RAI News, 28 settembre 2021
Oltre 220 giudici donna in Afghanistan vivono nascoste nel terrore per paura di ritorsioni da parte dei talebani. Lo denunciano sei di loro alla Bbc informa anonima per tutelarle.
Segnaliamo questo studio che presente la variegata situazione afghana perché sul terreno operano vari gruppi spesso anche in conflitto tra loro.
AD, Analisi Difesa, 28 settembre 2021
Nelle ultime settimane molta attenzione è stata dedicata alla situazione in Afghanistan, un Paese che per 20 anni è stato sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti e della NATO, ma che con il ritiro di questi ultimi si è trovato fragile e indifeso (sia dal punto di vista politico-istituzionale e militari, sia economico e sociale) di fronte al ritorno dei Talebani
ELLE, 27 settembre 2021, di Federica Furino
- Sono medici, attiviste, studentesse che per i loro contatti con gli occidentali rischiavano di essere uccise. Ma sono riuscite a prendere l'ultimo volo per l'Italia. Ascoltatele
«Se fossi rimasta lì, mi avrebbero uccisa: per quello che sono, per quello che dico e per quello che rappresento». Amina ha 26 anni, un inglese perfetto, una laurea e la voce ferma. Parla al telefono senza cedimenti, da un numero che mi sono impegnata a cancellare appena finita l’intervista. Non so dove si trovi. So solo che è atterrata a Roma da Kabul su un aereo militare, con le sue sorelle e altri afghani in fuga, e ora è in quarantena da qualche parte.
Uiki onlus, 24 settembre 2021
"Negli ultimi 5 mesi, ovvero circa 150 giorni, la Turchia ha effettuato quasi 100 attacchi con armi chimiche in aree come Metina, Avashîn e Zap. Tuttavia non ci sono sanzioni contro la Turchia. Non solo non ci sono sanzioni, la questione non è né all’ordine del giorno né c’è alcun esame al riguardo”. Lo scrive Meral Çiçek per Yeni Özgür Politika
Segnaliamo questo articolo che a nostro avviso da un utile inquadramento storico sulla questione afghana
Il Manifesto, 30 agosto 2021, di Lorenzo Kamel
Durante l’«Operazione Afshar» del febbraio 1993 l’allora comandante tagiko Ahmad Shah Masud rivestì un ruolo di primo piano nell’uccisione di migliaia di Hazara afghani, impegnati, per larga parte degli anni Novanta, in una lotta senza quartiere contro i talebani.
Il Manifesto, 26 settembre 2021, di Giuliana Sgrena
Afghanistan. La testimonianza di una studentessa afghana: ««Ora sono di nuovo i talebani a decidere il modo in cui ci dobbiamo di vestire, legare i capelli, ridere. La nostra attività politica ha valore, ma il popolo non può battersi con la pancia vuota»
Sulla terribile situazione che sta vivendo l’Afghanistan abbiamo sentito una giovane studentessa afghana in Italia per un master. Per ovvi motivi di sicurezza non possiamo indicare il suo nome. «L’intero paese è al collasso, sia dal punto di vista istituzionale che economico».
ISPI Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 14 settembre 2021
ONU vs talebani
1,2 miliardi di dollari in aiuti per l’Afghanistan: questa è la cifra concordata dai rappresentanti di circa 40 paesi donatori, riunitisi ieri a Ginevra. Si tratta del doppio di quanto l'ONU aveva indicato come somma necessaria entro fine anno per scongiurare una carestia che avrebbe colpito circa un terzo della popolazione afghana.
La manifestazione di oggi 25 settembre a Roma, che era già stata organizzata e programmata da diverso tempo il cui appello è «La voce delle donne per prendersi cura del mondo» sarà dedicata in parte alla situazione delle donne in Afghanistan.
Il Manifesto, 25 settembre 2021, di Giuliana Sgrena
Oggi a Roma. L'oppressione degli studenti coranici ha una sua specificità insormontabile. Solo individuandola è possibile combattere insieme alle donne afghane. Senza far spegnere i riflettori.
I talebani cercano con appelli internazionali di presentarsi come affidabili ma come dicono le nostre fonti afghane è solo un'operazione di facciata loro non sono cambiati. In questi giorni le forze laiche e democratiche afghane chiedono alla società civile occidentale di creare una grande rete di sostegno alla loro resistenza in Europa, una delle prime richieste è quella di non riconoscere il governo dei talebani.
Il portavoce Mujahed: «Le donne potranno studiare e lavorare, ma nel rispetto della sharia. Le nostre tradizioni sono fondamentali»
IO Donna, 21 settembre 2021, di Valeria Manieri
Lo si poteva intuire dalle foto circolate in rete, la maggior parte degli afghani sfuggiti ai Talebani maschio. Ancora una volta le donne sono state lasciate indietro.
Comunità San Giuseppe Bergamo - Settembre 2021 n. 414
L’occidente non è riuscito a portare democrazia e libertà delle donne, ma una nuova devastante guerra. Metà della popolazione, 18.5 milioni di persone, ha bisogno di assistenza umanitaria.
La decisione degli USA di avviare una trattativa con i talebani, consentendo la liberazione di 5000 miliziani dalle prigioni, e di lasciare l’Afghanistan insieme a tutte le truppe della Nato, ha portato ad una situazione che non può che definirsi di EMER-GENZA UMANITARIA. I talebani stanno riconquistando il paese, provincia dopo provincia, lasciando dietro di loro una scia di morte e devastazione forse mai viste prima.
Secondo quanto riportato al Consiglio di Sicurezza dalla rappresentante speciale del Segretario generale dell’Onu per l’Afghanistan, Deborah Lyons, quel che sta accadendo richiama sempre più quanto avvenuto in Siria o a Sarajevo. Metà della popolazio-ne, 18.5 milioni di persone, ha bisogno di assistenza umanitaria. Centinaia di migliaia di sfollati si sono riversati su Kabul per scappare dalla brutalità e dalla violenza dei talebani e non hanno accesso a cibo, acqua, elettricità, medicine. Le associazioni, le onlus locali e gli attivisti con cui il Cisda lavora da oltre 20 anni, ancora una volta, si stanno attivando per accogliere i loro connazionali in fuga, nonostante il contesto insicuro e drammatico.
Vogliamo cominciare ad aiutarli con un primo doveroso gesto di umanità: stiamo raccogliendo fondi che è necessario inviare in brevissimo tempo, per far sentire che ci siamo e che continueremo a star loro accanto, anche nell’ennesima tragedia che stanno vivendo.
“Vorrei che morissimo tutti”
la condizione degli sfollati nel parco Azadi di Kabul
di Zahra
A seguito della decisione di ritirarsi dall’Afghanistan degli Stati Uniti e degli eserciti alleati della NATO le milizie talebane, con cui sono state avviate le “trattative di pace”, hanno invaso le città, preso il controllo dei capoluoghi di provincia e si sono impadronite facilmente delle vite, delle proprietà e dell’onore del nostro popolo. Migliaia di morti e feriti, saccheggi e incendi di proprietà pubbliche e di case, centinaia di migliaia di famiglie sfollate in altre province, inclusa Kabul, sono i primi risultati della resa di diversi capoluoghi di provincia ai mercena- ri talebani. Il regime fantoccio al potere, creato solo per salvaguardare gli interessi USA, e sorretto solo grazie all’appoggio degli americani non ha fatto altro che tradire le persone di questo paese, lasciandolo nelle mani dei criminali jihadisti e talebani, e ora si è arreso a questi gruppi criminali.
Il 9 agosto 2021, sono andata al Parco Azadi per vedere di persona le condizioni degli sfollati dalla guerra e scrivere un rapporto. La deplorevole situazione di decine di famiglie in fuga in questo parco è una ferita per ogni essere umano. Questo rapporto è un riassunto di ciò che ho visto e sentito.
Non appena siamo scesi dalla macchina, Reyhaneh e il suo bambino di sette anni sono venuti verso di noi. Lei va incontro a ogni nuovo arrivato che entra nel parco; ci ha subito fatto vedere la sua carta d’identità per dimostrare di essere una sfollata di Takhar. Reyhaneh è rimasta per ore in una tenda sotto il sole cocente, indossando il bur- qa, per preparare un boccone di pane per i suoi bambini. Si è anche avvicinata ai passanti ripetendo all’infinito frasi piene di dolore: “Aiutatemi, fratelli”, “I miei bambini hanno fame”. Questa scena mi ha trafitto il cuore e mi ha infuocato il corpo, mentre imprecavo contro tutti i responsabili afghani e stranieri di tanta sofferenza.
Ho iniziato a parlare con una signora che ha subito detto: “Abitavamo nella zona di Seh Takhar. Tre giorni fa, due famiglie sono fuggite. Ho cinque figli. Non abbiamo un posto dove stare. Viviamo sotto un albero e sotto il sole cocente. Siamo sfollati a causa della guerra in corso tra governo e talebani. Da entrambe le parti arrivano solo venti di morte. Nessuno ci aiuta. Non abbiamo un soldo in tasca. La nostra casa è stata data alle fiamme e siamo usciti dalla città con i vestiti che avevamo addosso, sapendo di rischiare la vita”. Ahmad Javid piange- va, disperato e indifeso; ha appoggiato il suo corpo stanco contro un albero ed era indifferente alle grida lontane dei bambini.
Forse stava pensando a un membro della sua famiglia ferito o intrappolato nelle fiamme, o a quando un colpo di mortaio ha colpito la sua casa. Ed è stato il momento peggiore della sua vita... “Sei sfollato?” gli ho chiesto. “Siamo arrivati ieri da Kunduz. Siamo rimasti coinvolti in una feroce battaglia avvenuta durante la notte. Temendo che la situazione peggiorasse, siamo fuggiti e ci siamo nascosti dietro la prigione. Ma i talebani hanno conquistato la prigione e siamo an- dati all’aeroporto, dove da mesi molte persone che non hanno un posto dove andare, colpite dalla guerra e dai colpi di mortaio, vaga- no miseramente sotto le tende. Quando i talebani hanno attaccato la prigione sono dovuto scappare dalla pioggia di proiettili con mia moglie e cinque figli, e siamo arrivati qui, nel cuore della notte; non ho un soldo e nessuno che me ne possa prestare. Io posso sopporta- re la fame, ma come posso guardare negli occhi i miei figli, vedete che piangono per la fame? Non so che fare, non riesco più a pensare, vorrei solo che morissimo tutti...”.
Con il passare dei minuti, nel parco aumentava il numero degli sfollati interni, per lo più provenienti dalle province settentrionali. Vedendo vecchi, giovani e bambini sotto il sole cocente vivere i momenti più amari della loro vita io, come essere umano, mi sono vergognata per non essere riuscita a dar loro nemmeno un piccolo aiuto. Ho visto persone scendere da veicoli blindati con i vetri oscurati, mentre le loro guardie del corpo facevano in modo che gli sfollati si allonta- nassero dal veicolo; fingevano di essere “sconcertati”, hanno fatto il giro del parco e, dopo essersi fatti un selfie con le famiglie di sfollati, hanno concluso lo spettacolo e se ne sono andati.
Mujib Nabina, non vedente, si è presentato come rappresentan- te di dieci famiglie sfollate da Takhar e ci ha detto: “Le nostre die- ci famiglie sono sfollate da una zona della città di Takhar. Dopo lo scoppio della guerra, un colpo di mortaio ha colpito la nostra casa, e sei bambini sono rimasti gravemente ustionati. Di questi, quattro sono ricoverati all’ospedale pediatrico e gli altri due sono all’ospe- dale Esteqlal. Non abbiamo portato con noi altro che i vestiti che indossiamo. Tutta la nostra vita è stata in guerra, sotto le bombe e i colpi di mortaio. Siamo rovinati e disperati, e ora tutti vengono e scattano foto ci fanno una promessa e se ne vanno. Ci domandiamo cosa dobbiamo fare”.
Una ragazza di Kunduz, che mentre parlava tratteneva il respiro, ci ha detto, piena di dolore: “Verso le dieci del mattino sono ar-rivati a Kunduz e poi sono iniziati i bombardamenti sulle nostre case. Il mio fidanzato, un militare dell’esercito, si trovava con 38 colleghi nel comando di Kunduz che è stato circondato dai tale- bani; solo lui è sopravvissuto. Lo abbiamo portato a Kabul con grande difficoltà. Lui e i suoi colleghi non si sono arresi. Ora è ricoverato in un ospedale militare a Kabul, gravemente ferito. I talebani sono entrati e hanno saccheggiato l’edificio. Prima dell’assalto al comando i funzionari e i capi militari sono fuggiti all’aeroporto di Kunduz e da lì a Kabul, ma i poveri soldati sono stati uccisi e feriti. La mia famiglia è composta di 12 persone e solo mio fratello è rimasto a casa. Siamo usciti di casa solo con i vestiti che avevamo addosso. Chi ci ha portati da Kunduz a Kabul ha voluto 12.000 afgani [NdR, unità di moneta afghana equiva- lente a circa 130 euro]”.
Migliaia di talebani sono stati liberati dalle prigioni e gli occupanti stranieri, USA e Khalizad in testa, hanno consentito che questi criminali versassero il sangue dei nostri compatrioti.
Ilmanifesto.it Giuliano Battiston 18 settembre 2021
Da oggi scuole aperte in tutto l’Afghanistan per i bambini delle medie e delle superiori. Chiuse invece per le bambine. Il provvedimento del ministero dell’Istruzione è stato promulgato ieri, lo stesso giorno in cui la scritta esterna dell’ex ministero per gli Affari femminili, nel quartiere centrale di Shahr-e-Now a Kabul, è stato sostituita da quella del ministero per la Preghiera, la Guida, la Promozione del Virtù e la prevenzione del vizio, il ministero che al tempo del primo Emirato gestiva la famigerata polizia morale.
Pressenza.com Fiorella Carollo 11 settembre 2021
A Milano, a Roma, a Trieste, in Sicilia e in tante realtà italiane si stanno costruendo reti di donne che cercano di collaborare attorno all’obiettivo di mantenere desta l’attenzione sulla questione afghana.
Patriaindipendente.it - 16 settembre 2021
Sosteniamo la loro resistenza nella coraggiosa battaglia per i diritti attraverso progetti di associazioni quali Cisda, restate nel Paese accanto alla popolazione civile, mettendo a rischio anche la sicurezza di operatrici e operatori, ribadiamo l’appello per una grande mobilitazione e per l’apertura di corridoi umanitari.
Da settimane l’Afghanistan è ripiombato nell’incubo dell’integralismo talebano che, con particolare accanimento, è tornato a violare i diritti di libertà e autodeterminazione delle donne, specchio del grado di civiltà di ogni società.
Nel corso degli ultimi anni, nonostante il permanere di uno scenario di guerra e di occupazione militare da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, le donne afghane, in particolare delle realtà urbane, erano riuscite, seppur relativamente, ad avviare, attraverso lo studio, il lavoro e la partecipazione a funzioni istituzionali, un percorso di riconoscimento della loro soggettività e a migliorare le loro condizione di vita.
Ora, la caotica modalità con cui gli Stati Uniti hanno dato luogo al ritiro militare e la contestuale occupazione del territorio da parte dei talebani, oltre al permanere di condizioni di instabilità, ha immediatamente riproposto il tema dell’eliminazione di quei diritti e di quelle conquiste, e il pericolo altissimo che possono correre le donne che si sono esposte per il progresso della società intera.
Nonostante tali pericoli e le limitate informazioni, in questi giorni, a Herat, Kabul e in altre aree del nord del Paese, abbiamo potuto vedere che le donne, con una straordinaria forza di ribellione e di idee, sono scese in piazza per rompere il silenzio e hanno coraggiosamente manifestato al grido di “diritti e libertà”.
Le donne afghane chiedono che vengano garantiti il diritto all’educazione, la libertà di parola, la possibilità di contribuire alla vita politica e sociale.
In Afghanistan a sostegno delle donne e non solo, operano diverse associazioni, tra queste, da oltre due decenni, c’è il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane Onlus (Cisda), che è riuscito a tessere una preziosa rete di relazioni a supporto delle attiviste locali con la presentazione di molteplici progetti e che in diverse città italiane ha già organizzato iniziative.
Ci piace segnalare “Vite Preziose”, finalizzato al sostegno a distanza delle donne afghane che intendono sfuggire dalla violenza e raggiungere l’autodeterminazione personale e politica. Tramite Hawca, il partner afghano di Cisda, sono nate una casa protetta, un centro culturale e un centro di aiuto legale.
Nel mese di luglio scorso il Coordinamento nazionale donne Anpi aveva inviato una lettera di condivisione e di adesione al progetto. E a seguito del precipitare degli eventi di agosto, ha lanciato un appello che richiama la necessità, a fronte della nuova, devastante emergenza umanitaria, di una mobilitazione urgente, anche di solidarietà materiale.
Per tali ragioni, va dato pieno sostegno alle associazioni che hanno deciso di rimanere nel Paese accanto alla popolazione civile, con un enorme rischio per la stessa sicurezza delle proprie operatrici e operatori.
L’appello più urgente che le organizzazioni umanitarie lanciano a tutti i Paesi è quello di aprire corridoi umanitari non solo per gli stranieri residenti in Afghanistan e per quanti hanno collaborato con la comunità internazionale ma anche per chi è nel mirino dei talebani, a cominciare dalle donne, ampliando la rete di sostegno alla popolazione femminile che cerca di resistere.
La locandina della manifestazione “TULL QUADZE/TUTTE LE DONNE. La voce delle donne per prendersi cura del mondo”
La solidarietà alle donne afghane sarà parte rilevante della manifestazione nazionale delle donne “TULL QUADZE/TUTTE LE DONNE. La voce delle donne per prendersi cura del mondo” promossa dall’assemblea della Magnolia che si svolgerà a Roma il prossimo 25 settembre che vedrà anche la partecipazione del Coordinamento nazionale donne dell’Anpi.
Dire.it 15 settembre
Lorena Di Lorenzo fa un appello, soprattutto ai giornalisti: "Conoscere le storie è importante, ma dovete mettere le persone anche nelle condizioni di prendere parola e di dirci qual è il loro pensiero"
ROMA – Non fermarsi alle storie e ai traumi personali, ma andare oltre. Ascoltando idee e proposte di persone che spesso hanno “coscienza sociale” e “ricchezze” da condividere. È l’appello di Lorena Di Lorenzo, presidente di Binario 15, associazione nata dieci anni fa alla Stazione Ostiense al fianco di famiglie e minori soli giunti a Roma dall’Afghanistan.
Agenzia DIRE Francesco Mazzanti 13 settembre2021
Alla manifestazione dedicata ai Paesi più poveri del mondo le voci delle diaspore, con l'Afghanistan in primo piano.
ROMA – “No ai talebani, no all’imperialismo”: un videomessaggio delle donne di varie nazioni, dalla Tunisia al Marocco, dal Mozambico alla Palestina e fino a Cuba, ha segnato all’università di Tor Vergata di Roma la terza e ultima giornata di ‘The Last 20‘, una manifestazione dedicata ai Paesi più poveri del mondo.
Contropiano.org Patrick Boylan * 14 settembre 2021
Il noto programma TV australiano “Four Corners”, simile a “Report” e “Presa Diretta” in Italia, ha ritrasmesso il video di un soldato australiano mentre uccide un civile afghano in sangue freddo. Si riaccende la polemica intorno alle “forze speciali” e a come vengono addestrate.
Talebani preferiti alle truppe occidentali: perché?
Come mai la stragrande maggioranza degli afghani ha preferito la repressione dei Talebani all’oppressione occidentale? I nostri mass media cercano invano di negare questo fatto evidente, facendoci sentire in TV soltanto le voci di quegli afghani pro-occidentali che rimpiangono la partenza delle truppe di occupazione. Ma si tratta di una piccola minoranza soltanto, concentrata in alcune grandi città. In tutto il resto del paese, le popolazioni hanno festeggiato la partenza delle truppe USA/NATO. Come mai?
Sinistrasindacale.it - NUMERO 16 - 2021 - Linda Bergamo - 12 settembre 2021
“Abbiamo già bruciato i nostri libri…’’, mi racconta Hafiza al telefono. ‘‘Le milizie taliban passano di casa in casa dicendo che vengono a cercare le armi. Noi sappiamo che in realtà cercano di capire chi siamo, se abbiamo lavorato col governo o con gli americani, se abbiamo studiato o se abbiamo fatto politica. Un quartiere dopo l’altro, arrivano. Tra qualche giorno saranno qui’’.
C’è un solo tipo di musica autorizzato dal regime talibano, ancora diffusa dalle autoradio delle macchine ferme all’incrocio. Pattuglie di taliban camminano per la strada, o osservano la gente seduti a bordo dei pick up. C’è chi cerca di scappare, nei Paesi vicini, in Europa o negli Usa, le immagini dell’aeroporto di Kabul lasciano l’amaro in bocca. L’Afghanistan sembra in attesa. In attesa di sapere se sarà formato un governo di coalizione fra taliban e alcuni membri del governo precedente. In attesa di sapere quali saranno le regole di questo nuovo periodo storico. In attesa di ritirare soldi dalle banche, perché sono tutte chiuse. La preoccupazione più grande è quella di finire le scorte, di non avere più nulla da mangiare. Cosa ne sarà degli ospedali, delle scuole, delle istituzioni? I fondi internazionali sono stati bloccati. Forse saranno usati come leva da parte della comunità internazionale per imporre condizioni volte al rispetto dei diritti umani.
Al di là dell’incertezza e della paura, c’è la resistenza. La resistenza in Afghanistan assume tante forme, alcune più visibili di altre, nello spazio pubblico o privato. All’indomani della presa di Kabul, una parte della popolazione è scesa in piazza con le bandiere tricolori, manifestando contro i nuovi detentori del potere. La maggior parte delle manifestazioni sono state represse nel sangue, quelle invece mediatizzate sembravano voler rassicurare il popolo che i taliban sono aperti alle forme di protesta.
Globalist.it - Umberto De Giovannangeli - 13 settembre 2021
Il Regno Saud, culla del wahabismo e finanziatore di al-Qaeda. Il Regno Saud, il più stretto alleato, con Israele, degli Stati Uniti in Medio Oriente. In questa forbice c’è la spiegazione del fallimento della “guerra al terrorismo” jihadista.
Quei documenti esplosivi
Il Federal Bureau of Investigation (Fbi) ha diffuso il primo di una serie di documenti relativi alla sua indagine sugli attacchi terroristici dell'11 settembre e al sospetto sostegno del governo saudita ai dirottatori, dopo un ordine esecutivo del presidente Joe Biden. Il documento, che risale al 2016, fornisce una serie di dettagli circa le indagini dell'Fbi sul presunto supporto logistico che un funzionario consolare saudita e un sospetto agente dell'intelligence saudita a Los Angeles avrebbero fornito ad almeno due degli uomini che hanno dirottato gli aerei l'11 settembre 2001.
In particolare descrive molteplici connessioni e testimonianze che hanno spinto l'FBI a sospettare di Omaral-Bayoumi, ufficialmente uno studente arabo a Los Angeles, sospettato di essere un agente dell'intelligence saudita che avrebbe poi fornito "assistenza di viaggio, alloggio e finanziamenti" ai due dirottatori.
Si fa anche riferimento a Fahad al-Thumairy, all'epoca un diplomatico accreditato presso il consolato saudita a Los Angeles che secondo gli investigatori guidava una fazione estremista nella sua moschea. Il rapporto di 16 pagine, pubblicato nel 20° anniversario degli attacchi, è il primo documento investigativo ad essere divulgato da quando il presidente Joe Biden ha ordinato una revisione e declassificazione di materiali che per anni sono rimasti segreti.