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Tag: Afghanistan

Numerosi e partecipati gli incontri della militante di RAWA in Italia

Si è concluso pochi giorni fa il lungo giro in Italia (con una puntata in Svizzera) di conferenze di Shakiba, militante di RAWA.

Ma per il CISDA, che lavora a fianco di queste compagne dal 1999, potere incontrare (e anche abbracciare) una testimone diretta della situazione e della resistenza in Afghanistan, dove i talebani stanno cancellando ogni diritto umano per le donne, è imprescindibile. E per queste compagne coraggiose e determinate avere la possibilità di “toccare con mano” la solidarietà che viene loro testimoniata nei numerosi incontri organizzati in varie città è fonte di vita e di speranza.

Due passi avanti e 30 indietro

“Ogni volta che facciamo due passi avanti nella conquista dei nostri diritti veniamo sbattute indietro di 30 passi” ci dice Shakiba al nostro primo incontro. “In Afghanistan resistere comporta il rischio di essere arrestate, torturate e anche uccise; ma non vogliamo abbandonare la nostra gente al suo destino, è nostro dovere restare per continuare a dare una speranza.”

La situazione è sempre più tragica e insostenibile per la popolazione afghana, in particolare per le donne:

  • le donne non possono lavorare, uscire di casa da sole, studiare oltre la sesta classe, mostrare il loro volto in pubblico o far sentire la loro voce; subiscono una delle forme più estreme di apartheid di genere. Molte delle donne che sono scese in piazza per protestare sono state arrestate, incarcerate, torturate e minacciate;
  • il disastro economico è intollerabile: non c’è lavoro e oltre il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. È normale che, date le condizioni di povertà, i maschi siano incentivati ad arruolarsi in qualche milizia per avere uno stipendio e riuscire così a sfamare la famiglia;
  • per avere un futuro moltissimi giovani cercano di scappare dal paese e percorrono le pericolosissime vie migratorie: Iran, Turchia e poi mar Mediterraneo, in mano a scafisti e trafficanti di esseri umani senza scrupoli;
  • nel paese sono state aperte 17.000 madrase, scuole coraniche, che in buona parte hanno sostituito le scuole statali e in cui i giovani studenti vengono indottrinati al fondamentalismo.

Nel frattempo, i talebani hanno ricevuto, solo dagli USA, 40 milioni di dollari ogni settimana e stanno svendendo tutte le ricchezze del paese (minerali rari, pietre preziose ecc.) per mantenere il loro potere.

Gli USA e i loro alleati occidentali in tutti questi anni hanno contribuito alla crescita, grazie a milioni di dollari e di armi, di gruppi di fondamentalisti di ogni tipo. Il risultato è che oggi in Afghanistan, oltre ai talebani, sono presenti ISIS, signori della guerra di diverse etnie, al Qaeda… che opprimono la popolazione afghana (le donne in particolare) da circa 40 anni.

Gli intensi incontri di Shakiba

Dimenticate dai media, dimenticate dai governi, dimenticate dalle organizzazioni internazionali, le donne afghane hanno sempre meno possibilità di far sentire la propria voce, per questo la serie di incontri organizzati da CISDA per la militante di RAWA è doppiamente importante.

Un giro di incontri molto ricco e partecipato: a Bologna RAWA ha ricevuto il Premio internazionale Daniele Po, promosso dalle associazioni Le case degli angeli di Daniele e Strade. Oltre alla cerimonia di premiazione, svoltasi nella Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio di Bologna, Shakiba ha presenziato a circa 15 incontri pubblici che hanno coinvolto organizzazioni della società civile, ragazzi delle scuole con i loro insegnanti, attivisti e attiviste. Tra questi, molto significativo è stato l’incontro online con le commissioni pari opportunità della città metropolitana di Bologna, di Cento e di Pieve di Cento.

Belluno è stata accolta dall’associazione Insieme si può, che da anni, insieme a CISDA, sostiene attivamente i progetti di RAWA e organizza eventi e iniziative nel Nord-Est.

Piacenza le Donne in Nero, da sempre sostenitrici della resistenza delle donne afghane, hanno organizzato un partecipatissimo dibattito pubblico con cena di solidarietà.

Roma Shakiba ha partecipato, al festival Sabir, all’incontro internazionale Voci di lotta e di resistenza dell’Iran e dell’Afghanistan organizzato da ARCI, e ha incontrato le donne del comitato italiano di Jineoloji (un collettivo di donne che si organizza e lavora con il movimento delle donne curde), le donne dell’ANPI provinciale e un gruppo di parlamentari che l’hanno ricevuta alla Camera dei Deputati. Sempre a Roma Donne di Classe e Sinistra anticapitalista hanno organizzato un evento molto partecipato con cena di sottoscrizione.

Piadena è stato organizzato un dibattito pubblico nell’ambito del Festival dei diritti umani di Emmaus e un incontro con 80 ragazzi di 4 classi di terza media.

Va sottolineato che in tutti gli incontri con gli studenti e le studentesse delle scuole e delle università Shakiba ha dimostrato una straordinaria empatia e capacità di dialogo, suscitando grande curiosità e partecipazione.

La Casa delle donne di Torino ha organizzato un dibattito con raccolta fondi di solidarietà.

Lugano Shakiba ha incontrato la professoressa Jolanta Drzewiecka e il professor Villeneuve Jean-Patrick, dell’Institute of Communication and Public Policy (Università della Svizzera italiana), con i quali ha parlato parlare della situazione afghana e delle attività di RAWA a cui è seguito un partecipatissimo incontro con gli studenti dell’università e un’intervista con dei giornalisti del “Corriere del Ticino”.

Infine ha incontrato online la Rete di Coalizione euro-afghana per la Democrazia e la Laicità, per raccontare la difficile situazione delle donne resistenti in Afghanistan e discutere delle possibili azioni di supporto politico che il CISDA e le altre associazioni italiane possono dare loro.

I talebani vietano la formazione medica alle donne

Una delle ultime possibilità per le ragazze afghane di studiare e lavorare, la formazione come  operatrici sanitarie, è stata chiusa dai talebani

Sahar Fetrat, HRW, 3 dicembre 2024

Questa settimana i talebani in Afghanistan hanno chiuso una delle ultime scappatoie rimaste nel divieto di istruzione per le ragazze più grandi e le donne, proibendo loro di frequentare istituti che offrono corsi di formazione medica.

I talebani hanno anche vietato alle donne di alcune province di  farsi curare da personale medico di sesso maschile , il che significa che questo nuovo decreto, che interrompe la formazione di nuove operatrici sanitarie, provocherà inutili sofferenze, sofferenze, malattie e morte per le donne costrette a rinunciare all’assistenza sanitaria, poiché non ci saranno operatrici sanitarie a curarle.

Il leader supremo dei talebani, Haibatullah Akhundzada, ha emesso questo  ordine , che è stato annunciato in una riunione del Ministero della Salute Pubblica dei talebani lunedì. Il ministero  ha convocato i direttori degli istituti di formazione medica privati ​​per istruirli sul nuovo ordine.

Nel settembre 2021, i talebani hanno impedito alle ragazze di frequentare la scuola secondaria oltre la sesta elementare. Nel dicembre 2022, hanno vietato alle ragazze e alle donne di frequentare l’istruzione superiore.

Da quando hanno ripreso il controllo del paese il 15 agosto 2021 i talebani hanno imposto regole che  violano sistematicamente i diritti delle donne e delle ragazze nella maggior parte degli aspetti della loro vita, tra cui non solo il diritto all’istruzione, ma anche alla libertà di movimento e di parola, al lavoro, a vivere liberi dalla violenza, a partecipare alla vita pubblica e ad accedere all’assistenza sanitaria. Le donne e le ragazze non possono nemmeno andare in palestra o camminare in un parco.

I difensori dei diritti delle donne che hanno protestato contro queste violazioni dei diritti, insieme ai loro familiari, hanno dovuto affrontare  gravi ritorsioni da parte dei talebani, tra cui aggressioni fisiche, detenzioni arbitrarie, violenza sessuale, torture esparizione forzata.

I difensori dei diritti delle donne afghane e le organizzazioni per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch, hanno  chiesto che i talebani siano ritenuti responsabili dei crimini commessi contro le donne e le ragazze, nell’ambito di sforzi più ampi per affrontare il problema dell’impunità per i crimini gravi in ​​Afghanistan.

Ci sono prospettive di responsabilità. L’  annuncio del procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan, sempre lunedì, che afferma che il suo team “annuncerà a breve le richieste di mandato d’arresto per la situazione in Afghanistan”, fa sperare che forse presto – finalmente – si faranno i primi passi per chiamare i talebani a rispondere delle loro responsabilità .

 

Dietro le porte chiuse: la violenza sessuale in famiglia

Lo stupro coniugale è riconosciuto come violazione dei diritti delle donne dal dicembre 1993, ed è legalmente perseguibile in 104 Paesi. Tuttavia, in società come l’Afghanistan, questo comportamento non solo è impunito, ma è anche spesso considerato come un “diritto dell’uomo”

Avina Khorasani, 8 AM Media, 1 dicembre 2024

Lo stupro coniugale è una delle forme più nascoste e meno discusse di violenza sessuale contro le donne da parte degli uomini, soprattutto nelle società patriarcali, dove viene raramente affrontato o esaminato. Questo tema non solo è assente dalla coscienza pubblica, ma è anche difficile da riconoscere. Molti credono che con il matrimonio la donna perda i propri diritti e che l’uomo sia quindi autorizzato a trattarla come meglio crede. In un contesto del genere, le donne si trovano ad affrontare violenze sia pubbliche che private, tra cui stupri e altre forme di violenza. Questo articolo si concentra sulle donne che hanno vissuto questa esperienza. Molte di queste donne giustificano la propria sottomissione a rapporti sessuali non consenzienti, citando l’obbedienza ai mariti, l’adesione alle “leggi di Dio e del Profeta” e il rispetto di usi e costumi. In alcuni casi, le donne non considerano nemmeno questo atto come uno stupro, ritenendo che “lui è un uomo e ne ha il diritto”.

 

Lo stupro coniugale è legalmente perseguibile

Con il termine “stupro coniugale” si fa riferimento a qualsiasi forma di violenza sessuale perpetrata dal marito nei confronti della moglie, che può includere l’imposizione di rapporti sessuali non desiderati, la costrizione a pratiche sessuali non tradizionali e l’uso di violenza fisica o psicologica durante i rapporti sessuali o al loro inizio. Comporta anche l’applicazione di pressioni, sia psicologiche che fisiche, per controllare il corpo della donna e costringerla a fornire prestazioni sessuali. Tutti questi comportamenti costituiscono palesi violazioni dei diritti delle donne e atti di violenza sessuale. Sebbene la criminalizzazione dello stupro coniugale risalga agli anni ’70, è stata riconosciuta come violazione dei diritti delle donne solo nel dicembre 1993, con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne. Nel 2006, il Segretario generale dell’ONU ha annunciato che lo stupro coniugale è legalmente perseguibile in 104 Paesi. Tuttavia, in società come l’Afghanistan, questo comportamento non solo è impunito, ma è anche spesso considerato come un “diritto dell’uomo”.

Nella società afghana, le credenze religiose, le usanze e le leggi non scritte impongono ulteriori vessazioni alle donne. Per varie ragioni, come la conservazione dell’onore familiare e la vergogna associata a questo fenomeno, le donne non possono parlare di questa violenza né sfuggirvi. Le norme sociali e familiari spingono le donne a rimanere nel ruolo di “moglie obbediente”. Anche la giurisprudenza sostiene questa situazione, considerando l’intimità con il marito come un dovere della donna. In questo sistema, la disponibilità psicologica o fisica della donna non viene considerata e la donna che si rifiuta di avere rapporti sessuali viene etichettata come “disobbediente” o “ribelle”. In questo sistema, il corpo della donna diventa proprietà del marito dopo il matrimonio e la donna perde il diritto di opporsi ai rapporti sessuali.

 

In Afghanistan è ampiamente radicato

In Afghanistan, dove vige una gerarchia sociale basata sui ruoli di genere (le donne sono viste come subordinate e gli uomini come dominanti), lo stupro coniugale è un fenomeno ampiamente radicato in fattori sociali, culturali e religiosi. Dopo il matrimonio, la donna viene considerata “proprietà” dell’uomo e perde il diritto di prendere decisioni riguardanti il proprio corpo. Il matrimonio non solo legalizza il sesso non consensuale, ma copre anche varie forme di violenza all’interno della relazione. Le norme sociali valorizzano la sottomissione della donna e la incoraggiano, mentre la disobbedienza è considerata un “peccato” che le toglie il diritto di opporsi agli atti sessuali. Questi fattori, uniti alle interpretazioni religiose prevalenti sul matrimonio, costringono le donne a obbedire ai mariti in ogni circostanza.

Tra le vittime di questa violenza ci sono le donne costrette a sposarsi, le minorenni date in sposa e le donne che un tempo amavano i loro mariti ma che col tempo sono diventate indifferenti a causa dei rapporti sessuali forzati. Humaira è una di queste donne che aveva un buon rapporto con il marito all’inizio del loro matrimonio, ma che ha perso interesse nell’intimità dopo essere stata costretta a rapporti sessuali. Dice: “A volte una donna non vuole fare sesso con il marito, ma lui non si preoccupa dei suoi sentimenti, ti costringe a farlo. Ci sono state volte in cui ho reagito, ho cercato di fermarlo, ma è stato inutile e lui ha fatto quello che voleva”. La coercizione sessuale le ha fatto perdere il piacere del sesso. Dice: “Se gli uomini cercassero il consenso delle donne e chiedessero la nostra opinione, nessuna di noi sarebbe felice di avere un rapporto sessuale”.

Samira, una donna di mezza età, è stata vittima di stupro coniugale per anni. Era intrappolata in una relazione sessuale impari con il marito, che alla fine l’ha portata, all’età di 40 anni, a essere costretta a diventare la seconda moglie del marito. Ricorda: “Quando ero sul tetto o a mungere la mucca, lui mi chiamava e io non osavo dire di no. Una volta, quando sono stata ricoverata in ospedale, mi ha riportata a casa senza preoccuparsi della mia salute né di ascoltare il medico”. Nonostante abbia espresso la sua indisponibilità a avere rapporti sessuali indesiderati con il marito, Samira considera la sua obbedienza a lui come una responsabilità. Quando è invecchiata e il suo corpo è diventato troppo debole per soddisfare le sue esigenze, ha accettato la sua richiesta di un secondo matrimonio senza esitare. Samira dice: “Ero stanca e malata. Non ne avevo alcun desiderio. Sono invecchiata e mio marito non ha mai imparato ad ascoltarmi. Una o due volte, quando mi sono opposta, mi ha mandato a casa di mio fratello. Quando mio marito volle sposare una seconda moglie, mi liberai finalmente di questa situazione”.

 

Molte donne credono sia un loro dovere

Più straziante della realtà dello stupro coniugale è l’ignoranza delle donne riguardo a questo fenomeno. Alcune donne, nonostante il dolore fisico e mentale, credono che sottomettersi alle richieste sessuali del marito sia un loro dovere, giustificando e accettando l’atto sulla base di norme sociali e religiose. Aqila dice: “È un uomo, quindi ne ha il diritto. È per questo che l’Islam ha dato agli uomini tali diritti sulle loro mogli” C’è persino un Hadith che dice che se una donna è impegnata nel forno, dovrebbe lasciare che il pane bruci pur di soddisfare i desideri del marito”. Questo riflette l’interiorizzazione della cultura patriarcale che impedisce alle donne di riconoscere di essere le prime vittime.

La mancanza di educazione alle relazioni sessuali e la vergogna associata al parlarne, insieme a fattori culturali e sociali, hanno contribuito a perpetuare lo stupro coniugale. Rayan Hussain, laureato in sociologia, ritiene che lo stupro coniugale avvenga nella maggior parte delle coppie in Afghanistan e che sia addirittura considerato normale. Aggiunge: “Per alcune donne, il sesso con il partner non è piacevole, sebbene quest’ultimo non ne tragga piacere, considerando la donna uno strumento per la propria soddisfazione sessuale. L’ignoranza della comunità in materia di sesso porta le donne a non desiderare rapporti sessuali, mentre gli uomini insistono, il che finisce per sfociare in uno stupro. Nel nostro Paese non c’è una vera e propria cultura del sesso, perché a tutte le persone coinvolte è stato insegnato che discuterne e parlarne in pubblico è inappropriato”. Di conseguenza, sono in pochi a parlare di questioni e problemi sessuali all’interno delle loro relazioni coniugali. Nel frattempo, molte donne si considerano responsabili di soddisfare i bisogni sessuali dei loro mariti.

 

Con i talebani, sono irrealistiche le speranze di cambiamento

È importante notare che la questione degli stupri coniugali e la loro mancata punizione contribuiscono ad approfondire e prolungare la violenza contro le donne. La persistenza di norme e costumi dannosi in questo ambito pone le basi per la violenza domestica contro le donne. Le relazioni in cui si verifica lo stupro coniugale hanno conseguenze psicologiche, emotive e persino fisiche per le donne coinvolte. È necessario condurre un’ampia ricerca sul campo in questo settore ed è responsabilità del governo trattare lo stupro coniugale e la violenza domestica come questioni socio-politiche e non private, e intraprendere le necessarie azioni legali. Purtroppo, con il controllo dei Talebani sull’Afghanistan, le speranze di un cambiamento della situazione delle donne e di misure pratiche a loro sostegno non sono realistiche. Data la natura misogina e i decreti di questo gruppo, la condizione delle donne non solo non migliorerà, ma peggiorerà. In queste circostanze, i media e le organizzazioni responsabili possono svolgere un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Possono contribuire al cambiamento culturale e sociale informando e educando la società sulle conseguenze dello stupro coniugale e della violenza domestica.

Radio Popolare – Puntata di Rights Now dedicata all’Afghanistan

Nella Giornata Mondiale contro la violenza di genere, Radio Popolare ha dedicato la puntata di Rights Now (il settimanale della Fondazione dei Diritti Umani) all’Afghanistan: “Qual è il posto peggiore per le donne? Probabilmente l’Afghanistan. E lì andiamo con Barbara Schiavulli, il generale Giorgio Battisti e … la cantante Mojgam Azimi”

Per ascoltare la puntata clicca qui.

Oppressione dei talebani e aumento dei suicidi

L’aumento del tasso di suicidio tra le donne mette a nudo l’impatto dell’oppressione dei talebani

Maisam Iltaf, Kabul Now, 20 novembre 2024

Razma aveva solo 22 anni, era una studentessa di ingegneria che sognava di costruirsi un futuro più luminoso. Il suo obiettivo era laurearsi, trovare un lavoro e sostenere il padre anziano, che aveva lavorato instancabilmente per finanziare la sua istruzione. Ma quelle aspirazioni furono crudelmente distrutte quando i talebani bandirono le donne dalle università. Da un giorno all’altro, il suo percorso verso l’indipendenza e il successo fu cancellato.

La disperazione era schiacciante. Razma piangeva ogni giorno, il suo futuro un tempo luminoso era stato sostituito da un abisso di disperazione. Le difficoltà finanziarie della sua famiglia rendevano impossibile un aiuto professionale. Un giorno fatale, dopo aver visto le foto dei suoi ex compagni di classe che frequentavano lezioni a cui non era più consentito partecipare, Razma si ritirò nella sua stanza in lacrime. Ore dopo, la sua famiglia trovò il suo corpo senza vita. Aveva ingerito del veleno per topi.

 

Non un caso anomalo

La tragica storia di Razma non è un caso anomalo, bensì un agghiacciante riflesso della difficile situazione delle donne sotto il regime talebano.

Dal ritorno al potere dei talebani nell’agosto 2021, la crisi di salute mentale tra le donne si è deteriorata, con statistiche recenti che rivelano un aumento dei suicidi e delle tendenze suicide. Un’indagine di Afghan Witness ha registrato 195 casi di suicidio femminile tra aprile 2022 e febbraio 2024, con minoranze etniche e donne sottoposte a prigionia da parte dei talebani colpite in modo sproporzionato. Solo nel 2023, Etilaat Roz  ha documentato almeno 103 casi di donne morte per suicidio in 28 province, la maggior parte delle vittime aveva meno di 20 anni. I dati raccolti dal Guardian dagli operatori sanitari in un terzo delle province afghane hanno rivelato un forte aumento dei suicidi e dei tentativi di suicidio femminile tra agosto 2021 e 2022. Queste cifre, tuttavia, sono solo la superficie, poiché la restrizione dei talebani sui media, la paura di ritorsioni e lo stigma sociale oscurano l’intera portata del problema.

Le cause di queste tragedie sono tanto complesse quanto strazianti. Povertà, disoccupazione, matrimoni forzati, violenza domestica, aggressioni sessuali e un trauma psicologico incessante, aggravato dalla violenza di genere e dagli abusi legati ai talebani, hanno afflitto le donne in Afghanistan. Molte soffrono in silenzio, senza vie di sostegno.

Le storie individuali sono strazianti, con resoconti di suicidi femminili che emergono quasi quotidianamente sui media. Salima, una donna della provincia di Ghor, si è tolta la vita con un fucile da caccia dopo aver sopportato un conflitto familiare in corso. Suraya, una diciannovenne di Faryab, si è impiccata per motivi che la sua famiglia si è rifiutata di rivelare. A Badakhshan, una madre in lutto si è suicidata per protestare contro il matrimonio forzato della figlia con un combattente talebano. A Bamiyan, la diciannovenne Tahira si è tolta la vita dopo essere stata rapita e aggredita dalle forze talebane.

Gli psicologi notano che il suicidio è spesso guidato non dal desiderio di morire ma da un disperato bisogno di sfuggire a un dolore mentale insopportabile. Sheila Siddiqi, psicoterapeuta in Afghanistan, spiega che l’ambiente oppressivo dei talebani, caratterizzato da restrizioni draconiane e violenza di genere sistemica, ha lasciato le donne senza speranza e intrappolate.

Siddiqi sottolinea che le rigide restrizioni imposte dai talebani alle donne, in particolare la negazione dell’istruzione e le limitazioni pervasive alle loro libertà, sono fattori primari che determinano l’allarmante aumento dei suicidi tra ragazze e donne in Afghanistan. Queste restrizioni, aggiunge, non solo privano le donne delle loro prospettive future, ma contribuiscono anche a un diffuso disagio psicologico, lasciando molte di loro senza una via di fuga percepita dalle loro tristi realtà.

Secondo l’ Organizzazione Mondiale della Sanità , a livello mondiale gli uomini hanno quasi il doppio delle probabilità di morire per suicidio rispetto alle donne . L’Afghanistan sfida questa tendenza: le donne rappresentano ora l’80% dei tentativi di suicidio segnalati.

Il paese è diventato uno dei luoghi più depressi al mondo. Uno studio Gallup ha scoperto che il 98% degli afghani soffre di disagio psicologico, e le donne sopportano il peso di questa crisi.

Le politiche dei talebani hanno cancellato le donne dalla vita pubblica. L’istruzione oltre la sesta elementare è vietata, la maggior parte delle opportunità di lavoro per le donne sono sparite e persino semplici libertà come visitare i parchi o viaggiare senza accompagnatori sono proibite. L’ambiente soffocante è aggravato da un’ondata di matrimoni forzati, violenza incontrollata e dall’assenza di istituzioni che affrontino le lamentele delle donne.

Anche prima del ritorno dei talebani, l’ONU stimava che un afghano su due soffrisse di disagio psicologico, con le donne colpite in modo sproporzionato. Da allora, la situazione è peggiorata drasticamente. Un rapporto del 2023 di UN Women ha rivelato che quasi il 70% delle donne afghane soffre di ansia, isolamento, depressione e pensieri suicidi. A settembre 2024, UN Women ha riferito che il 90% delle donne e delle ragazze afghane ha valutato la propria salute mentale come “cattiva” o “molto cattiva”, con condizioni in peggioramento di trimestre in trimestre.

Le pacifiche manifestazioni pubbliche delle donne che rivendicano i propri diritti si sono scontrate con la violenta repressione del regime al potere, che ha comportato arresti arbitrari, torture, intimidazioni, violenza sessuale e di genere e persino la morte.

 

Più di una statistica

Inoltre, gli sforzi per affrontare la crisi della salute mentale sono ostacolati dalle restrizioni dei talebani e dal collasso del sistema sanitario afghano. Con gli aiuti esteri ritirati e centinaia di strutture sanitarie chiuse, l’accesso alle cure è praticamente inesistente per molti. Le operatrici sanitarie affrontano severe restrizioni, che limitano ulteriormente i servizi per le donne.

Agli operatori sanitari è vietato condividere statistiche aggiornate sui suicidi e agli ospedali è proibito rilasciare informazioni. Le famiglie, temendo la vergogna o la rappresaglia dei talebani, spesso scelgono il silenzio. I pochi casi che raggiungono l’attenzione pubblica rappresentano probabilmente solo una frazione della tragedia.

Funzionari delle Nazioni Unite e gruppi per i diritti umani hanno condannato il trattamento delle donne da parte dei talebani come “apartheid di genere”. L’erosione sistematica dei diritti delle donne sta alimentando le crisi umanitarie ed economiche. Nonostante l’indignazione internazionale, sono state intraprese poche azioni concrete per affrontare la sofferenza delle donne afghane.

La morte di Razma, come tante altre, è più di una statistica. La sua storia, e le storie di innumerevoli altre persone, esigono di essere ascoltate. La comunità internazionale deve affrontare questa tragedia in escalation e agire prima che altre vite vengano perse nella disperazione.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Etilaatroz in persiano, con ulteriori resoconti di KabulNow.

L’interferenza talebana negli aiuti umanitari

I residenti di Herat raccontano che gli aiuti vengono distribuiti esclusivamente ai villaggi dei combattenti talebani caduti. Solo a settembre, l’OCHA ha documentato 173 casi di interferenza talebana 

8AM Media, 19 novembre 2024

I talebani, nonostante le diffuse lamentele dei cittadini sulla distribuzione di aiuti umanitari ai loro parenti e l’interferenza nel processo di aiuto, persistono nell’allocazione ingiusta e nell’uso improprio degli aiuti in tutto l’Afghanistan. I residenti della provincia di Herat sostengono che gli aiuti delle organizzazioni e delle agenzie di soccorso non vengono distribuiti in base alle necessità, ma piuttosto a individui vicini ai talebani e alle loro famiglie. Secondo questi residenti, i talebani danno priorità ai villaggi con il più alto numero di vittime per la distribuzione degli aiuti. Al contrario, i villaggi con molti ex militari sono esclusi dal ricevere assistenza umanitaria a causa dell’opposizione dei talebani.

Diversi residenti di Herat riferiscono che i talebani interferiscono attivamente nel processo di distribuzione degli aiuti, ordinando alle organizzazioni di operare sotto la loro influenza all’interno della provincia. Affermano che il personale dell’organizzazione, durante i sondaggi e la distribuzione degli aiuti, segue le direttive dei talebani, inclusa l’aggiunta di individui raccomandati dal gruppo alle liste dei destinatari. Il controllo e la coercizione dei talebani hanno messo a tacere molti, mentre coloro che esprimono critiche affrontano percosse, arresti e prigionia.

Abdul Ghani, residente nel distretto di Koh-e-Zor a Herat, sostiene che gli aiuti non hanno raggiunto chi ne aveva realmente bisogno. Sono invece diretti a individui e comunità favorite dai funzionari talebani locali.

 

Sono i talebani a decidere a chi vanno gli aiuti

“Le organizzazioni portano aiuti, ma le persone povere e indifese non ne traggono alcun vantaggio. Tutto l’aiuto viene dato a coloro che non ne hanno bisogno”, ha detto all’Hasht -e Subh Daily.

Ha aggiunto: “Le organizzazioni conducono sondaggi, ma i talebani stabiliscono quali villaggi e individui sono inclusi o esclusi dalle liste. Finora, tutti gli aiuti sono stati distribuiti ai talebani e alle loro famiglie, non alle persone povere”.

Ameer (pseudonimo), un residente del villaggio di Shahrabad nel distretto di Zirkuh di Herat, riferisce che i talebani hanno deliberatamente privato il suo villaggio di aiuti umanitari. A causa dell’interferenza dei talebani, le organizzazioni di soccorso forniscono solo un’assistenza minima nella sua zona. Spiega che molti residenti erano militari sotto il precedente governo, il che ha portato i talebani a prendere di mira gli anziani del villaggio che criticano la distribuzione iniqua degli aiuti.

“Nel nostro villaggio, gli aiuti non vengono distribuiti o arrivano in piccole quantità. Nel frattempo, a Bakhtabad, un villaggio dove molti talebani hanno vissuto e combattuto, tutti gli aiuti vengono presi e distribuiti”, ha detto Ameer all’Hasht -e Subh Daily.

Ha aggiunto: “Il nostro villaggio aveva più personale militare durante il precedente governo, quindi gli aiuti sono stati trattenuti. Qualche giorno fa, l’anziano del nostro villaggio ha protestato dopo aver visto che altri villaggi hanno ricevuto quattro o cinque volte più aiuti del nostro. I talebani hanno risposto che i loro villaggi avevano subito più vittime, quindi meritavano più aiuti”.

Ameer ha sottolineato che l’anziano ha detto ai talebani: “Avete fatto del coinvolgimento in omicidi e violenze il criterio per la distribuzione degli aiuti”. In risposta, i talebani hanno aggredito e imprigionato l’anziano.

Allo stesso modo, i residenti del distretto di Adraskan a Herat esprimono frustrazione per la distribuzione iniqua degli aiuti. Affermano che gli individui realmente bisognosi vengono spesso esclusi dalle liste dei beneficiari a causa dell’interferenza dei talebani.

Nader, un residente di Adraskan, ha condiviso con l’ Hasht-e Subh Daily , “Arrivano molti aiuti, ma non raggiungono i poveri e i bisognosi. Molte volte, gli aiuti sono stati consegnati al nostro distretto, ma sono finiti a individui che non ne avevano bisogno piuttosto che a coloro che li meritavano veramente”.

Ha aggiunto: “Gli aiuti destinati alle famiglie bisognose vengono spesso raccolti e ridistribuiti tra tutti i residenti del villaggio, compresi gli individui benestanti”.

Nel frattempo, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) ha confermato che i talebani interferiscono in modo significativo nelle operazioni umanitarie. Solo a settembre, l’OCHA ha documentato 173 casi di interferenza talebana, che hanno portato alla sospensione di almeno 83 progetti.

L’OCHA ha evidenziato le principali forme di interferenza dei talebani, tra cui la violenza contro gli operatori umanitari, l’accesso limitato alle risorse umanitarie e le limitazioni imposte alle attività delle organizzazioni e del loro personale all’interno del Paese.

Il governo talebano elimina i libri “non islamici”

Il governo dei talebani censura 400 libri “in conflitto con i valori islamici e afghani”. Nell’elenco dei libri vietati è incluso un libro pubblicato da RAWA (evidenziato nell’immagine).

AFP, Rawa, 20 novembre 2024

Le autorità talebane stanno lavorando per rimuovere dalla circolazione la letteratura “non islamica” e antigovernativa, controllando i libri importati, rimuovendo i testi dalle biblioteche e distribuendo elenchi di titoli proibiti.

Gli sforzi sono guidati da una commissione istituita presso il Ministero dell’Informazione e della Cultura subito dopo che i talebani sono saliti al potere nel 2021 e hanno applicato la loro rigorosa interpretazione della legge islamica, o sharia.

A ottobre, il Ministero ha annunciato che la commissione aveva individuato 400 libri “in conflitto con i valori islamici e afghani, la maggior parte dei quali erano stati ritirati dai mercati”.

Il dipartimento responsabile dell’editoria ha distribuito copie del Corano e di altri testi islamici per sostituire i libri sequestrati, si legge nella nota del ministero.

Il Ministero non ha fornito cifre relative al numero di libri rimossi, ma due fonti, un editore di Kabul e un dipendente governativo, hanno affermato che i testi sono stati raccolti nel primo anno di governo dei talebani e nuovamente negli ultimi mesi.

“C’è molta censura. È molto difficile lavorare e la paura si è diffusa ovunque”, ha detto l’editore di Kabul all’AFP.

Anche sotto il precedente governo sostenuto dall’estero, detronizzato dai talebani, i libri erano soggetti a restrizioni, quando c’erano “molta corruzione, pressioni e altri problemi”, ha affermato.

Ma “non c’era paura, ognuno poteva dire quello che voleva”, ha aggiunto. “Che riuscissimo o meno a fare qualche cambiamento, potevamo far sentire la nostra voce.”

 

Proibito quanto è in contrasto con la religione

L’AFP ha ricevuto da un funzionario del Ministero dell’Informazione l’elenco di cinque titoli vietati.

Tra questi rientrano “Gesù, figlio dell’uomo” del celebre autore libanese-americano Khalil Gibran, per il contenuto di “espressioni blasfeme”, e il romanzo “contro culturale” “Il crepuscolo degli dei orientali” dell’autore albanese Ismail Kadare.

Anche “Afghanistan and the Region: A West Asian Perspective” di Mirwais Balkhi, ministro dell’istruzione del precedente governo, è stato bandito per “propaganda negativa”.

Durante il precedente governo dei talebani, dal 1996 al 2001, a Kabul c’erano relativamente poche case editrici e librai, poiché il paese era già stato devastato da decenni di guerra.

Attualmente ogni settimana vengono importati migliaia di libri solo dal vicino Iran, che condivide la lingua persiana con l’Afghanistan, attraverso il valico di frontiera di Islam Qala, nella provincia occidentale di Herat.

La scorsa settimana le autorità talebane hanno rovistato tra le scatole di una spedizione in un deposito doganale della città di Herat.

Un uomo sfogliava un voluminoso titolo in lingua inglese, mentre un altro, che indossava un’uniforme mimetica con l’immagine di un uomo sulla toppa della spalla, cercava immagini di persone e animali nei libri.

“Non abbiamo vietato libri di nessun paese o persona in particolare, ma li studiamo e blocchiamo quelli che sono in contraddizione con la religione, la sharia o il governo, o che contengono foto di esseri viventi”, ha affermato Mohammad Sediq Khademi, funzionario del dipartimento di Herat per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio (PVPV).

“Non permetteremo l’importazione di libri contrari alla religione, alla fede, alla setta, alla sharia”, ha detto il trentottenne all’AFP, aggiungendo che le valutazioni dei libri importati sono iniziate circa tre mesi fa.

Le immagini di esseri viventi, vietate da alcune interpretazioni dell’Islam, sono limitate in base alla recente legge sui “vizi e le virtù” che codifica le regole imposte da quando i talebani sono tornati al potere, ma le norme sono state applicate in modo non uniforme.

Gli importatori sono stati informati sui libri da evitare e, quando alcuni libri vengono ritenuti inadatti, viene data loro la possibilità di restituirli e riavere indietro i soldi spesi, ha affermato Khademi.

“Ma se non ci riescono, non abbiamo altra scelta che sequestrarli”, ha aggiunto.

“Una volta abbiamo ricevuto 28 cartoni di libri che sono stati scartati.”

 

Liberarsi delle scorte

Le autorità non sono andate di negozio in negozio per controllare se ci sono libri proibiti, hanno affermato un funzionario del dipartimento provinciale per l’informazione e un libraio di Herat, che hanno chiesto di restare anonimi.

Tuttavia, alcuni libri sono stati rimossi dalle biblioteche di Herat e dalle librerie di Kabul, ha detto all’AFP un libraio, chiedendo anche lui l’anonimato, tra cui “La storia dei gruppi jihadisti in Afghanistan” dell’autore afghano Yaqub Mashauf.

Nei negozi di Herat si possono ancora trovare libri con immagini di esseri viventi.

A Kabul e Takhar, una provincia settentrionale dove i librai hanno dichiarato di aver ricevuto la lista di 400 libri proibiti, su alcuni scaffali continuavano a comparire titoli non ammessi.

Molte opere non afghane sono state vietate, ha affermato un venditore, “quindi guardano l’autore e, se risultano straniere, vengono per lo più bandite” .

Nella sua libreria erano ancora disponibili le traduzioni di “Il giocatore” dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij e del romanzo fantasy “La figlia della dea luna” di Sue Lynn Tan.

Ma lui era ansioso di venderli subito “a un prezzo molto basso”, per liberarsene.

Dalle madrase a TiKToK, l’imperativo è indottrinare

La battaglia contro l’estremismo deve essere combattuta non solo con armi e diplomazia, ma con idee, istruzione e verità. Solo contrastando la narrazione dei talebani possiamo sperare di proteggere la prossima generazione dall’ideologia distruttiva che cerca di definire il loro futuro

Ali Ahmadi, Rukshana Media, 19 novembre 2024

In Afghanistan, la storia dei giovani non è solo un racconto di crescita all’ombra della guerra, ma anche di indottrinamento sistematico. La presa dei talebani sulle giovani menti sta diventando sempre più forte, passando dalle scuole religiose tradizionali chiamate madrase alle piattaforme dei social media che mirano a creare una nuova generazione di radicali devoti alle idee estremiste dei talebani.

Da quando i talebani sono emersi negli anni ’90, le madrase sono state la pietra angolare della loro strategia per indottrinare i giovani. Queste istituzioni, in particolare nelle aree rurali, spesso forniscono l’unica istruzione accessibile e gratuita per i bambini provenienti da famiglie povere. I genitori credono che sia un rifugio sicuro per l’apprendimento; tuttavia, è anche il centro di preparazione della prossima generazione di combattenti talebani.

Con un curriculum strettamente incentrato sui testi religiosi, insegnato senza impegno critico o interpretazione, gli studenti sono spesso isolati dal mondo esterno, che sono incoraggiati a guardare con sospetto e ostilità. L’influenza dei talebani assicura che queste scuole insegnino una versione dell’Islam rigida, esclusiva e apertamente antagonista a qualsiasi cosa percepita come occidentale o moderna, plasmando così una visione del mondo profondamente allineata con la loro ideologia estremista.

 

Da scuole laiche a madrase per rimodellare l’istruzione

Secondo il Ministero dell’Istruzione dei Talebani, in Afghanistan ci sono circa 20.000 di queste madrase, di cui 13.500 sono controllate dal governo. Dal loro ritorno al potere nell’agosto 2021, hanno anche istituito la Direzione dei seminari jihadisti, che supervisiona la costruzione e il funzionamento da tre o dieci madrase in ciascuno dei 364 distretti dell’Afghanistan, un progetto vasto e ambizioso sufficientemente da radicalizzare un’intera generazione.  

Tuttavia, la presa dei talebani sull’istruzione si estende ulteriormente con la trasformazione sistematica delle scuole laiche e dei centri di formazione degli insegnanti in madrase. Nemmeno le università sono state risparmiate, poiché i talebani hanno introdotto corsi ideologici per sostituire l’istruzione laica. Ad esempio, hanno triplicato i crediti obbligatori in studi islamici e sia gli insegnanti che gli studenti sono tenuti a studiare una resa glorificata dell’evoluzione dei talebani come risultati.

Inoltre il gruppo nomina lealisti talebani, spesso ex combattenti, a posizioni accademiche chiave, tra cui la dirigenza universitaria. Un esempio lampante è l’Università di Herat, dove il preside è stato sostituito con un combattente talebano noto per aver convinto giovani reclute a compiere missioni suicide, come riportato dal Times Higher Education. Allo stesso modo, i ministri dell’istruzione e dell’istruzione superiore sono due mullah con studi religiosi di base, evidenziando la loro missione di rimodellare l’istruzione in un meccanismo di conformità ideologica.

 

L’era digitale aumenta la diffusione dell’ideologia

Mentre le madrase tradizionali, le università e le scuole rimangono strumenti potenti per i talebani, l’era digitale ha aperto nuove strade per diffondere la loro ideologia. Piattaforme di social media come TikTok, X (ex Twitter) e Facebook, che sono molto popolari tra i giovani afghani, sono diventate l’ultimo campo di battaglia per la macchina della propaganda dei talebani.

Secondo un rapporto del Toda Peace Institute, tra aprile e metà settembre 2021, i talebani hanno pubblicato oltre 100.000 tweet, mentre una rete di almeno 126.000 account X ha “ritwittato” i loro contenuti quasi 1 milione di volte.

Dopo la caduta di Kabul, i talebani hanno intensificato la loro campagna sui social media per presentarsi come governanti capaci del paese. Hanno lanciato hashtag mirati come #KabulRegimeCrimes, accusando l’ex governo afghano di crimini di guerra, e #WeStandWithTaliban per creare un’illusione di ampio sostegno pubblico. Un altro hashtag, #ﻧَﺼْﺮٌ_ﻣٌﻦَ_اللهِ_ (“La vittoria viene da Dio e l’aiuto di Dio è vicino”), ha fatto appello al sentimento religioso, utilizzando il concetto di jihad per raccogliere sostegno, come dettagliato da Zafar Iqbal, editorialista e autore di “The Troubled Triangle: US – Pakistan Relations under the Taliban Shadow”.

Un rapporto che analizza l’attività dei talebani su X ha rivelato che all’8 maggio 2022 i loro contenuti avevano raggiunto oltre 3,3 milioni di account. Ciò evidenzia la vasta portata della loro influenza online e l’efficacia delle loro strategie di propaganda digitale nel diffondere la loro narrazione.

 

I giovani particolarmente vulnerabili alla manipolazione

La strategia dei talebani sui social media consente loro di aggirare i tradizionali guardiani delle informazioni, raggiungendo direttamente le case e i telefoni in tutto il mondo. Questa capacità presenta una nuova sfida per coloro che cercano di contrastare l’estremismo, poiché non si tratta più di combattere un’ideologia radicata in villaggi remoti, ma una che è diffusa in tutto il mondo in tempo reale.

Questa presenza digitale non riguarda solo la diffusione di propaganda; riguarda la creazione di una realtà alternativa in cui la visione del mondo dei talebani è la norma. Poiché fanno appello a sentimenti religiosi ed etno-nazionali, i giovani, sia in Afghanistan che nel resto del mondo, sono particolarmente vulnerabili a questo tipo di manipolazione.

Le conseguenze di questa strategia sono di vasta portata: in Afghanistan, porterà a una generazione meno istruita, più isolata dal resto del mondo e più suscettibile alla radicalizzazione; oltre i confini dell’Afghanistan, la diffusione dell’ideologia talebana attraverso i social media potrebbe ispirare e radicalizzare gli individui in tutto il mondo, portando a un aumento dell’estremismo e del terrorismo.

 

L’impatto tragico sui bambini

L’impatto degli sforzi di indottrinamento dei Talebani, durati decenni, è evidente nelle statistiche. Negli ultimi 20 anni, circa 33.000 bambini sono stati uccisi o mutilati in Afghanistan, una media scioccante di un bambino ogni cinque ore, secondo Save the Children.

I bambini afghani non sono stati solo vittime collaterali del conflitto. Molti sono stati direttamente coinvolti come combattenti, costretti a diventare attentatori suicidi e combattenti. L’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo riferisce che migliaia di bambini sono stati reclutati nelle fila dei talebani, spesso addestrati nelle madrase e reclutati con la forza, la manipolazione o false promesse.

Anche dopo la presa del potere dei talebani nel paese, alcune fonti suggeriscono che il reclutamento di bambini continua e si stima che migliaia di bambini potrebbero ancora far parte delle loro forze.

Il processo di trasformazione dei bambini in armi da guerra spesso inizia in età molto precoce. Rapporti da varie fonti, tra cui Al Jazeera e CNN, indicano che bambini di appena sei anni sono stati reclutati dai talebani, sottoposti al lavaggio del cervello per fargli credere che il martirio in nome della jihad sia il loro destino. La manipolazione psicologica impiegata dai talebani è agghiacciantemente efficace, usando promesse di ricompense celesti e la glorificazione della violenza per cancellare l’innocenza dell’infanzia.

Gli sforzi dei talebani per radicalizzare i giovani afghani rappresentano non solo una minaccia per l’attuale generazione ma un pericolo incombente per il futuro dell’intera nazione. Il sistematico lavaggio del cervello dei bambini assicura che il ciclo di violenza ed estremismo continuerà, con ogni nuova generazione sempre più radicata nella visione radicale del mondo dei talebani.

Misure più forti per prevenire la propaganda estremista

La comunità internazionale deve riconoscere la gravità di questa situazione e agire per contrastare l’influenza dei talebani. Ciò richiede non solo strategie politiche ma anche riforme educative e supporto a narrazioni alternative che promuovano la pace e la tolleranza. Le piattaforme dei social media devono anche assumersi la responsabilità dei contenuti che ospitano, implementando misure più forti per prevenire la diffusione della propaganda estremista.

Mentre il mondo osserva l’evolversi della situazione in Afghanistan, è imperativo che non chiudiamo un occhio sulla guerra che si sta combattendo contro le menti dei suoi giovani. La battaglia contro l’estremismo deve essere combattuta non solo con armi e diplomazia, ma con idee, istruzione e verità. Solo contrastando la narrazione dei talebani possiamo sperare di proteggere la prossima generazione dall’ideologia distruttiva che cerca di definire il loro futuro.

Ali Ahmadi è un ricercatore e laureato in studi sullo sviluppo presso l’Università di East Anglia, Regno Unito

“Rigenerare” Kabul, demolendo le proprietà delle minoranze

Le immagini satellitari rivelano la portata del brutale programma di “riqualificazione” avviato dai talebani nella capitale dell’Afghanistan. Demoliti almeno 50mila metri quadrati di proprietà appartenenti a minoranze etniche

Davide Bartoccini, Il Giornale, 1

Un’indagine che si sta avvalendo di immagini satellitari e video diffusi sui social media rivela la vera portata del brutale programma di “riqualificazione” urbana avviato dai talebani a Kabul, dove sono stati demoliti almeno 50mila metri quadrati di proprietà appartenenti a minoranze etniche in un’ondata di devastazione che potrebbe essere paragonata a quella inflitta da un potente terremoto.

Secondo quanto riportato in esclusiva dal The Guardian, nella capitale afghana migliaia di persone sono rimaste senza casa in seguito alla decisione dei talebani di completare un ambizioso piano di riqualificazione che non ha tenuto minimamente conto delle proprietà di alcune minoranze etniche che sono rimaste e rimarranno senza una casa.

Questa radicale campagna di riqualificazione avviata dai talebani che sono tornati al potere nel 2021 dopo la rovinosa ritirata del Contingente internazionale, punterebbe a “modernizzare la capitale storica dell’Afghanistan“, ma sta avendo un impatto brutale sulle comunità più vulnerabili e su quella fascia di popolazione più povera che è costrette a vivere in delle bidonville. Secondo quanto riportato, nei sei distretti più colpiti sono stati demoliti almeno 12 acri di proprietà residenziali. Almeno tre di queste aree erano popolate esclusivamente da comunità di minoranza Hazara. Altre due erano popolate dalla minoranza Tagiki. Il più colpito è stato il distretto 13 di Kabul, un’area prevalentemente Hazara.

Queste due minoranze etniche sono costrette ad assistere alla demolizione incondizionate delle loro proprietà senza alcuna soluzione per un reinsediamento. Ancora più gravi sono le testimonianze che raccontano di demolizioni avvenute mentre le persone erano ancora all’interno delle loro abitazione. Ciò ha provocato la morte di diversi anziani e bambini.

Diversi gruppi per i diritti umani stanno inoltre denunciano come e quanto lo sconsiderato piano di riqualificazione dei talebani stia pesando soprattutto sulle donne, che sono particolarmente vulnerabili dopo lo sfratto dal momento che non possono far valere i propri diritti in mancanza di un uomo nella propria famiglia. Le donne non hanno il permesso di accedere agli uffici comunali di Kabul “senza un tutore maschio che le accompagni“, in ottemperanza alle regole di segregazione imposte dai talebani.

I talebani “riconosciuti” alla COP29 puntano sugli aiuti per il clima

La normalizzazione del governo talebano continua. L’Azerbaigian ha invitato come “ospiti” una delegazione di talebani alla Conferenza internazionale sul clima. Sono i loro primi colloqui ONU dopo la presa del potere nel 2021

AFP, Geo News, 12 novembre 2024

Il primo funzionario afghano a partecipare ai colloqui delle Nazioni Unite sul clima da quando i talebani sono saliti al potere ha dichiarato lunedì all’AFP che il suo Paese spera di trarre vantaggio da un accordo finanziario globale in fase di negoziazione alla COP29 di Baku.

A capo di un team di tre persone, l’ex negoziatore talebano Matiul Haq Khalis si è distinto nelle affollate sale della conferenza nella capitale dell’Azerbaigian, dove i delegati provenienti da circa 200 paesi hanno iniziato due settimane di colloqui.

l governo guidato dai talebani, non riconosciuto a livello internazionale, ha tentato, senza riuscirci, di partecipare alle precedenti riunioni della COP (Conferenza delle Parti) tenutesi in Egitto e negli Emirati Arabi Uniti (EAU).

Khalis, direttore generale dell’Agenzia nazionale per la protezione ambientale dell’Afghanistan (NEPA), ha affermato che il suo team è stato invitato a partecipare ai colloqui dal ministro dell’ecologia dell’Azerbaigian e presidente della COP29, Mukhtar Babayev.

La delegazione afghana si trova a Baku in qualità di “ospite” dei paesi ospitanti e non come parte direttamente coinvolta nei negoziati.

“Apprezzo molto” l’invito di Babayev e la facilitazione dei visti da parte del governo azero, ha affermato Khalis, figlio dell’eminente figura Mawlawi Yunus Khalis.

La sua delegazione, ha detto all’AFP tramite un interprete, mira a “trasmettere il messaggio … alla comunità mondiale che il cambiamento climatico è un problema globale e non conosce questioni transfrontaliere”.

Poiché l’Afghanistan è uno dei paesi più vulnerabili al riscaldamento globale, i talebani sostengono che il loro isolamento politico non dovrebbe impedir loro di partecipare ai colloqui internazionali sul clima.

Khalis ha affermato che i partecipanti alla COP29 dovrebbero prendere in considerazione, “nelle loro decisioni”, i paesi vulnerabili come l’Afghanistan, che sono i più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico.

Tuttavia, il trattamento riservato dai talebani alle donne potrebbe essere motivo di controversia durante le conferenze sul clima, in cui i diritti di genere sono sempre al centro delle discussioni.

“Il popolo afghano, in particolare i più vulnerabili, ha urgente bisogno del sostegno della finanza per il clima per riprendersi e adattarsi”, ha detto l’attivista per il clima Harjeet Singh all’AFP .

“Tuttavia, mentre il governo talebano cerca di impegnarsi nel processo internazionale, è essenziale che rispetti e promuova i diritti fondamentali universali, in particolare i diritti delle donne all’interno del Paese”, ha affermato.