Afghanistan: l’Arabia Saudita prende il posto della Cina nella corsa al gas e alle risorse
it.insideover.com Guglielmo Calvi 27 ottobre 2025
 Le risorse minerarie e idrocarburifere dell’Afghanistan per troppo tempo non sono state sfruttate nell’ambito dello sviluppo energetico, ma il Governo di Kabul adesso è pronto ad accedere ai tesori del sottosuolo facendo sponda con partner stranieri. Se dapprima gli afghani hanno stretto la mano tesa loro dai cinesi, ora hanno steso i tappeti rossi a un importante attore energetico del Medio Oriente: l’Arabia Saudita. Il 23 ottobre, il ministro delle Miniere e del Petrolio, Mullah Hidayatullah Badri, e l’amministratore delegato della Saudi Delta International Company, Ale Saeed Al-Khayar, hanno sottoscritto un memorandum d’intesa che impegna l’azienda di Riad a investire nell’estrazione di petrolio e gas nella regione e a completare, seppur parzialmente, un’infrastruttura nevralgica per gli equilibri economici-energetici dell’Asia centro-meridionale: il gasdotto TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India). Se, da una parte, tale accordo rappresenta un cambio di passo per il mercato di Kabul, dall’altra è la prima pietra per la costruzione di fondamenta solide per l’avvio di una nuova stagione diplomatica e commerciale.
Le risorse minerarie e idrocarburifere dell’Afghanistan per troppo tempo non sono state sfruttate nell’ambito dello sviluppo energetico, ma il Governo di Kabul adesso è pronto ad accedere ai tesori del sottosuolo facendo sponda con partner stranieri. Se dapprima gli afghani hanno stretto la mano tesa loro dai cinesi, ora hanno steso i tappeti rossi a un importante attore energetico del Medio Oriente: l’Arabia Saudita. Il 23 ottobre, il ministro delle Miniere e del Petrolio, Mullah Hidayatullah Badri, e l’amministratore delegato della Saudi Delta International Company, Ale Saeed Al-Khayar, hanno sottoscritto un memorandum d’intesa che impegna l’azienda di Riad a investire nell’estrazione di petrolio e gas nella regione e a completare, seppur parzialmente, un’infrastruttura nevralgica per gli equilibri economici-energetici dell’Asia centro-meridionale: il gasdotto TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India). Se, da una parte, tale accordo rappresenta un cambio di passo per il mercato di Kabul, dall’altra è la prima pietra per la costruzione di fondamenta solide per l’avvio di una nuova stagione diplomatica e commerciale.
La cattedrale nel deserto: il gasdotto TAPI
A parlare del TAPI si è iniziato negli anni Novanta, ma poi l’infrastruttura ha conosciuto diverse battute d’arresto e non ha ancora visto la luce. L’idea originaria consisteva nell’approvvigionare l’Asia meridionale (India e Pakistan) di gas naturale grazie alle vastissime riserve in Turkmenistan, ma l’instabilità e i conflitti che da decenni lacerano la società afghana hanno rallentato i tempi di realizzazione e fatto del progetto un vero e proprio miraggio ingegneristico e geostrategico.
Nonostante ciò, dei piccoli progressi sono stati compiuti. Nel 2024, il primo tratto del gasdotto è stato ultimato in Turkmenistan e il prossimo obiettivo è quello di raggiungere la città afghana di Herat. Non a caso, già ad agosto dello scorso anno, il Governo turkmeno si era detto disponibile a collaborare con Kabul per lo sviluppo dell’infrastruttura dopo alcune rimostranze a seguito del ritorno al potere dei talebani. Se le tubazioni fossero messe a terra fino a Herat, il gasdotto avrebbe un’estensione di 70 km, molto più breve rispetto a quanto concepito oltre 30 anni fa, ma dato lo stato di tensione, più o meno perenne, che scuote il confine Nuova Delhi e Islamabad non può essere diversamente, almeno per il momento.
Sebbene l’Afghanistan non abbia ancora a regime il potenziale umano e infrastrutturale necessario, grazie agli accordi con il Turkmenistan e l’Arabia Saudita potrebbe allontanare la nuvola nera della guerra da cui, per troppo tempo, è precipitata pioggia che ha insanguinato il Paese centro-asiatico.
La parabola cinese
Nel 2021, gran parte del mondo si è premurato di isolare diplomaticamente e commercialmente l’Afghanistan in segno di condanna nei confronti dei talebani. Un Paese, però, ha fatto da controcanto a tutti gli altri: la Cina. Pechino è stata tra le prime a tendere la mano a Kabul per “fare affari” e il primo accordo siglato da ambo le parti prevedeva l’estrazione di oro nero nel bacino dell’Amu Darya. L’azienda cinese Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Co., Ltd (Capeic) si era impegnata a dare forma a una partnership con il Governo afghano che implicava una vastissima produzione di barili di greggio per un quarto di secolo, oltre che l’investimento di milioni di dollari per lo sviluppo dei giacimenti.
Nonostante i buoni propositi, il patto si è sciolto come neve al sole. Kabul ha accusato Pechino di non aver onorato gli obblighi contrattuali non versando i soldi previsti nel primo triennio, mentre i cinesi hanno denunciato atteggiamenti intimidatori da parte delle autorità afghane che vanno dalla cacciata dei loro tecnici dai pozzi petroliferi fino all’impossessarsi delle attrezzature impiegate nelle estrazioni. Un dipendente della Capeic ha dichiarato a NPR: “La loro mentalità imprenditoriale (dei talebani, ndr) non include risultati vantaggiosi per tutti. Come un bandito che commette una rapina, pensano: se mi piace, allora è mio”. Dopo questo scambio infuocato di accuse, la Cina ha fatto un passo indietro mandando a monte anche le trattative riguardanti la lavorazione dei metalli preziosi, quali il litio e il rame.
Lo spazio lasciato vuoto dal Dragone potrebbe dunque essere occupato da Riad, ma siamo sicuri che quest’ultima riuscirà nell’impresa? La Cina nell’ultimo decennio ha maturato una grande esperienza nelle negoziazioni con governi di ogni tipo in relazione all’espansione della Nuova Via della Seta ma, nonostante ciò, ha riscontrato grandi difficoltà con i talebani. L’Arabia Saudità potrà incidere più agevolmente sul panorama energetico dell’Afghanistan? La prosecuzione del TAPI potrebbe suggerire di sì, ma si sa ormai che, nel mondo di oggi, l’energia è sempre più l’ago della bilancia mediante cui si ridisegnano gli equilibri diplomatici. Basta un attimo e il piatto può pendere dall’altra parte.
 
 
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