Iraq al voto, in ballo ci sono anche gli equilibri di potere nel Kurdistan spaccato

Il manifesto, 12 novembre 2025 di Maysoon Majidi
Asia occidentale La regione autonoma senza governo da un anno, la rivalità Kdp e PuK rende debole la voce curda a livelli nazionale. Nelle urne è sfida diretta tra Barzani e Talabani. Ma la fiducia della popolazione nelle istituzioni è in netto calo
La Regione del Kurdistan, formalmente autonoma dal 2005, è governata da due partiti che si dividono il potere tra Erbil e Sulaymaniyya, il Partito democratico del Kurdistan (Kdp) e l’Unione patriottica del Kurdistan (PuK), che controllano quasi ogni aspetto della vita pubblica. Nati come movimenti di liberazione, oggi sono diventati veri e propri sistemi di potere, basati su reti clientelari e familiari.
Il Kdp, guidato dalla famiglia Barzani, controlla Erbil e Duhok, mentre il PuK, erede della famiglia Talabani, domina Sulaymaniyya. Entrambi gestiscono in modo diretto le istituzioni, l’esercito, la polizia, i media e una parte significativa dell’economia. Una sorta di due ministati all’interno della regione stessa. Quest sistema clientelare ha garantito stabilità ma anche corruzione diffusa, mancanza di meritocrazia e scarsa libertà di critica.
IN IRAQ, IL VOTO NAZIONALE del 2025 si intreccia con la continua crisi politica del Kurdistan, dove i due principali partiti osservano con attenzione l’esito elettorale mentre la regione resta senza un governo pienamente operativo dalle elezioni del 2024. Secondo la Commissione elettorale, la partecipazione nella regione curda è scesa dal 69% del 2018 al 55% del 2021. In quella tornata, il Kdp che aveva ottenuto 39 seggi e il PuK con 23 si erano affermati come le due principali forze politiche del Kurdistan. Tuttavia, a oggi, i due partiti non sono ancora riusciti a trovare un accordo per la formazione del nuovo esecutivo né ad eleggere il presidente e i vicepresidenti del Parlamento regionale. Lo stallo riflette un equilibrio sempre più fragile e una frattura profonda tra Erbil e Sulaymaniyya, non solo politica ma anche economica e territoriale. Le tensioni si intrecciano con la gestione delle risorse, dei salari pubblici e con il controllo delle aree al confine con l’Iran.
In un contesto in cui la popolazione curda mostra crescente sfiducia verso le istituzioni, il prolungato vuoto di governo rischia di aggravare la crisi di rappresentanza e di legittimità dell’intera classe politica curda. Nel frattempo, i due leader, Masrour Barzani e Bafel Talabani, hanno trasformato la campagna per le elezioni federali dell’11 novembre in un confronto diretto. Il Kdp punta a raggiungere un milione di voti, obiettivo che servirebbe a consolidare il proprio peso a Baghdad e non solo.
Erbil, 11 novembre. Il presidente del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani, altro importante esponente della dinastia Barzani, mostra il pollice con i figli dopo aver votato (foto Ap)
«LA FORZA DEL PARTITO a Baghdad è la forza del Kurdistan. Il nostro obiettivo è l’attuazione del federalismo e della Costituzione», ha dichiarato Barzani, accusando i governi iracheni di non aver mai rispettato il principio di equilibrio sancito dalla Carta. Un richiamo all’autonomia ripreso anche dal leader storico del partito, Masoud Barzani, promotore del referendum d’indipendenza del 2017 mai attuato: «Nel 2002 ci incontrammo alla conferenza dell’opposizione a Londra e concordammo su tre principi fondamentali: che l’Iraq fosse governato con partenariato, equilibrio e consenso. Ma purtroppo ciò non è stato realizzato».
Dal canto suo, Bafel Talabani, presidente del PuK, ha promesso che il suo partito «non entrerà in alcun governo finché non avremo la certezza che tutte le città del Kurdistan siano viste e servite allo stesso modo». Un messaggio diretto al Kdp, accusato di concentrare potere e risorse nella sola Erbil. Talabani, erede politico di una famiglia storicamente più vicina a Baghdad, punta a rafforzare i legami con il Coordination Framework, l’alleanza sciita filo-iraniana che sostiene il primo ministro Mohammed Shia’ al-Sudani, e a mantenere relazioni strategiche con Teheran.
Le divisioni tra Kdp e PuK si riflettono così anche a livello nazionale: il primo più vicino ad Ankara e in rapporti pragmatici con il governo centrale, il secondo più allineato all’Iran e alle forze sciite dominanti. Questa frammentazione continua a indebolire la rappresentanza curda nel parlamento iracheno, dove la voce di Erbil e quella di Sulaymaniyya spesso si annullano a vicenda.
A QUASI VENT’ANNI dalla proclamazione dell’autonomia, il Kurdistan iracheno vive una delle sue fasi più delicate. La paralisi istituzionale, il malcontento popolare e la competizione tra le dinastie Barzani e Talabani rischiano di erodere quel fragile equilibrio su cui si è costruita la regione. E mentre l’Iraq torna alle urne tra sfiducia e disillusione, nel nord del paese, la loro rivalità continua a indebolire la posizione politica dei curdi nel parlamento iracheno, impedendo una voce unitaria nelle negoziazioni federali e nella difesa dell’autonomia regionale.
In un Iraq attraversato da stanchezza politica, promesse mancate e sfiducia crescente, anche il Kurdistan sembra oggi alla ricerca di una nuova legittimità e di una leadership capace di superare le logiche del potere dinastico.
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