NATO nel 2014. Già da ora si percepisce chiaramente la crescente preoccupazione per il caos che potrà travolgere i sistemi di potere e dell'economia, insieme a rinnovate tensioni etniche e tribali.
Ma il report difficilmente sarà divulgato a breve, dato che cerca di inchiodare questi uomini potenti alle loro responsabilità, come sostengono gli autori, i quali inoltre accusano noti rappresentanti del potere pubblico in Afghanistan di avere rapidamente distrutto le prove rinvenute e coperto i responsabili dei crimini. Da parte loro, i ricercatori affermano che il paese sembra condannato a rivivere la violenza sanguinaria del suo passato, se le violazioni commesse non saranno pubblicamente denunciate e i responsabili perseguiti penalmente. Mentre molti politici afgani – compresi alcuni diplomatici – esprimono la loro preoccupazione che il report possa scatenare subito un nuovo conflitto civile.
Intitolato "Mappa dei conflitti afgani dal 1978", lo studio, realizzato dall'Afghan Independent Human Rights Commission (AIHRC), riporta in modo preciso i luoghi e i dati relativi a 180 fosse comuni in cui si trovano resti di civili e combattenti fatti prigionieri, molte rinvenute in siti segreti e nessuna compiutamente scavata e riportata alla luce. Inoltre include testimonianze di sopravvissuti e di persone che hanno visto gettare i cadaveri degli assassinati nelle fosse comuni, insieme a dettagli su altri crimini di guerra collegati.
Lo studio è stato commissionato all'interno del "Programma di riconciliazione e giustizia" voluto dallo stesso presidente Hamid Karzai nel 2005 ed è stato completato nel dicembre 2011. La commissione che lo ha realizzato, composta di 40 ricercatori impegnati per sei anni, è stata formata e assistita da alcuni dei maggiori esperti di diritto internazionale e di quella che viene chiamata "giustizia transizionale".
Le notizie che abbiamo sul contenuto di questo lavoro vengono da tre ricercatori e analisti, afgani e internazionali, che hanno lavorato su una grossa sezione del report e hanno fatto queste rivelazioni a condizione di potere mantenere l'anonimato, per timore di ritorsioni e anche perché la Commissione non li ha autorizzati a parlare di questi argomenti in pubblico.
Secondo alcuni attivisti per i diritti umani e diplomatici occidentali, al diffondersi della notizia che il report sarebbe stato sottoposto di lì a poco al presidente afgano, subito alcuni vecchi signori della guerra, tra cui il vice presidente maresciallo Muhammad Qasim Fahim, avrebbero chiesto a Karzai di costringere alle dimissioni l'ideatore e responsabile della ricerca, Ahmad Nader Nadery.
Durante un incontro pubblico lo scorso 21 dicembre 2011, nel quale erano presenti Karzai e alcuni dei massimi esponenti del suo governo, il maresciallo Fahim ha affermato che licenziare Nadery sarebbe stata in effetti una punizione troppo leggera. "Dovremmo semplicemente crivellargli la faccia con 30 colpi di pistola" ha detto, secondo uno dei presenti. Più tardi, Fahim si è scusato per il commento, sostenendo di non avere inteso dire sul serio una cosa simile.
Di fatto, Karzai ha allontanato dal suo incarico Nadery. Ma un portavoce del presidente, Aimal Faizi, ha affermato che è “irresponsabile e falso” dire che il presidente ha licenziato Nadery a causa del report sulle fosse comuni o che voleva cercare di impedirne la pubblicazione. Inoltre, ha aggiunto che le voci sull'incontro pubblico del 21 dicembre con il maresciallo Fahim e gli altri esponenti politici sono “assolutamente prive di fondamento.”
Secondo le parole di Faizi, il signor Nadery ero giunto alla fine del suo incarico, della durata prevista di cinque anni, e il presidente era legalmente autorizzato a sostituirlo: "Questa decisione non ha nulla a che vedere con nessun report dell'AIHRC sulle atrocità di guerra. Siamo convinti che, se c'è veramente un report simile dell'AIHRC, prima o poi verrà fuori e sarà pubblicato".
Le figure accusate nel report di avere avuto responsabilità nelle uccisioni di massa comprendono alcuni dei personaggi più potenti del governo afgano e delle attuali fazioni etniche, compresi politici dell'Alleanza del Nord che cacciò i Talebani nel 2001.
Roma, 2 agosto 2012
AFGHANISTAN/ DI STANISLAO(IDV): GOVERNO CONFERMA BOMBARDAMENTI IN AFGHANISTAN
“Oggi in risposta alla mia interpellanza urgente, il Governo ha finalmente gettato la maschera e confermata la nostra partecipazione alla guerra in Afghanistan.” Lo dichiara Augusto Di Stanislao subito dopo la risposta del sottosegretario Milone in Aula. “Una risposta agghiacciante che ribadisce ancor di più come siamo andati completamente fuori dalla logica che ci ha impegnati in Afghanistan fin’ora. Le giustificazioni del Governo sono inaccettabili e sembrano uscite da un film di guerra. Il parlamento non deve essere semplicemente informato dal Governo, il parlamento deve dare esplicita autorizzazione al Governo. La sicurezza, poi, dei nostri soldati non ha nulla a che fare con il caricare gli aerei di bombe pronte ad essere sganciate in qualsiasi momento.
Non esistono bombe intelligenti esiste una politica intelligente e matura e consapevole che risponda al dettato inequivocabile della costituzione. Se per tenere fede agli impegni assunti a livello internazionale ora non bastano più gli interventi per i quali il Parlamento ha dato mandato allora significa che sono venuti meno i perché della nostra presenza. Significa allora che non abbiamo più alcun motivo per restare, significa che dopo 11 anni non siamo più in condizioni di dare l’aiuto vero e concreto a quella popolazione, significa che la cooperazione allo sviluppo passa in secondo o terzo piano mentre l’Afghanistan e gli afghani hanno bisogno di tutt’altro.
Il governo tecnico non è una gestione commissariale del parlamento, ma anzi per dare forza alle proprie decisioni ha bisogno del suo consenso. In conclusione la transizione non si prepara con le bombe, ma riconsegnando agli afgani la propria dignità di popolo.”