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Belquis Roshan. “Soltanto noi possiamo liberarci davvero dei Talebani”

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Altreconomia, 9 luglio 2025, di Cristiana Cella

Intervista alla ex senatrice del Parlamento afghano, costretta alla fuga dal suo Paese per la terza volta. Ora vive in Germania, schiacciata dal “senso di sconfitta che è più forte del sollievo per lo scampato pericolo”. La resistenza clandestina al regime, il ruolo manipolatorio degli Stati Uniti, il tentativo di ritrovare la speranza. A quasi quattro anni dalla “caduta” di Kabul e dal disastro dell’occupazione occidentale.

In Afghanistan non poteva più restare, Belquis Roshan, ex senatrice del Parlamento afghano (componente dal 2011 della Camera Alta, Meshrano Jirga, e dal 2019 della Camera Bassa, Wolesi Jirga). È dovuta scappare per non essere uccisa. Ma il senso di sconfitta è più forte del sollievo per lo scampato pericolo.

“Ogni momento, da quando sono uscita dall’Afghanistan, è stato difficile. Ho cercato di fare del mio meglio per migliorare il mio Paese ma siamo stati traditi e abbiamo fallito. Sono stata costretta ad andarmene da sola, tutta la mia famiglia è rimasta lì”.

Roshan era molto conosciuta, dalla sua posizione in Parlamento aveva sempre denunciato crimini, corruzione e tradimenti, si era sempre battuta per i diritti delle donne e contro tutti i fondamentalisti islamici che lo infestavano. I nemici non le mancavano. L’abbiamo incontrata a Roma, dove ha parlato alla conferenza stampa alla Camera dei deputati, promossa dal Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda) per presentare i risultati della petizione “Stop Fondamentalismi – stop Apartheid di genere”.

Belquis Roshan, non è la prima volta che lascia il suo Paese, giusto?
BR Questa è la terza fuga. Ero scappata con la mia famiglia ai tempi dell’invasione russa e del primo governo talebano ma non immaginavo di ripercorrere di nuovo questa strada. Per tutto il primo anno, dopo l’arrivo dei Talebani a Kabul, ho sperato di poter restare. Ma poi nel 2022 alcuni politici afghani dell’ex governo sono stati picchiati, torturati, trascinati per strada e uccisi. Dopo questo episodio i miei compagni hanno fatto molta pressione perché partissi. Mi dicevano: “Se tu rimani, ti arrestano e noi restiamo senza speranza. Sarebbe una vergogna per tutto il movimento di resistenza perché non siamo riusciti a proteggerti. All’estero potresti avere la possibilità di aiutarci da fuori”.

È stato difficile arrivare in Europa?
BR Sì, difficile e pericoloso. Pochi mesi prima dell’arrivo dei Talebani a Kabul, il governo ci aveva obbligato a prendere un passaporto diplomatico. Con quel tipo di documento non potevo passare la frontiera, il rischio di essere riconosciuta era alto. Una persona ha portato il mio passaporto in Pakistan e io sono andata a piedi, clandestinamente, attraverso le montagne, con altre persone sconosciute. Un viaggio difficilissimo che molti afghani sono costretti a fare.

Come si sente adesso nella sua vita in Germania?
BR Ho una grande responsabilità, quella di denunciare quello che sta succedendo nel mio Paese, come vivono le persone, le donne soprattutto, e la condizione dei rifugiati in Iran e Pakistan. Ogni volta mi chiedo che colpe hanno gli afghani per dover vivere una simile tragedia da così tanto tempo.

In Afghanistan era molto popolare, aveva tanti sostenitori che credevano in lei. Ha ancora contatti con loro?
BR Sì, li sento regolarmente e mi raccontano un situazione disperata, senza soldi, senza lavoro, molti sono fuggiti in Pakistan e in Iran. L’oppressione e la violenza sono molto forti e la gente non ce la fa più. Ti faccio un esempio. Un amico che era capo di una guarnigione dell’esercito a Farah è stato barbaramente ucciso mentre tornava a casa dopo che l’esercito era stata sciolto. I Talebani hanno chiesto alla famiglia di venire a riprendersi il cadavere ma hanno rifiutato, volevano solo la loro vendetta. Volevano uccidere gli assassini. Ogni famiglia ha un lutto, un massacro, una violenza talebana da vendicare. La vendetta cova e potrebbe esplodere con molta violenza. Il mese scorso i Talebani hanno ucciso 300 ragazzi, così, tutti insieme. Non si può sopportare tutto questo. Ci sarà per forza una rivolta.

È possibile che questa rabbia diventi un giorno una resistenza organizzata?
BR Non posso sapere quando ma sono sicura che prima o poi ci sarà una rivoluzione popolare contro questo governo. Soltanto noi possiamo liberarci davvero dei Talebani.

Quali sono gli ostacoli?
BR Prima di tutto manca una leadership. Nessuno si fida di nessuno, hanno tutti paura uno dell’altro. La gente è spaventata, chiusa, sospettosa. Molte delle persone che si vogliono presentare come leader non sono affidabili. Però piano piano stanno emergendo dei giovani militari e attivisti che cercano di organizzare questa opposizione. Ci vorrà molto tempo, ma sappiamo che ogni famiglia in Afghanistan ha un’arma con cui combattere e tante vendette da consumare. Se una rivolta parte poi tutti si uniranno.

Qualche rivolta spontanea c’è stata in questi anni.
BR Sì, in quasi tutte le province afghane la popolazione si è ribellata, gente comune, gente del mercato, disoccupati, ma sono stati sconfitti. I Talebani hanno arrestato e ucciso tantissime persone, a Badakhshan, Kandahar, Jalalabad. Queste rivolte non hanno leadership e sono molto deboli, sono state spazzate via con facilità dai Talebani. In Panshir, ad esempio, la rivolta militare è fallita. La loro guida, Ahmad Massud, era già all’estero mentre i giovani venivano massacrati. E adesso quella provincia è invasa da 30mila soldati Talebani e ogni giorno ci sono persone che perdono la vita. Sono molto controllati, non possono nemmeno usare un telefono.

E le rivolte delle donne?
BR Le donne sono state coraggiose ma sono state sconfitte perché erano male organizzate. Hanno commesso un errore strategico fondamentale. Si sono riunite e si sono subito espresse apertamente e per i Talebani è stato facile ritrovarle nelle loro case, arrestarle, torturarle e ucciderle. Anche i membri delle loro famiglie vengono perseguitati, ancora adesso.

Che cosa avrebbero dovuto fare?
BR Avrebbero dovuto lavorare a lungo in clandestinità per organizzare una rivolta più grande, più profonda e più unita. Così avrebbero potuto sopravvivere e avere maggiore successo.

Quindi un lungo lavoro clandestino, è questo che, secondo lei, potrebbe funzionare?
BR Sì, non bisogna avere fretta. La resistenza deve essere clandestina e diffusa, non concentrata in un solo luogo, sarebbe troppo fragile. Restare nell’ombra, finché non si sia abbastanza forti da avere speranze di vittoria.

Esiste un consenso ai Talebani nel Paese, ad esempio tra la popolazione pashtun?
BR I Talebani della base sono stufi di questo malgoverno. Stanno facendo un gran lavoro di lavaggio del cervello, costruendo migliaia di madrase (istituti d’istruzione media e superiore per le scienze giuridico-religiose musulmane, ndr) per indottrinare la popolazione, per aumentare il loro consenso, ma non ce la fanno. La rigidità delle loro regole è respinta da tutti. Ovunque c’è una quotidiana disobbedienza civile, come quando ai matrimoni suonano e cantano lo stesso, nonostante i divieti. Addirittura all’interno dei Talebani alcune regole estreme sono rifiutate. Penso che proprio tra i pashtun i Talebani abbiano i loro più forti oppositori. L’ideologia estrema talebana non fa parte della nostra cultura. Gli afghani non sono mai stati religiosi radicali, poi, quando il regime comunista è caduto, l’Onu non si è opposto ai mujaheddin e ha lasciato che prendessero il potere con la loro ideologia estremista. È stato un grave errore non intervenire, non hanno evitato tutte le tragedie che da questo errore sono scaturite. Tragedie che hanno colpito soprattutto le donne. C’è stata tanta violenza contro le donne anche nel periodo passato però almeno si potevano denunciare questi casi, c’erano delle leggi a cui appoggiarsi, adesso ogni crimine è permesso, l’impunità è totale. Ascolto tutti i giorni storie orribili, anche nei racconti della mia famiglia.

Il governo talebano potrebbe sopravvivere senza il sostegno economico degli Stati Uniti?
BR I Talebani si sono appropriati delle miniere e delle altre risorse del Paese ma posso dire con sicurezza che, senza questi soldi, non potrebbero sopravvivere nemmeno sei mesi. Ne hanno bisogno per far funzionare la macchina governativa.

Se questo sostegno dovesse finire, potrebbe essere un vantaggio per far crollare il regime?
BR Non credo. Se i Talebani dovessero restare senza fondi, scoppierebbe una guerra civile, anche tra loro, perché le tensioni interne sono molto alte e, per le risorse, si scatenerebbero sicuramente lotte feroci. Sarebbe un periodo di guerre senza controllo, nessuno gestirebbe più il Paese, tutto sarebbe allo sbando. E questo non conviene nemmeno agli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti potrebbero fare pressioni politiche sul governo talebano?
BR Certo. Gli Stati Uniti stanno giocando contro gli interessi della popolazione afghana. Hanno sempre fatto quello che volevano, consegnare il Paese ai Talebani, mettere due presidenti, gestire i governi fantoccio. Attraverso il ricatto economico potrebbero facilmente mettere pressione sul governo talebano e ottenere quello che vogliono, perfino organizzare delle elezioni, qualsiasi cosa. Ma non lo fanno.

Perché?
BR Non hanno nessun interesse per il miglioramento della situazione della popolazione afghana, l’importante è avere il controllo del Paese, per contrastare meglio la Cina e l’Iran. E per questo serve un Paese fragile, completamente dipendente. Se gli afghani fossero più forti non sarebbero più manipolabili.

C’è ancora una presenza militare statunitense sul territorio afghano?
BR Sul terreno sono molto attivi i servizi segreti non tanto i militari. Ma i Talebani sono in contatto con i soldati americani per addestramento e sostegno militare. Ora sembra che vogliano riprendersi la base di Bagram. Il cielo dell’Afghanistan è sempre nelle loro mani.

Che cosa le manca di più del suo Paese?
BR Le persone, la gente. La libertà di movimento che avevo. Qui sono costretta a stare sempre nello stesso posto, devo chiedere il permesso per viaggiare, per muovermi, sono sempre controllata. Con tutte le difficoltà, in Afghanistan non mi sentivo mai depressa o triste.

C’è ancora speranza in Afghanistan?
BR La guerra da noi dura da 50 anni. Anche adesso è una guerra, alle donne, alla vita, alla libertà, alla gioia, alla sopravvivenza. Ma nonostante tutto, la popolazione afghana continua a essere piena di vita e di speranze per il futuro. Quando parlo con i miei parenti mi dicono sempre: “Non ti preoccupare, tornerai presto. I Talebani rimangono ancora due anni e poi se ne vanno”. Sono loro a dare coraggio a me. Anche quando sento i miei amici, che erano soldati dell’esercito, mi dicono: “Noi ti stiamo aspettando, sappiamo che tornerai e siamo pronti a lavorare ancora con te”.

Cristiana Cella, giornalista, fa parte del Cisda, il Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane, che da tempo collabora con Altreconomia. Per seguire i progetti del Cisda e sostenerne l’operato clicca qui

 

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