Skip to main content

Tag: Afghanistan

Afghanistan deferito alla Corte Penale Internazionale

La Corte penale internazionale (CPI) ha ricevuto un deferimento formale da sei Stati parte (Cile, Costa Rica, Spagna, Francia, Lussemburgo e Messico) che sollecitano l’avvio di indagini sui crimini contro donne e ragazze in Afghanistan dopo il ritorno al potere dei talebani nel 2021, ha annunciato giovedì il procuratore della CPI Karim AA Khan KC

Siyar Sirat,  AMU Tv, 29 novembre 2024

Nel loro deferimento, le nazioni hanno espresso profonda preoccupazione per il deterioramento delle condizioni dei diritti umani in Afghanistan, in particolare per quanto riguarda donne e ragazze, e hanno chiesto che questi presunti crimini fossero esaminati nell’ambito dell’indagine in corso della CPI sulla situazione nel paese.

“Ciò riflette l’impegno più ampio del mio ufficio nel perseguire l’accertamento delle responsabilità per i crimini di genere, incluso il crimine contro l’umanità della persecuzione per motivi di genere”, ha affermato Khan in una dichiarazione.

L’indagine della CPI sull’Afghanistan è stata autorizzata per la prima volta a marzo 2020, dopo anni di esame preliminare sui presunti crimini commessi nella regione dal 1° maggio 2003. L’indagine si è ampliata per includere accuse di discriminazione sistematica e persecuzione di donne e ragazze, crimini legati al conflitto armato e reati commessi sul territorio di altri stati membri della CPI.

L’indagine ha subito dei ritardi a seguito delle sfide del precedente governo afghano, ma è stata ripresa nell’ottobre 2022. Khan ha sottolineato che da allora l’ufficio del procuratore ha compiuto “progressi molto considerevoli” nelle indagini sui crimini di genere e ha espresso fiducia che risultati tangibili saranno annunciati presto.

Sebbene i dettagli specifici dell’indagine rimangano riservati, Khan ha elogiato il deferimento come un’importante dimostrazione di determinazione internazionale nell’affrontare le atrocità in Afghanistan. Ha inoltre sottolineato la necessità di cooperazione e risorse da parte degli stati membri della CPI per garantire la responsabilità.

“Plaudo al coraggio e alla determinazione di tutti coloro che ci hanno sostenuto e continuano a collaborare con noi nella conduzione di questa indagine”, ha affermato Khan.

L’attenzione della CPI sulla persecuzione di genere è in linea con la sua più ampia missione di affrontare i crimini ai sensi dello Statuto di Roma, che consente agli Stati membri di deferire casi in cui sembrano essere stati commessi crimini di competenza della CPI, si legge nella dichiarazione.

La dichiarazione è stata rilasciata in vista della riunione dell’Assemblea degli Stati parte della CPI della prossima settimana, durante la quale gli Stati membri dovrebbero discutere delle indagini in corso e delle risorse necessarie per gli sforzi di accertamento delle responsabilità.

La desolante realtà degli afghani che tornano in patria: la condizione delle donne non li interessa

Arrivano dall’estero per la prima volta dal ritorno dei talebani al potere. Il Washington Post ha raccolto testimonianze: sono colpiti dalla sicurezza o dai nuovi centri commerciali, c’è disinteresse per i diritti negati. Luca Lo Presti (Pangea) a Huffpost: “Fuori da Kabul non si incontra mai una donna per strada, ma ai maschi non importa. I talebani vogliono accreditarsi all’estero, mostrando il volto di un governo libertario, che consente di vivere meglio di prima”

Silvia Renda, HUFFPOST, 29 novembre 2024

Per le strade di Kabul non si trova una carta per terra. I muri anti-esplosione sono stati smantellati, rivelando la presenza di alberi di melograno, ora maturi. Le bancarelle dei mercati offrono una ricca scelta di prodotti ortofrutticoli. Nuovi centri commerciali ospitano negozi di moda dal gusto occidentale. È un volto diverso, inatteso ed entusiasmante della città, per chi l’aveva conosciuta prima del ritorno dei talebani. Sono afghani di nascita con passaporto oggi straniero, che in numero crescente stanno ritornando in visita nel paese e raccontano sorpresi il cambiamento della città. Quello che non notano, o che ad alcuni non interessa notare, è che le strade sono tenute così pulite sfruttando il lavoro dei carcerati o contando sulla paura di un popolo timoroso di punizioni severe. Che se percepiscono maggiore sicurezza, è sicuramente anche perché il pericolo prima era in gran parte costituito dagli attacchi dei talebani stessi, oggi al potere. Che le bancarelle saranno anche piene di prodotti, ma povere di acquirenti, perché non possono permettersi quel cibo. Che nei centri commerciali vedere una donna passeggiare è veramente raro.

Il Washington Post ha raccolto le testimonianze di afghani con passaporti e visti stranieri rientrati nel paese per fare visita ai parenti, per la prima volta da quando nell’agosto 2021 i talebani sono tornati al potere. Nei loro racconti non c’è preoccupazione per le terribili restrizioni imposte alle donne, alle quali nel paese non è più concesso alcun diritto. Si meravigliano piuttosto del senso di sicurezza percepito per le strade, della possibilità di fare acquisti al nuovo duty-free dell’aeroporto o nei centri commerciali oggi ricchi di prodotti. Anche se la maggior parte dei residenti fatica a guadagnarsi da vivere, chiunque se lo possa permettere può scegliere tra una serie di ristoranti alla moda, molti così vuoti che ogni ospite ha un cameriere personale. Sono visitatori che spesso trascorrono così tanto tempo a casa dei parenti da non notare, o disinteressati a notare, la quasi totale assenza delle donne per le strade. Alcuni parenti in visita, scrive il Washington Post, vengono ingannati da quella che sembra un’applicazione poco severa delle regole, ignorando la strategia dei talebani: far rispettare le norme solo a intermittenza e confidare nella paura per ottenerne il rispetto.

“A Kabul si respira un’aria di sicurezza maggiore rispetto all’agosto 2021 semplicemente perché la guerra che era combattuta dai talebani non c’è più”, commenta ad HuffPost Luca Lo Presti, presidente di Pangea, associazione che si occupa dei diritti delle donne afghane, “L’economia della città sta ripartendo e questo ha fatto nascere centri commerciali con beni di lusso, strade più ordinate. C’è una percezione di ordine, pace e sicurezza sicuramente superiore rispetto a quella che si percepiva durante la presenza dei militari occidentali”. Allo stesso tempo, spiega Lo Presti, si è creata una forbice sociale ampissima: in questa economia, chi aveva i soldi si ritrova a essere ricchissimo, e chi non ne aveva si ritrova poverissimo: “La microeconomia non esiste più, non esistono le fasce medie della società. Gli impiegati statali hanno stipendi bassissimi che permettono a malapena di sopravvivere”.
Continua qui

La giustizia della CPI deve rispondere alle richieste di tutte le vittime

 La Corte penale internazionale (CPI) deve dare priorità e accelerare l’erogazione della giustizia alle vittime dei crimini commessi dai talebani, nonché da altri attori in Afghanistan, prima della presa del potere nel 2021, ha affermato oggi Amnesty International, durante la conferenza annuale dell’Assemblea degli Stati parti della CPI, che quest’anno si tiene a New York dal 4 al 14 dicembre. 

Amnesty International, amnesty.org, 6 dicembre 2023

L’organizzazione chiede ulteriori progressi significativi nell’indagine della CPI in Afghanistan, attesa da tempo, che deve essere resa pubblica e trasparente per consentire la partecipazione significativa delle parti interessate locali, tra cui vittime e sopravvissuti. In particolare, la CPI deve far luce sui suoi progressi e, ove possibile, sui parametri generali dei casi sotto inchiesta.

“Una cultura di impunità per i crimini di diritto internazionale commessi in Afghanistan è stata prevalente per quasi mezzo secolo di conflitto. Mentre la decisione della CPI di riprendere le indagini lo scorso anno ha fornito una vera speranza a migliaia di vittime di crimini di diritto internazionale di ottenere l’accesso atteso da tempo alla giustizia, alla verità e alle riparazioni, l’ufficio del procuratore della CPI deve essere coerente nel dare seguito al suo impegno fornendo progressi nelle sue indagini”, ha affermato Smriti Singh, direttore regionale di Amnesty International per l’Asia meridionale.

“Il paese rimane in crisi e la CPI è un’istituzione fondamentale nella ricerca della giustizia per tutte le vittime in Afghanistan. Per molte vittime la CPI rappresenta l’unica via concreta esistente per la giustizia e la fine dell’impunità.”

All’Assemblea degli Stati Parte, Amnesty International chiede inoltre agli Stati membri dello Statuto di Roma di garantire che la CPI disponga delle risorse necessarie per svolgere indagini efficaci sui crimini di diritto internazionale, tra cui crimini di guerra e crimini contro l’umanità come la persecuzione di genere. Tra questi rientrano quelli commessi contro donne e ragazze , sciiti-hazara o altre minoranze religiose , e quelli commessi nel contesto delle guerre in Afghanistan prima e dopo la presa del potere da parte dei talebani nel 2021. In modo cruciale, date le notevoli sfide nelle indagini in Afghanistan, gli Stati membri devono impegnarsi a rafforzare la loro cooperazione con le indagini della CPI sull’Afghanistan.

Inoltre, la CPI deve essere dotata di risorse finanziarie e tecniche adeguate per consentire alle vittime afghane di esercitare in modo significativo ed efficace i propri diritti presso la Corte.

Mentre la CPI è fondamentale per garantire la responsabilità in Afghanistan, sforzi complementari come la raccolta e la conservazione delle prove per futuri processi di responsabilità e procedimenti penali a livello nazionale in Afghanistan sono essenziali. Gli Stati che sono parte dello Statuto di Roma in particolare dovrebbero supportare tali sforzi complementari, anche esercitando la giurisdizione universale e supportando l’istituzione di un meccanismo di responsabilità internazionale indipendente, come presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

In precedenza, la decisione del Procuratore nel 2021 di deprioritizzare le indagini sui crimini presumibilmente commessi dall’esercito degli Stati Uniti e dalla CIA, nonché dalle ex Forze di sicurezza nazionali afghane (ANSF), aveva incontrato forti critiche. Questa decisione del Procuratore rischia di contribuire alla percezione di un sistema selettivo di giustizia internazionale, in cui gli interessi degli stati potenti hanno la priorità sugli interessi della giustizia per le vittime di crimini ai sensi del diritto internazionale.

“Amnesty International continua a chiedere di riconsiderare la decisione del Procuratore del 2021 di de-prioritizzare le indagini sui presunti crimini di guerra da parte degli Stati Uniti e delle ex forze nazionali afghane. Rimane una macchia sul volto della giustizia internazionale. Nessuna giustificazione per la “de-prioritizzazione” è accettabile. Nessuna vittima merita meno giustizia di altre”, ha affermato Smriti Singh.

“La popolazione afghana merita la fine dell’impunità e un percorso verso la giustizia, la verità e la riparazione”.

Contesto

L’Afghanistan è stato sottoposto a un esame preliminare pubblico da parte della CPI dal 2007 al 2017.

Nel 2023, Amnesty International ha documentato le restrizioni discriminatorie dei talebani sui diritti delle donne e delle ragazze sin dalla presa del potere nel 2021 che, sommate all’uso sistematico di violenza e abusi da parte dei talebani, possono costituire il crimine contro l’umanità della persecuzione di genere. Inoltre, ha documentato i crimini di guerra dei talebani e altre violazioni del diritto internazionale umanitario nel contesto del conflitto armato con il National Resistance Front nella provincia del Panjshir, incluso il crimine di guerra della punizione collettiva contro i residenti del Panjshir. Nel corso di molti anni, l’organizzazione ha anche documentato diversi casi di crimini di diritto internazionale commessi dalle  Forze nazionali afghane, dall’esercito degli Stati Uniti   e   dai talebani.

Proteste delle donne contro il divieto di istruzione medica

Giovedì un gruppo di donne e ragazze ha organizzato una protesta davanti all’ufficio del governatore talebano nella provincia occidentale di Herat, denunciando il recente divieto di partecipazione delle donne all’istruzione medica

Amu TV, M. Rahman Awrang Stanikzai, 5 dicembre 2024

Scandendo slogan come “l’istruzione è giustizia e apprendimento”, i dimostranti hanno descritto la direttiva come oppressiva e un duro colpo ai loro diritti fondamentali.

La decisione dei talebani di impedire alle donne di studiare presso istituti medici, compresi i corsi di ostetricia, ha suscitato ampie condanne da parte di organizzazioni internazionali, gruppi per i diritti umani ed ex funzionari afghani.

La Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha rilasciato una dichiarazione in cui ha avvertito che il divieto avrebbe avuto un “impatto negativo” sul sistema sanitario del paese e sullo sviluppo più ampio. Stephane Dujarric, portavoce delle Nazioni Unite, ha espresso grave preoccupazione, osservando che la direttiva si aggiunge alla litania di restrizioni imposte a donne e ragazze dal ritorno al potere dei talebani.

“Se implementata, la direttiva segnalata imporrebbe ulteriori restrizioni ai diritti delle donne e delle ragazze all’istruzione e all’accesso all’assistenza sanitaria”, ha affermato il signor Dujarric in una conferenza stampa mercoledì.

Il Comitato svedese per l’Afghanistan ha definito il divieto una “devastante battuta d’arresto” per l’accesso delle donne all’assistenza sanitaria essenziale, evidenziandone il potenziale di esacerbare il già terribile tasso di mortalità materna dell’Afghanistan. Secondo le stime delle Nazioni Unite, il tasso di mortalità materna del paese è tra i più alti al mondo, con oltre 600 decessi ogni 100.000 nati vivi, quasi tre volte la media globale.

Il ministro degli esteri tedesco, Annalena Baerbock, ha condannato la politica, descrivendola come una mossa che “cancella letteralmente il futuro dell’Afghanistan”. In una dichiarazione, ha paragonato le condizioni delle donne afghane sotto i talebani alla vita in una “prigione”, criticando il regime per aver negato l’assistenza sanitaria e l’istruzione di base. “La sospensione dell’educazione sanitaria delle donne da parte dei talebani non solo nega i diritti fondamentali, ma condanna innumerevoli vite”, ha affermato.

Anche ex funzionari afghani hanno espresso indignazione. Rahmatullah Nabil, ex direttore dell’intelligence nazionale, si è unito ad altri, tra cui le star del cricket Rashid Khan e Mohammad Nabi, nel condannare il decreto. Masoom Stanekzai, che ha guidato i negoziati di pace del precedente governo con i talebani, ha definito la direttiva un sintomo di governo autocratico, avvertendo che tali decisioni potrebbero portare alla rovina dell’Afghanistan.

“Il destino della nazione ora dipende dalle decisioni arbitrarie di un individuo e di un piccolo gruppo”, ha detto il signor Stanekzai. “Ogni azione sconsiderata porta il paese più vicino alla distruzione”.

Gli attivisti per i diritti umani hanno descritto il divieto come una chiara violazione delle libertà fondamentali. Raheel Talash, un’attivista, ha lamentato la perdita di opportunità per le giovani donne che aspiravano a carriere in medicina.

“Anche le ragazze la cui unica speranza era l’istruzione medica ora si sono viste portare via questa speranza”, ha affermato.

Da quando hanno preso il potere nell’agosto 2021, i talebani hanno imposto ampie restrizioni alle donne, tra cui divieti di istruzione superiore, di gran parte delle forme di impiego e di partecipazione pubblica. Gli attivisti affermano che l’ultima mossa è il culmine di una campagna per sopprimere completamente i diritti delle donne e delle ragazze afghane.

L’ultimo divieto imposto dai talebani alle donne minaccia vite umane

Il Comitato svedese per l’Afghanistan (SCA) ha lanciato l’allarme: il divieto imposto dai talebani alle donne di proseguire gli studi in medicina minaccia la salute e la sopravvivenza di innumerevoli donne e bambini

Kabul Now, 5 dicembre 2024

Nella sua ultima restrizione sui diritti delle donne, i talebani hanno impedito alle studentesse di frequentare istituti medici in Afghanistan. Il divieto è stato annunciato da un funzionario del Ministero della Salute Pubblica del regime durante un incontro con i responsabili degli istituti medici a Kabul, lunedì 2 dicembre.

In una dichiarazione rilasciata mercoledì 4 dicembre, il Comitato svedese ha affermato che la decisione è profondamente preoccupante, date le norme culturali afghane che limitano il trattamento delle donne da parte dei medici uomini.

“Se non si formano più donne professioniste della salute, la già critica carenza di dottoresse, infermiere e ostetriche peggiorerà, minacciando la salute e la sopravvivenza di innumerevoli donne e bambini”, ha affermato la SCA, aggiungendo che il divieto porterà a morti prevenibili e a un’inversione di tendenza rispetto ai successi ottenuti a fatica nella salute pubblica.

L’organizzazione ha esortato i talebani a revocare immediatamente il divieto e a investire in un’istruzione di qualità per le professioniste sanitarie. Ha inoltre invitato la comunità internazionale a trovare modi per supportare le donne afghane e il loro ruolo cruciale nell’assistenza sanitaria.

L’ultima restrizione dei talebani sui diritti delle donne ha scatenato reazioni e condanne diffuse, anche da parte dell’ONU, dell’UE, di gruppi per i diritti, personaggi politici e attivisti sia all’interno che all’esterno del paese. Tutti hanno chiesto la revoca del divieto.

Durante una conferenza stampa di mercoledì, il portavoce dell’ONU Stephane Dujarric ha espresso preoccupazione per la decisione, aggiungendo che se implementata, avrebbe un “impatto negativo” sul sistema sanitario afghano e un effetto negativo sulla vita degli afghani. Ha esortato i talebani a riconsiderare il divieto.

In un post su X di oggi, Richard Bennett, il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Afghanistan, ha definito la decisione “inspiegabile e ingiustificabile”, notando che viola ulteriormente i diritti delle donne e avrà un impatto devastante sull’intera popolazione. Ha affermato che il divieto deve essere revocato.

Allo stesso modo, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha avvertito che se la nuova direttiva venisse implementata, avrebbe un “impatto negativo” sul sistema sanitario afghano e sullo sviluppo generale del paese. UNAMA ha affermato che, sebbene non abbia ancora ricevuto la conferma formale del divieto, continuerà a verificare il rapporto attraverso i canali ufficiali.

Carceri afghane: stupri e omicidi per le donne arrestate per accattonaggio

Nuove leggi draconiane consentono l’incarcerazione di massa di donne e bambini costretti a mendicare a causa del divieto di lavoro

Yalda Amini, Rawa News, 29 novembre 2024

Le donne afghane indigenti arrestate per aver mendicato in base alle nuove e draconiane leggi dei talebani hanno parlato di stupri e percosse “brutali” subite durante la detenzione.

Negli ultimi mesi, molte donne hanno dichiarato di essere state prese di mira dai funzionari talebani e detenute ai sensi delle leggi anti-accattonaggio approvate quest’anno. Mentre erano in prigione, affermano di essere state sottoposte ad abusi sessuali, torture e lavori forzati e di aver visto bambini picchiati e abusati.

Tutte le donne hanno dichiarato di non avere altra scelta se non quella di mendicare per strada per avere soldi e cibo per i propri figli, non riuscendo a trovare un lavoro retribuito.

Da quando i talebani hanno preso il potere nell’agosto 2021, alle donne è stato impedito di svolgere la maggior parte dei lavori retribuiti, con conseguente aumento dei livelli di indigenza in tutto il Paese, soprattutto nelle famiglie guidate da donne.

A maggio, i talebani hanno approvato nuove leggi che proibiscono alle “persone sane” di mendicare per strada se hanno con sé abbastanza soldi per pagarsi il cibo per un giorno.

È stata istituita una commissione per registrare i mendicanti e classificarli come “professionisti”, “indigenti” o “organizzati”, il che comporta la raccolta dei loro dati biometrici e delle impronte digitali. Secondo i funzionari talebani, quasi 60.000 mendicanti sono già stati “catturati” nella sola Kabul.

Secondo quanto riferito, le donne che chiedono l’elemosina sono state prese di mira dalla nuova legge a Kabul, dove i talebani sostengono di aver arrestato circa 60.000 persone.

 

Zahra*, una madre di tre figli di 32 anni, ha raccontato di essere stata costretta a trasferirsi a Kabul e a mendicare per strada per avere del cibo quando suo marito, che faceva parte dell’esercito nazionale del precedente governo, è scomparso dopo che i talebani hanno preso il potere nell’agosto 2021.

“Sono andata dal consigliere di quartiere e gli ho detto che ero vedova e che chiedevo aiuto per sfamare i miei tre figli”, ha detto. “Mi ha detto che non c’era nessuno che mi aiutasse e mi ha detto di sedermi vicino alla panetteria [e] che forse qualcuno mi avrebbe dato qualcosa”.

Zahra ha affermato di non essere a conoscenza delle leggi anti-accattonaggio dei talebani fino al suo arresto.

“Un’auto dei talebani si è fermata vicino al panificio. Hanno preso mio figlio con la forza e mi hanno detto di salire sul veicolo”, ha detto. Zahra ha affermato di aver trascorso tre giorni e tre notti in una prigione talebana e che inizialmente le avevano fatto cucinare, pulire e fare il bucato per gli uomini che lavoravano lì.

Le è stato poi detto che le avrebbero preso le impronte digitali e che i suoi dati biometrici sarebbero stati registrati. Quando ha opposto resistenza, è stata picchiata fino a lasciarla priva di sensi. Ha detto di essere stata poi violentata.

“[Da quando sono stata rilasciata] ho pensato di porre fine alla mia vita diverse volte, ma i miei figli mi trattengono”, ha detto. “Mi chiedevo chi li avrebbe nutriti se non fossi stata qui.

“A chi posso lamentarmi? A nessuno importerà, e ho paura che mi arresterebbero di nuovo se parlassi. Per la mia vita e la sicurezza dei miei figli, non posso dire nulla.”

Un’altra donna, Parwana*, ha detto di essere stata arrestata mentre mendicava a Kabul in ottobre con la figlia di quattro anni dopo che il marito li aveva abbandonati. Ha detto di essere stata portata nella prigione di Badam Bagh e trattenuta per 15 giorni.

“Hanno portato dentro tutti, persino i bambini che pulivano le scarpe per strada”, ha detto. “Ci dicevano, noi donne, perché non ci sposiamo, ci picchiavano e ci facevano pulire e lavare i piatti”.

Parwana ha anche affermato che lei e altre due donne sono state violentate durante la detenzione e che l’aggressione l’ha lasciata traumatizzata e depressa.

Nessuno osa parlare

Oltre alle molteplici segnalazioni di stupri e torture di donne arrestate in base alle leggi contro l’accattonaggio, ex detenuti hanno anche riferito al notiziario afghano Zan Times di aver assistito ad abusi su bambini piccoli in prigione; una donna ha affermato che due bambini sono stati picchiati a morte mentre era in detenzione.

“Nessuno osava parlare”, ha detto. “Se avessimo parlato, ci avrebbero picchiato e ci avrebbero chiamato spudorati. Guardare quei bambini morire davanti ai miei occhi è qualcosa che non dimenticherò mai”.

La morte dei detenuti arrestati in base alle leggi contro l’accattonaggio è presa in considerazione nella formulazione della nuova legge dei talebani, in cui l’articolo 25 afferma: “Se un mendicante muore mentre è in custodia e non ha parenti o se la famiglia si rifiuta di ritirare il corpo, i funzionari comunali si occuperanno della sepoltura”.

Secondo le nuove leggi, coloro che sono considerati “indigenti” hanno legalmente diritto a un’assistenza finanziaria dopo il rilascio, ma nessuna delle donne ha dichiarato di aver ricevuto alcun aiuto.

Parwana ha affermato che dopo il suo rilascio aveva avuto troppa paura di chiedere di nuovo l’elemosina per avere del cibo e che invece si affidava ai suoi vicini per ricevere l’elemosina.

“In questi giorni, vado porta a porta nel mio quartiere, raccogliendo pane raffermo e secco. Non ho altra scelta”, ha detto. “I talebani sono brutali e oppressivi, ma dove posso andare a lamentarmi di loro? Siamo soli”.

Le autorità talebane non hanno risposto alle numerose richieste di replica.

Numerosi e partecipati gli incontri della militante di RAWA in Italia

Si è concluso pochi giorni fa il lungo giro in Italia (con una puntata in Svizzera) di conferenze di Shakiba, militante di RAWA.

Ma per il CISDA, che lavora a fianco di queste compagne dal 1999, potere incontrare (e anche abbracciare) una testimone diretta della situazione e della resistenza in Afghanistan, dove i talebani stanno cancellando ogni diritto umano per le donne, è imprescindibile. E per queste compagne coraggiose e determinate avere la possibilità di “toccare con mano” la solidarietà che viene loro testimoniata nei numerosi incontri organizzati in varie città è fonte di vita e di speranza.

Due passi avanti e 30 indietro

“Ogni volta che facciamo due passi avanti nella conquista dei nostri diritti veniamo sbattute indietro di 30 passi” ci dice Shakiba al nostro primo incontro. “In Afghanistan resistere comporta il rischio di essere arrestate, torturate e anche uccise; ma non vogliamo abbandonare la nostra gente al suo destino, è nostro dovere restare per continuare a dare una speranza.”

La situazione è sempre più tragica e insostenibile per la popolazione afghana, in particolare per le donne:

  • le donne non possono lavorare, uscire di casa da sole, studiare oltre la sesta classe, mostrare il loro volto in pubblico o far sentire la loro voce; subiscono una delle forme più estreme di apartheid di genere. Molte delle donne che sono scese in piazza per protestare sono state arrestate, incarcerate, torturate e minacciate;
  • il disastro economico è intollerabile: non c’è lavoro e oltre il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. È normale che, date le condizioni di povertà, i maschi siano incentivati ad arruolarsi in qualche milizia per avere uno stipendio e riuscire così a sfamare la famiglia;
  • per avere un futuro moltissimi giovani cercano di scappare dal paese e percorrono le pericolosissime vie migratorie: Iran, Turchia e poi mar Mediterraneo, in mano a scafisti e trafficanti di esseri umani senza scrupoli;
  • nel paese sono state aperte 17.000 madrase, scuole coraniche, che in buona parte hanno sostituito le scuole statali e in cui i giovani studenti vengono indottrinati al fondamentalismo.

Nel frattempo, i talebani hanno ricevuto, solo dagli USA, 40 milioni di dollari ogni settimana e stanno svendendo tutte le ricchezze del paese (minerali rari, pietre preziose ecc.) per mantenere il loro potere.

Gli USA e i loro alleati occidentali in tutti questi anni hanno contribuito alla crescita, grazie a milioni di dollari e di armi, di gruppi di fondamentalisti di ogni tipo. Il risultato è che oggi in Afghanistan, oltre ai talebani, sono presenti ISIS, signori della guerra di diverse etnie, al Qaeda… che opprimono la popolazione afghana (le donne in particolare) da circa 40 anni.

Gli intensi incontri di Shakiba

Dimenticate dai media, dimenticate dai governi, dimenticate dalle organizzazioni internazionali, le donne afghane hanno sempre meno possibilità di far sentire la propria voce, per questo la serie di incontri organizzati da CISDA per la militante di RAWA è doppiamente importante.

Un giro di incontri molto ricco e partecipato: a Bologna RAWA ha ricevuto il Premio internazionale Daniele Po, promosso dalle associazioni Le case degli angeli di Daniele e Strade. Oltre alla cerimonia di premiazione, svoltasi nella Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio di Bologna, Shakiba ha presenziato a circa 15 incontri pubblici che hanno coinvolto organizzazioni della società civile, ragazzi delle scuole con i loro insegnanti, attivisti e attiviste. Tra questi, molto significativo è stato l’incontro online con le commissioni pari opportunità della città metropolitana di Bologna, di Cento e di Pieve di Cento.

Belluno è stata accolta dall’associazione Insieme si può, che da anni, insieme a CISDA, sostiene attivamente i progetti di RAWA e organizza eventi e iniziative nel Nord-Est.

Piacenza le Donne in Nero, da sempre sostenitrici della resistenza delle donne afghane, hanno organizzato un partecipatissimo dibattito pubblico con cena di solidarietà.

Roma Shakiba ha partecipato, al festival Sabir, all’incontro internazionale Voci di lotta e di resistenza dell’Iran e dell’Afghanistan organizzato da ARCI, e ha incontrato le donne del comitato italiano di Jineoloji (un collettivo di donne che si organizza e lavora con il movimento delle donne curde), le donne dell’ANPI provinciale e un gruppo di parlamentari che l’hanno ricevuta alla Camera dei Deputati. Sempre a Roma Donne di Classe e Sinistra anticapitalista hanno organizzato un evento molto partecipato con cena di sottoscrizione.

Piadena è stato organizzato un dibattito pubblico nell’ambito del Festival dei diritti umani di Emmaus e un incontro con 80 ragazzi di 4 classi di terza media.

Va sottolineato che in tutti gli incontri con gli studenti e le studentesse delle scuole e delle università Shakiba ha dimostrato una straordinaria empatia e capacità di dialogo, suscitando grande curiosità e partecipazione.

La Casa delle donne di Torino ha organizzato un dibattito con raccolta fondi di solidarietà.

Lugano Shakiba ha incontrato la professoressa Jolanta Drzewiecka e il professor Villeneuve Jean-Patrick, dell’Institute of Communication and Public Policy (Università della Svizzera italiana), con i quali ha parlato parlare della situazione afghana e delle attività di RAWA a cui è seguito un partecipatissimo incontro con gli studenti dell’università e un’intervista con dei giornalisti del “Corriere del Ticino”.

Infine ha incontrato online la Rete di Coalizione euro-afghana per la Democrazia e la Laicità, per raccontare la difficile situazione delle donne resistenti in Afghanistan e discutere delle possibili azioni di supporto politico che il CISDA e le altre associazioni italiane possono dare loro.

I talebani vietano la formazione medica alle donne

Una delle ultime possibilità per le ragazze afghane di studiare e lavorare, la formazione come  operatrici sanitarie, è stata chiusa dai talebani

Sahar Fetrat, HRW, 3 dicembre 2024

Questa settimana i talebani in Afghanistan hanno chiuso una delle ultime scappatoie rimaste nel divieto di istruzione per le ragazze più grandi e le donne, proibendo loro di frequentare istituti che offrono corsi di formazione medica.

I talebani hanno anche vietato alle donne di alcune province di  farsi curare da personale medico di sesso maschile , il che significa che questo nuovo decreto, che interrompe la formazione di nuove operatrici sanitarie, provocherà inutili sofferenze, sofferenze, malattie e morte per le donne costrette a rinunciare all’assistenza sanitaria, poiché non ci saranno operatrici sanitarie a curarle.

Il leader supremo dei talebani, Haibatullah Akhundzada, ha emesso questo  ordine , che è stato annunciato in una riunione del Ministero della Salute Pubblica dei talebani lunedì. Il ministero  ha convocato i direttori degli istituti di formazione medica privati ​​per istruirli sul nuovo ordine.

Nel settembre 2021, i talebani hanno impedito alle ragazze di frequentare la scuola secondaria oltre la sesta elementare. Nel dicembre 2022, hanno vietato alle ragazze e alle donne di frequentare l’istruzione superiore.

Da quando hanno ripreso il controllo del paese il 15 agosto 2021 i talebani hanno imposto regole che  violano sistematicamente i diritti delle donne e delle ragazze nella maggior parte degli aspetti della loro vita, tra cui non solo il diritto all’istruzione, ma anche alla libertà di movimento e di parola, al lavoro, a vivere liberi dalla violenza, a partecipare alla vita pubblica e ad accedere all’assistenza sanitaria. Le donne e le ragazze non possono nemmeno andare in palestra o camminare in un parco.

I difensori dei diritti delle donne che hanno protestato contro queste violazioni dei diritti, insieme ai loro familiari, hanno dovuto affrontare  gravi ritorsioni da parte dei talebani, tra cui aggressioni fisiche, detenzioni arbitrarie, violenza sessuale, torture esparizione forzata.

I difensori dei diritti delle donne afghane e le organizzazioni per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch, hanno  chiesto che i talebani siano ritenuti responsabili dei crimini commessi contro le donne e le ragazze, nell’ambito di sforzi più ampi per affrontare il problema dell’impunità per i crimini gravi in ​​Afghanistan.

Ci sono prospettive di responsabilità. L’  annuncio del procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan, sempre lunedì, che afferma che il suo team “annuncerà a breve le richieste di mandato d’arresto per la situazione in Afghanistan”, fa sperare che forse presto – finalmente – si faranno i primi passi per chiamare i talebani a rispondere delle loro responsabilità .

 

Dietro le porte chiuse: la violenza sessuale in famiglia

Lo stupro coniugale è riconosciuto come violazione dei diritti delle donne dal dicembre 1993, ed è legalmente perseguibile in 104 Paesi. Tuttavia, in società come l’Afghanistan, questo comportamento non solo è impunito, ma è anche spesso considerato come un “diritto dell’uomo”

Avina Khorasani, 8 AM Media, 1 dicembre 2024

Lo stupro coniugale è una delle forme più nascoste e meno discusse di violenza sessuale contro le donne da parte degli uomini, soprattutto nelle società patriarcali, dove viene raramente affrontato o esaminato. Questo tema non solo è assente dalla coscienza pubblica, ma è anche difficile da riconoscere. Molti credono che con il matrimonio la donna perda i propri diritti e che l’uomo sia quindi autorizzato a trattarla come meglio crede. In un contesto del genere, le donne si trovano ad affrontare violenze sia pubbliche che private, tra cui stupri e altre forme di violenza. Questo articolo si concentra sulle donne che hanno vissuto questa esperienza. Molte di queste donne giustificano la propria sottomissione a rapporti sessuali non consenzienti, citando l’obbedienza ai mariti, l’adesione alle “leggi di Dio e del Profeta” e il rispetto di usi e costumi. In alcuni casi, le donne non considerano nemmeno questo atto come uno stupro, ritenendo che “lui è un uomo e ne ha il diritto”.

 

Lo stupro coniugale è legalmente perseguibile

Con il termine “stupro coniugale” si fa riferimento a qualsiasi forma di violenza sessuale perpetrata dal marito nei confronti della moglie, che può includere l’imposizione di rapporti sessuali non desiderati, la costrizione a pratiche sessuali non tradizionali e l’uso di violenza fisica o psicologica durante i rapporti sessuali o al loro inizio. Comporta anche l’applicazione di pressioni, sia psicologiche che fisiche, per controllare il corpo della donna e costringerla a fornire prestazioni sessuali. Tutti questi comportamenti costituiscono palesi violazioni dei diritti delle donne e atti di violenza sessuale. Sebbene la criminalizzazione dello stupro coniugale risalga agli anni ’70, è stata riconosciuta come violazione dei diritti delle donne solo nel dicembre 1993, con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne. Nel 2006, il Segretario generale dell’ONU ha annunciato che lo stupro coniugale è legalmente perseguibile in 104 Paesi. Tuttavia, in società come l’Afghanistan, questo comportamento non solo è impunito, ma è anche spesso considerato come un “diritto dell’uomo”.

Nella società afghana, le credenze religiose, le usanze e le leggi non scritte impongono ulteriori vessazioni alle donne. Per varie ragioni, come la conservazione dell’onore familiare e la vergogna associata a questo fenomeno, le donne non possono parlare di questa violenza né sfuggirvi. Le norme sociali e familiari spingono le donne a rimanere nel ruolo di “moglie obbediente”. Anche la giurisprudenza sostiene questa situazione, considerando l’intimità con il marito come un dovere della donna. In questo sistema, la disponibilità psicologica o fisica della donna non viene considerata e la donna che si rifiuta di avere rapporti sessuali viene etichettata come “disobbediente” o “ribelle”. In questo sistema, il corpo della donna diventa proprietà del marito dopo il matrimonio e la donna perde il diritto di opporsi ai rapporti sessuali.

 

In Afghanistan è ampiamente radicato

In Afghanistan, dove vige una gerarchia sociale basata sui ruoli di genere (le donne sono viste come subordinate e gli uomini come dominanti), lo stupro coniugale è un fenomeno ampiamente radicato in fattori sociali, culturali e religiosi. Dopo il matrimonio, la donna viene considerata “proprietà” dell’uomo e perde il diritto di prendere decisioni riguardanti il proprio corpo. Il matrimonio non solo legalizza il sesso non consensuale, ma copre anche varie forme di violenza all’interno della relazione. Le norme sociali valorizzano la sottomissione della donna e la incoraggiano, mentre la disobbedienza è considerata un “peccato” che le toglie il diritto di opporsi agli atti sessuali. Questi fattori, uniti alle interpretazioni religiose prevalenti sul matrimonio, costringono le donne a obbedire ai mariti in ogni circostanza.

Tra le vittime di questa violenza ci sono le donne costrette a sposarsi, le minorenni date in sposa e le donne che un tempo amavano i loro mariti ma che col tempo sono diventate indifferenti a causa dei rapporti sessuali forzati. Humaira è una di queste donne che aveva un buon rapporto con il marito all’inizio del loro matrimonio, ma che ha perso interesse nell’intimità dopo essere stata costretta a rapporti sessuali. Dice: “A volte una donna non vuole fare sesso con il marito, ma lui non si preoccupa dei suoi sentimenti, ti costringe a farlo. Ci sono state volte in cui ho reagito, ho cercato di fermarlo, ma è stato inutile e lui ha fatto quello che voleva”. La coercizione sessuale le ha fatto perdere il piacere del sesso. Dice: “Se gli uomini cercassero il consenso delle donne e chiedessero la nostra opinione, nessuna di noi sarebbe felice di avere un rapporto sessuale”.

Samira, una donna di mezza età, è stata vittima di stupro coniugale per anni. Era intrappolata in una relazione sessuale impari con il marito, che alla fine l’ha portata, all’età di 40 anni, a essere costretta a diventare la seconda moglie del marito. Ricorda: “Quando ero sul tetto o a mungere la mucca, lui mi chiamava e io non osavo dire di no. Una volta, quando sono stata ricoverata in ospedale, mi ha riportata a casa senza preoccuparsi della mia salute né di ascoltare il medico”. Nonostante abbia espresso la sua indisponibilità a avere rapporti sessuali indesiderati con il marito, Samira considera la sua obbedienza a lui come una responsabilità. Quando è invecchiata e il suo corpo è diventato troppo debole per soddisfare le sue esigenze, ha accettato la sua richiesta di un secondo matrimonio senza esitare. Samira dice: “Ero stanca e malata. Non ne avevo alcun desiderio. Sono invecchiata e mio marito non ha mai imparato ad ascoltarmi. Una o due volte, quando mi sono opposta, mi ha mandato a casa di mio fratello. Quando mio marito volle sposare una seconda moglie, mi liberai finalmente di questa situazione”.

 

Molte donne credono sia un loro dovere

Più straziante della realtà dello stupro coniugale è l’ignoranza delle donne riguardo a questo fenomeno. Alcune donne, nonostante il dolore fisico e mentale, credono che sottomettersi alle richieste sessuali del marito sia un loro dovere, giustificando e accettando l’atto sulla base di norme sociali e religiose. Aqila dice: “È un uomo, quindi ne ha il diritto. È per questo che l’Islam ha dato agli uomini tali diritti sulle loro mogli” C’è persino un Hadith che dice che se una donna è impegnata nel forno, dovrebbe lasciare che il pane bruci pur di soddisfare i desideri del marito”. Questo riflette l’interiorizzazione della cultura patriarcale che impedisce alle donne di riconoscere di essere le prime vittime.

La mancanza di educazione alle relazioni sessuali e la vergogna associata al parlarne, insieme a fattori culturali e sociali, hanno contribuito a perpetuare lo stupro coniugale. Rayan Hussain, laureato in sociologia, ritiene che lo stupro coniugale avvenga nella maggior parte delle coppie in Afghanistan e che sia addirittura considerato normale. Aggiunge: “Per alcune donne, il sesso con il partner non è piacevole, sebbene quest’ultimo non ne tragga piacere, considerando la donna uno strumento per la propria soddisfazione sessuale. L’ignoranza della comunità in materia di sesso porta le donne a non desiderare rapporti sessuali, mentre gli uomini insistono, il che finisce per sfociare in uno stupro. Nel nostro Paese non c’è una vera e propria cultura del sesso, perché a tutte le persone coinvolte è stato insegnato che discuterne e parlarne in pubblico è inappropriato”. Di conseguenza, sono in pochi a parlare di questioni e problemi sessuali all’interno delle loro relazioni coniugali. Nel frattempo, molte donne si considerano responsabili di soddisfare i bisogni sessuali dei loro mariti.

 

Con i talebani, sono irrealistiche le speranze di cambiamento

È importante notare che la questione degli stupri coniugali e la loro mancata punizione contribuiscono ad approfondire e prolungare la violenza contro le donne. La persistenza di norme e costumi dannosi in questo ambito pone le basi per la violenza domestica contro le donne. Le relazioni in cui si verifica lo stupro coniugale hanno conseguenze psicologiche, emotive e persino fisiche per le donne coinvolte. È necessario condurre un’ampia ricerca sul campo in questo settore ed è responsabilità del governo trattare lo stupro coniugale e la violenza domestica come questioni socio-politiche e non private, e intraprendere le necessarie azioni legali. Purtroppo, con il controllo dei Talebani sull’Afghanistan, le speranze di un cambiamento della situazione delle donne e di misure pratiche a loro sostegno non sono realistiche. Data la natura misogina e i decreti di questo gruppo, la condizione delle donne non solo non migliorerà, ma peggiorerà. In queste circostanze, i media e le organizzazioni responsabili possono svolgere un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Possono contribuire al cambiamento culturale e sociale informando e educando la società sulle conseguenze dello stupro coniugale e della violenza domestica.

Radio Popolare – Puntata di Rights Now dedicata all’Afghanistan

Nella Giornata Mondiale contro la violenza di genere, Radio Popolare ha dedicato la puntata di Rights Now (il settimanale della Fondazione dei Diritti Umani) all’Afghanistan: “Qual è il posto peggiore per le donne? Probabilmente l’Afghanistan. E lì andiamo con Barbara Schiavulli, il generale Giorgio Battisti e … la cantante Mojgam Azimi”

Per ascoltare la puntata clicca qui.