di Gianni Sartori, Rete Kurdistan Italia, 14 novembre 2017
Il 15 novembre a Roma presidio per Nuriyeh e Semih e per la fine dello «stato d’emergenza» in Turchia mentre continuano gli arresti di avvocati. Intanto la Corte europea per i diritti dell’uomo e Federica Mogherini tacciono. Il 17 novembre nel carcere di Sincan (Ankara) si terrà la quarta udienza del processo all’accademica Nuriye Gulmen e al maestro elementare Semih Ozakca.
Per il 15 novembre – ore 17 – cioè due giorni prima, il «Comitato italiano per il rispetto dei diritti umani, della libertà di espressione e per la fine dello stato di emergenza» ha indetto a Roma davanti all’ambasciata turca un presidio di solidarietà con i due insegnanti turchi in sciopero della fame dal 9 marzo e per «denunciare la brutalità del regime turco guidato dall’AKP di Erdoğan».
Un breve riepilogo. In seguito al tentato golpe – vero o presunto ? – del luglio 2016, oltre 150mila funzionari pubblici (fra cui migliaia di accademici universitari) venivano licenziati. Contemporaneamente finivano in carcere circa 3mila giornalisti (180 sono tuttora dietro le sbarre) ma anche avvocati, musicisti (vedi quelli di Grup Yorum) e centinaia di militanti di sinistra.
La protesta di Nuriye e Semih aveva lo scopo di riottenere il posto di lavoro da cui ingiustamente erano stati allontanati. La risposta del governo è stata quella di sottoporli prima a 27 custodie cautelari, poi all’arresto (22 maggio) con l’accusa surreale di «appartenenza ad associazione terrorista». Visto che nonostante l’arresto non desistevano dai loro propositi, li hanno rinchiusi nell’ospedale della prigione di Sincan, in attesa della prima udienza del 14 settembre presso la Corte di Ankara. Dove però non sono mai arrivati. A giustificazione veniva invocata una presunta «scarsità delle forze di polizia atte a vigilare sui due imputati». Imputati che già allora erano “allettati” per evidenti ragioni.