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COS’È ACCADUTO ALLA DELEGAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE VERSO IL KURDISTAN IN IRAQ?

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labottegadelbarbieri.org Cecco Bellosi 11 giugno 2025

Ricostruzione di quanto accaduto alla delegazione dell’Associazione Verso il Kurdistan che, come ogni anno, si reca in Iraq per monitorare i progetti con la popolazione Yazida

Una delegazione dell’“Associazione Verso il Kurdistan Odv” avrebbe dovuto rimanere in Iraq dal 17 al 30 maggio 2025: invece è stata costretta a un rientro anticipato il 27 maggio dal governo iracheno.

Gli obiettivi del viaggio erano tre: incontrare gli abitanti del campo rifugiati di Mackmour, per il quale l’Associazione ha finanziato negli anni scorsi la costruzione di un presidio sanitario; incontrarsi con gli esponenti dell’Amministrazione autonoma yazida e il personale dei presidi sanitari per fare il punto sulla costruzione dell’ospedale di Duhla, finanziato finora con 70.000 dollari raccolti grazie alle campagne di sensibilizzazione dell’Associazione; verificare lo stato dei lavori e le priorità più urgenti.

Gli yazidi nel 2014 hanno subito un genocidio da parte dell’ISIS, che ha massacrato migliaia di uomini, rapito e schiavizzato migliaia di donne e bambini.

Il 24 maggio la delegazione è arrivata a Kamashor, nel distretto di Shengal (Sinjar in arabo), la “montagna sola”, e nel pomeriggio ha visitato il cimitero dei martiri caduti/e nella guerra di resistenza contro l’ISIS, tra cui molti ragazzi e ragazze. C’è stato poi il primo incontro con una esponente dell’Amministrazione autonoma.

Nessun problema ai check point.

Nella giornata di domenica 25, al mattino, la delegazione ha incontrato il personale medico e infermieristico del piccolo ospedale di Kamashor, ormai in funzione e che fornisce prestazioni ambulatoriali e di primo intervento alla popolazione.

Gratuitamente.

Nel pomeriggio di domenica, la delegazione doveva essere accompagnata al presidio sanitario di Serdest, situato sui primi contrafforti della montagna di Shengal. Per il viaggio eravamo stati divisi in due gruppi: quattro persone su un pick-up guidato da un ragazzo e sette persone su un pulmino alla cui guida c’era un uomo, tutti e due designati dall’Amministrazione autonoma. Al primo check point, il pick-up è passato senza problemi; il pulmino invece è stato fermato e sono stati richiesti i passaporti dei passeggeri.

Tutti corredati di un regolare visto rilasciato dall’Ambasciata irachena in Italia, con successivo timbro sul documento apposto dalla polizia all’arrivo all’aeroporto di Baghdad sabato 17 maggio 2025.

Quindi, sia prima della partenza dall’Italia sia all’arrivo in Iraq.

Invece i sette componenti della delegazione, con il capo-delegazione Antonio Olivieri e l’autista, sono stati fermati e scortati da due mezzi militari fino a una grande caserma dell’esercito situata a Shengal. Ritirati passaporti e telefonini che sono stati riconsegnati al momento della partenza per l’Italia. Nella caserma di Shengal sono stati interrogati per ore senza supporto di alcun avvocato e interprete. Poi, da lì sono stati portati a Mosul, dove sono stati trattenuti da uomini dei servizi per tutta la notte in una cella di sicurezza della polizia. Solo il giorno dopo sono stati portati a Baghdad, non in ambasciata, però, ma presso la sede centrale dei servizi di intelligence, dove sono stati interrogati alla presenza dell’ambasciatrice italiana e del comandante dei carabinieri presso l’ambasciata italiana a Baghdad. Ennesima perquisizione e ritiro dei notes con gli appunti. L’accusa formulata era di sostegno al terrorismo!

Un’odissea di circa trenta ore, da Shengal a Baghdad, in corsa su un pulmino di proprietà dell’autista, senza sosta per un pranzo. L’autista è stato rilasciato dopo l’interrogatorio a Baghdad della delegazione.

Solo dopo questo ulteriore passaggio i sette componenti della delegazione hanno potuto essere accolti presso l’ambasciata italiana.

Nel frattempo, gli altri componenti della delegazione: tre donne tra cui la capodelegazione Lucia Giusti e un uomo, sono stati accompagnati da esponenti dell’Amministrazione autonoma nella casa del popolo in cui erano ospiti. Da lì si sono messi in contatto con la Farnesina e con l’Ambasciata italiana in Iraq, che si è subito mossa per garantire l’accoglienza presso la propria sede in attesa di un volo di ritorno imposto a quel punto dal governo iracheno prima della scadenza naturale del viaggio.

Il secondo gruppo poi ha raccolto i bagagli, compresi quelli dei sette dell’altro gruppo, ed è stato accompagnato durante la notte in una nuova casa. Da lì, il mattino dopo la capo-delegazione si è messa in contatto diretto con l’ambasciatrice: il governo iracheno avrebbe garantito l’accompagnamento diretto fino a Baghdad, a evitare problemi ai check point. Anche in questo caso, però, dapprima il gruppo è stato portato in una caserma militare, scortato dai soldati per un breve tragitto e poi consegnato ad agenti dei servizi di intelligence, i quali all’inizio hanno garantito a parole che la meta immediata sarebbe stata, come da accordi, l’ambasciata di Baghdad.

Invece, superata Mosul in direzione della capitale irachena, il pick-up su cui viaggiavano i passeggeri e l’altro con i bagagli hanno fatto un’improvvisa inversione a U sull’autostrada per tornare evidentemente a Mosul, con gli agenti che continuavano a sostenere invece che l’ambasciata era la meta diretta. Come a dire che per andare a Roma da Firenze si va in direzione di Milano.

Infatti, i quattro esponenti della delegazione sono stati portati nella sede dei servizi di intelligence di Mosul e interrogati in uno spazio sotterraneo davanti a una cella di sicurezza, ad alludere che quella sarebbe stata il ricovero per la notte o per le notti seguenti.

Già, perché la prima accusa formulata è stata quella di essere fiancheggiatori del PKK, reato per il quale in Iraq è prevista la pena di morte. Il gruppo allora ha risposto che, se si era indagati, doveva esserci anche la possibilità di una difesa legale. Poi questa accusa è stata accantonata, ma l’interrogatorio è proseguito fino all’una di notte. Il gruppo ha ribadito che l’“Associazione Verso Il Kurdistan” è un ente di volontariato che in questo momento si occupa in particolare della costruzione di un ospedale a Duhla, nel territorio abitato dalla popolazione yazida e che l’obiettivo del viaggio era quello di portare aiuti concreti.

Cosa che è stata fatta.

Inoltre, il gruppo ha ricordato agli agenti che dal 2022 sono stati fatti quattro viaggi in territorio yazida: nel primo la delegazione dopo alcune vicissitudini era stata portata a Shengal da due agenti dei servizi di sicurezza che erano rimasti lì, con loro, per tutto il tempo della visita; nel 2023 di nuovo alcuni agenti dei servizi avevano trattato sulla presenza per una settimana e non per un solo giorno della delegazione nel distretto di Shengal; nel 2024 la delegazione era potuta arrivare presso la popolazione yazida senza problemi. Solo quest’anno c’è stato questo intervento repressivo nei confronti di un viaggio a scopo umanitario.

Alla fine dell’interrogatorio gli agenti volevano far dormire il gruppo nella cella di sicurezza; al rifiuto netto ricevuto, il gruppo è stato portato a dormire in un ufficio. Il mattino dopo, alle quattro, si è ripartiti per Baghdad, ma ancora una volta il gruppo non è stato portato in ambasciata, ma nella sede centrale dell’intelligence iracheno. Lì si è svolto un nuovo interrogatorio, alla presenza però in questo caso dell’ambasciatrice italiana. Da parte nostra è stata ribadita la motivazione del viaggio. Alla fine ci è stato detto, a parole e con nessun documento scritto, che l’Associazione è riconosciuta in Italia ma non in Iraq. Non si capisce però allora perché nei precedenti viaggi il gruppo è stato scortato verso la meta dai servizi. Inoltre, non è stato emanato nei nostri confronti alcun decreto di espulsione.

Il motivo evidentemente è un altro: la pressione della Turchia sul governo iracheno a isolare la popolazione yazida e a impedire il ritorno di molti profughi in luoghi abitati da loro da millenni. Una montagna considerata strategica perché situata al confine a ovest con il Rojava e a nord proprio con la Turchia, che continua a colpire con i droni un popolo che nel 2014 ha subito un genocidio riconosciuto dall’ONU e dal parlamento europeo, ma che ha saputo riconquistare la propria terra sconfiggendo l’ISIS e costruendo una forma di governo del territorio ispirata alla democrazia di base, a una concreta parità tra uomo e donna, all’ecologia umana e ambientale.

Per questo, nonostante il rientro anticipato imposto senza motivi dal governo iracheno, la nostra Associazione continuerà a sostenere la popolazione yazida, soprattutto con i progetti per l’istruzione e la sanità, i due principi cardine su cui può rinascere una società dopo essere stata distrutta.

Pensiamo che sia urgente anche il riconoscimento del genocidio da parte del parlamento italiano.

Associazione Italiana Verso il Kurdistan

 

 

Dal 2022, l’Associazione Verso il Kurdistan Odv ha fatto quattro viaggi, organizzati in delegazioni, per portare aiuti concreti alla popolazione yazida, finanziando soprattutto la costruzione di presidi sanitari e in questo momento la costruzione di un ospedale – l’ospedale di Duhla, in una zona di 30 mila abitanti totalmente sprovvista di qualsivoglia struttura sanitaria – oltre ad altri aiuti per le scuole. Istruzione e sanità, i due principi base da cui può partire la rinascita di una società. Nelle delegazioni sono sempre stati presenti medici, operatori sanitari, sindacalisti e persone impegnate nel lavoro sociale.

Nel 2022, la prima delegazione, nella quale erano presenti Zerocalcare, che a Shengal ha dedicato una delle sue opere, e la giornalista Chiara Cruciati, che poi ha scritto il libro “La montagna sola” dedicato sempre alla storia della popolazione yazida, ha incontrato difficoltà ad alcuni check point presidiati da milizie locali. A quel punto due agenti dei servizi segreti iracheni hanno accompagnato i componenti della delegazione a Shengal e sono rimasti lì con loro per due settimane, ufficialmente a tutela degli stessi.

Nel 2023, la delegazione è stata scortata, negli ultimi cento chilometri, sempre da due agenti: dopo una faticosa trattativa, ha avuto il permesso di rimanere fino al giorno della partenza stabilita.

Nel 2024, la delegazione è arrivata a Shengal senza nessun problema.

Quest’anno invece è capitato il sequestro per due giorni e una notte dei/delle componenti della delegazione da parte dei servizi segreti iracheni, come si trova scritto in maniera dettagliata nel comunicato dell’Associazione Verso il Kurdistan. Semplicemente una cosa inaccettabile, anche perché alla fine non è stata contestata alcuna accusa e non è stato emesso nessun decreto di espulsione.

Il contesto

L’Associazione Verso il Kurdistan ha organizzato il viaggio di quattro delegazioni a partire dal 2022 in Iraq, nel distretto di Shenga (Sinjar in arabo), dove vive la popolazione yazida (o ezida), da millenni. Gli yazidi sono stati sottoposti, nel corso della Storia a diversi massacri, ferman li chiamano loro, ma sono sempre stati tenacemente determinati a rimanere su quella che considerano da millenni la loro terra.

L’ultimo massacro, avvenuto il 3 agosto del 2014, ha visto come loro carnefice l’ISIS (o Daesh, come viene chiamato in Medio Oriente). Un vero e proprio genocidio, riconosciuto dall’ONU, dal Parlamento europeo e in agenda da ormai troppo tempo presso il Parlamento italiano.

Migliaia di uomini uccisi, migliaia di donne e bambini resi schiavi.

Decine di migliaia di soldati iracheni e 12.000 peshmerga, che teoricamente erano schierati a difesa della popolazione yazida, sono fuggiti lasciando le armi ai millecinquecento miliziani del califfato che avevano scatenato l’attacco contro Shengal.

Gli e le yazide sopravvissuti sono fuggiti verso le montagne, complessivamente in 350.000: il loro esodo. Lì hanno trovato poche decine di militanti del PKK, che li hanno aiutati ad aprirsi un varco verso la Siria, ma anche a costituirsi in unità di autodifesa maschili e femminili. Queste formazioni nel 2017 sono riuscite a riprendersi la città di Shengal, cacciando l’ISIS. Da allora si sono date una forma di autogoverno territoriale, fondato sui principi del confederalismo democratico: democrazia di base, assoluta parità tra uomo e donna, ecologia ambientale e sociale.

Faticosamente poi, gli/le yazide stanno ritornando dai campi profughi e hanno cominciato a costruirsi delle piccole case in mattoni partendo dalle tende donate dall’UNHCR. Perché l’ISIS prima e i bombardamenti americani contro lo Stato Islamico poi, hanno distrutto quasi tutto.

A questa popolazione, l’Associazione Verso il Kurdistan, che in precedenza aveva finanziato la costruzione di un presidio sanitario nel villaggio di Serdest e aveva contribuito a realizzare alcuni progetti (la ristrutturazione di due asili per l’infanzia, una scuola di computer e di lingua madre, una sartoria per le donne), ha dedicato i fondi raccolti con donazioni o attraverso le sue campagne di sensibilizzazione.

 

 

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