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La sentenza del TPP sulle donne dell’Afghanistan Tu sei qui:

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permanentpeoplestribunal.org Gianni Tognoni * 11 dicembre 2025


La 55a sessione del TPP sulle donne afghane, le cui udienze pubbliche si sono svolte a Madrid dall’8 al 10 ottobre 2025, si è conclusa con la lettura pubblica della sentenza, avvenuta l’11 dicembre 2025 presso l’International Institute of Social Studies (ISS) dell’Aia.

La significativa presenza di rappresentanti di organizzazioni internazionali, tra cui Richard Bennett (UN Special Rapporteur on the situation of human rights in Afghanistan), Reem Alsalem (UN Special Rapporteur on Violence Against Women and Girls), Ivana Krstic (Vice-Chair of Working Group on discrimination against women and girls), Prof. Mustapha Sheikh (University of Leeds School of Languages, Cultures and Societies), Prof. Rebecca Cook (University of Toronto – Law School), Helena Ann Kennedy (Member of the House of Lords of the UK) e la Dottoressa Shirin Ebadi (Iranian Nobel Laureate) che hanno accettato di offrire un loro commento alla decisione della giuria del TPP è un segno importante della rilevanza anche istituzionale di questo evento, che è stato preparato da un periodo molto intenso di ricerca e di mobilitazione che ha coinvolto una rete estesa della comunità afgana, dell’accademia e della società civile di molti paesi (video della sessione di Madrid).

Sembra opportuno – senza entrare nel merito specifico dell’articolazione dei contenuti fattuali e dottrinali di un testo che può considerarsi di riferimento per una conoscenza critica e complessiva della situazione delle donne dell’Afghanistan -, sottolineare alcuni punti che fanno di questa sentenza una delle espressioni più esemplari dell’attualità politica e culturale del lavoro e del ruolo del TPP, in un tempo di crisi e incertezze profonde che chiamano in causa il diritto internazionale.

La qualificazione della repressione dei diritti delle donne afgane nei termini più severi del diritto esistente rimanda a scenari che indicano la gravità e le implicazioni di quanto sta succedendo, ormai da anni, in modo infinitamente palese in Afghanistan. L’esistenza stessa delle donne come soggetti di diritti umani, individuali e collettivi, è ‘semplicemente’, e perciò tanto più drammaticamente, negata: in un intero paese, che è anche, nella forma di governo attuale, il prodotto di una storia geopolitica tragica che ha visto le ‘grandi potenze’ tra le protagoniste più negative. Il diritto internazionale è presente come impotenza. Con l’aggravante che i più recenti sviluppi sembrano più interessati a riconoscerle autorità di fatto, per le più diverse ragioni, ma senza ‘interferire’.

E questo accade in una regione nella quale, in parallelo cronologico, ma come esempio impensabile di un altro mondo possibile, un altro popolo di donne, nel Rojava ha inventato un modello di società democratica che a sua volta stenta ad essere riconosciuta come l’unico futuro possibile. Ed è importante in questo senso che la sentenza che oggi viene presentata sia considerata insieme a quella su Rojava.

Fa parte della logica e della prassi di intervento del TPP pensare che il diritto dei popoli ha come criterio prioritario di guardare al loro progetto di futuro per giudicare quale è il senso di un giudizio sui loro repressori: è la sfida, permanente, che da ormai 50 anni, ad Algeri, con la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli, che i popoli pongono, nei modi più diversi, al diritto internazionale che ha radici, ma soprattutto criteri di azione in un passato, di poteri statali ed economici, per i quali la vita e la creatività dei popoli sono un disturbo. Ancor di più quando le categorie politico-giuridiche si intrecciano con quelle delle numerose forme di patriarcato.

*Gianni Tognoni  Segretario generale

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