Skip to main content

Omicidi in uniforme: le forze speciali britanniche e i loro massacri in Afghanistan

|

Iain Overton, Byline Times, 15 maggio 2025

Una nuova indagine rivoluzionaria ha svelato la terrificante portata degli omicidi illegali commessi dalle Forze speciali britanniche durante l’occupazione dell’Afghanistan

C’è qualcosa di marcio nel cuore della mitologia militare britannica. Per anni, politici e generali hanno avvolto lo Special Air Service (SAS) e i suoi reggimenti affini nel manto di teflon dell’onore, del sacrificio e della segretezza. Ma i miti hanno la tendenza a sgretolarsi, e questo sta rapidamente accadendo. E ciò che emerge, come rivelato da un’inchiesta pluriennale della BBC Panorama e dal lavoro parallelo della mia organizzazione benefica Action on Armed Violence (AOAV), non è l’eroica professionalità dei guerrieri d’élite, è qualcosa di molto più oscuro.

È il corpo di un bambino, ammanettato e colpito alla testa.

E’ il conteggio delle uccisioni compiute da uomini che sembravano provare piacere nello spargimento di sangue.

Sono le armi piazzate, i resoconti falsificati, i filmati mai guardati, i server cancellati.

Si tratta, senza mezzi termini, di omicidio. E commesso in nostro nome.

Per chi di noi ha trascorso anni a documentare i costi civili della guerra al terrorismo, queste recenti accuse – contenute nell’eccezionale film di Panorama “Special Forces: I saw war crimes” – confermano ciò che molti sospettavano da tempo. Che le Forze Speciali britanniche abbiano quasi certamente condotto una campagna di esecuzioni extragiudiziali in Afghanistan impunemente. E che il sistema giudiziario militare creato per contenerle abbia fallito catastroficamente. Peggio ancora, potrebbe persino aver contribuito a coprirne le tracce.

Tutti sapevano

Non si tratta della cattiva condotta di poche “mele marce”, né di confusione sul campo di battaglia. Le testimonianze trasmesse da Panorama – tratte da interviste con oltre 30 ex soldati, ufficiali dell’intelligence e addetti ai lavori – rivelano illeciti sistematici. Operazioni in cui “tutti sapevano cosa stava succedendo”, attacchi in cui i detenuti venivano giustiziati, raid in cui venivano uccisi bambini e missioni in cui questi atti venivano registrati, non per accertare le responsabilità ma, a quanto pare, come trofei.

La rivelazione più scioccante potrebbe non essere l’omicidio in sé, ma quante persone lo sapevano. Lo sapevano e hanno taciuto. O peggio, lo sapevano e hanno permesso che accadesse.

Ufficiali comandanti. Consulenti legali. Ministri. Persino, a quanto pare, un ex Primo Ministro.

Erano stati avvertiti. Eppure non hanno fatto nulla.

Ciò che emerge è invece una coreografia di occultamento.

Manovre legali per bloccare le indagini, manipolazione del linguaggio ufficiale per restare all’interno delle “regole di ingaggio””, rifiuto di consegnare le prove e la sconvolgente rivelazione che alle Forze Speciali è stato concesso un veto segreto sulle richieste di asilo nel Regno Unito da parte di soldati afghani che avevano assistito in prima persona a queste uccisioni.

Questo veto, in particolare, rivela una depravazione morale in contrasto con l’immagine della Gran Bretagna come nazione di legge e ordine.

L’idea che alcuni dei “Triples” – forze speciali afghane che hanno combattuto e sanguinato al fianco delle truppe britanniche – siano stati lasciati indietro per essere torturati o uccisi dai talebani non perché rappresentassero un rischio per la sicurezza ma perché erano testimoni, dovrebbe essere una ferita nella psiche nazionale. Dovrebbe perseguitare ogni funzionario che ha firmato quei dinieghi. Dovrebbe perseguitare il Ministero della Difesa.

Queste non sono  accuse di semplice cattiva condotta, sono dettagliate accuse di crimini di guerra. Questa frase ha un peso e definisce  una soglia legale inequivocabile. L’uccisione di detenuti feriti, l’esecuzione di uomini disarmati, l’omicidio di bambini: queste non sono azioni di guerra, sono crimini.

Serrare i ranghi

Eppure, la risposta dello Stato britannico è stata quella di serrare i ranghi. L’Operazione Northmoor, l’indagine della Royal Military Police su 52 omicidi sospetti, è stata archiviata senza che le prove chiave filmate fossero esaminate. I testimoni oculari sono stati intimiditi o ignorati. Gli stessi avvocati del Ministero della Difesa hanno ingannato i tribunali. Personaggi di spicco, tra cui ex capi dell’Esercito e delle Forze Speciali britanniche, si sono rifiutati di rilasciare dichiarazioni.

Al contrario, il Ministero ha insistito sul fatto di “collaborare pienamente” con l’Inchiesta indipendente sull’Afghanistan. Questo può essere vero nella lettera. Ma nello spirito? Lo spirito di tale cooperazione assomiglia molto a un’ostruzionismo. E le uccisioni sono continuate ancora.

Dal 2006 a oltre il 2013, le Forze Speciali britanniche hanno trasformato la guerra in un gioco di numeri, dove le vite umane venivano ridotte a metriche e il “successo” di una missione si misurava in cadaveri. Solo nel 2010, uno squadrone SAS ha totalizzato una media di 2,7 uccisioni per raid.

C’è  un’altra violenza silenziosa nel modo in cui il Ministero della Difesa respinge le testimonianze afghane – come se le vite afghane fossero vite inferiori, il dolore afghano un dolore inferiore. Anche questo è parte del problema. Perché i crimini di guerra non esistono nel vuoto: prosperano in culture di impunità, razzismo e disprezzo per le regole che dovrebbero vincolarci.

E quindi, dovremmo unire le nostre voci alle richieste di giustizia – non solo per i morti, ma per i vivi che li ricordano, per le famiglie che ancora aspettano la verità, per gli afghani a cui è stato negato un rifugio sicuro,  per i soldati britannici che sono rimasti in silenzio per troppo tempo e che ora vorrebbero espiare.

Non ci si faccia illusioni: ciò che Panorama e AOAV hanno contribuito a svelare nel corso degli anni non è solo uno scandalo: è una resa dei conti. E se lo Stato britannico non riuscirà ad affrontarla, non solo disonorerà i morti, ma disonorerà se stesso.

Iain Overton è il direttore esecutivo dell’organizzazione benefica Action On Armed Violence
Byline Times è un giornale investigativo indipendente, finanziato dai lettori, al di fuori del sistema della stampa consolidata, che riporta “ciò che i giornali non dicono” – senza paura o favoritismi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *