Analisi. Non solo Afghanistan: l’apartheid di genere “merita” di diventare un crimine
Avvenire, 24 gennaio 2025, di Antonella Mariani
Segretate, private dei diritti di istruzione, del lavoro e della libertà di movimento: a che punto è il percorso per introdurre il nuovo reato nel diritto internazionale e che problemi sta incontrando
Le ragazze e le donne afghane sono segregate, imprigionate nei burqa. A loro è vietato studiare, lavorare fuori casa, muoversi da sole, perfino parlare a voce alta e cantare. Che cos’è, se non apartheid? Anzi, più precisamente, apartheid di genere. Sfortunatamente, questa fattispecie non esiste nell’ampio repertorio dei crimini contro l’umanità che si è sviluppato negli ultimi decenni. Tra i giuristi internazionali è sempre più diffusa la convinzione che sia arrivato il momento di codificarlo, nominarlo e dunque farlo esistere, non solo per prendere atto di una realtà inedita e sconvolgente che avviene in alcune parti del mondo e in particolar modo in un Paese, l’Afghanistan, pressoché uscito dai radar dell’attenzione mediatica, ma anche per fornire ai gruppi della resistenza all’estero, ai Tribunali e alle istituzioni internazionali uno strumento supplementare per combattere questa massiccia violazione dei diritti umani.
Tra i principi base del diritto internazionale c’è l’uguaglianza di genere, garantita da diversi corpi normativi (la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, quella sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1970, i patti internazionali sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali del 1966, la Convenzione sulla parità di retribuzione nel 1951… ).
Solo nel 1973, per entrare in vigore due anni e mezzo più tardi, l’Assemblea delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione internazionale sull’eliminazione e la repressione del crimine di apartheid, poi recepita e ampliata dallo Statuto di Roma del 1998, che ha regolato l’attività della Corte penale internazionale dell’Aja.
Ma ovviamente, poiché la definizione è stata plasmata sulla drammatica esperienza del segregazionismo in Sudafrica, la fattispecie in realtà si concentra sulla discriminazione basata sulla razza. Quello che sta avvenendo in Afghanistan, e, in modo diverso, in Iran e in aree specifiche di Paesi come il Sudan o la Siria, ha caratteristiche diverse: si tratta della negazione di decine di diritti essenziali in base alla semplice constatazione di essere nate donne.
La codificazione del crimine di apartheid di genere, di cui peraltro le attiviste afghane parlano da decenni, fin dal primo governo dei taleban degli anni Novanta, servirebbe a mettere in evidenza la sistematicità e la gravità della discriminazione che colpisce le ragazze e le donne in alcuni Paesi del mondo. « Non solo – interviene l’esperta Laura Guercio -: questo rafforzerebbe il quadro giuridico internazionale, consentendo indagini e azioni penali più efficaci. E ne gioverebbe la lotta per sradicare i regimi istituzionalizzati di oppressione».
Laura Guercio è un’avvocata, docente universitaria, già segretaria generale della Commissione interministeriale per i diritti umani alla Farnesina. Ora ha prestato la sua competenza al Cisda, lo “storico” Coordinamento che dal 1999 sostiene le donne afghane e che il 10 dicembre scorso ha lanciato una petizione per il riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità. Gli elementi chiave della definizione proposta dal Cisda sono «la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione e la discriminazione». Così come l’apartheid razziale, quello basato sul genere viene attuato con politiche che «escludono sistematicamente gli individui in base al genere dalla piena partecipazione alla vita sociale, economica e politica, rafforzando le strutture di dominio».
La petizione del Cisda è stata accolta anche dal Parlamento italiano, grazie a una decisiva opera di sensibilizzazione di Laura Boldrini, deputata Pd e presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo. Il 27 novembre scorso la Commissione esteri della Camera ha approvato all’unanimità una risoluzione, a prima firma Boldrini e sostenuta da tutto il gruppo del Pd, che impegna il governo ad appoggiare l’introduzione del reato di “segregazione di genere” nella convenzione sui crimini contro l’umanità in discussione all’Onu. «Con l’approvazione della nostra risoluzione – spiega Laura Boldrini -, l’Italia prende una posizione chiara e inequivocabile: la segregazione delle donne, la loro esclusione da qualsiasi forma di vita sociale, il divieto perfino di cantare, parlare e pregare in pubblico, diventi “crimine contro l’umanità” riconosciuto dall’Onu».
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