Richard Bennett, relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Afghanistan, ha invitato i talebani a porre fine alla pratica delle esecuzioni pubbliche e delle punizioni corporali, condannando l’esecuzione di mercoledì nella provincia di Paktia come una “chiara violazione dei diritti umani”.
“Condanno l’orribile esecuzione pubblica di oggi in uno stadio sportivo a Gardez, Afghanistan, così come altre punizioni corporali ed esecuzioni eseguite dai talebani”, ha affermato Bennett in una dichiarazione su X, precedentemente Twitter. “Chiedo ai talebani di porre immediatamente fine a queste punizioni atroci”.
Mercoledì i talebani hanno condotto un’esecuzione pubblica a Gardez, con alti funzionari talebani, tra cui Sirajuddin Haqqani, ministro degli interni dei talebani, che hanno supervisionato la punizione. La Corte Suprema dei talebani ha affermato in una dichiarazione che Mohammad Ayaz Asad, un residente di Paktia, è stato condannato per l’omicidio di un uomo di nome Habibullah ed è stato giustiziato sotto “qisas“, o giustizia retributiva, di fronte a una grande folla allo stadio.
Le immagini condivise sui social media hanno mostrato centinaia di spettatori radunati per assistere all’esecuzione, evidenziando un modello continuo di punizioni pubbliche da quando i talebani sono tornati al potere nell’agosto 2021. Questo segna l’ultimo di una serie di esecuzioni, frustate e lapidazioni somministrate dai tribunali talebani, suscitando una condanna diffusa da parte dei difensori dei diritti umani.
Nei tre anni trascorsi dalla loro presa del potere, i talebani avrebbero eseguito almeno 176 esecuzioni pubbliche, con oltre 400 detenuti aggiuntivi nelle prigioni talebane attualmente in attesa di condanne di qisas, secondo le informazioni della Corte suprema dei talebani. La corte ha inoltre riferito che solo nell’ultimo anno, i talebani hanno lapidato 27 individui e registrato quattro esecuzioni formali.
I sostenitori dei diritti umani e i cittadini afghani hanno espresso indignazione per queste pratiche, che a loro dire violano i diritti umani fondamentali. “I talebani stanno commettendo gravi abusi contro il popolo afghano”, ha affermato Sanam Kabiri, un’attivista per i diritti umani. “Il mondo non deve ignorare la crudeltà dei talebani. Ogni giorno impongono nuovi decreti restrittivi, aggiungendo sofferenza al popolo afghano”.
Un abitante di Kabul ha riecheggiato questo sentimento, dicendo: “I talebani hanno trasformato gli stadi sportivi in luoghi di violenza e punizione. Invece di occuparsi delle esigenze del popolo afghano, come istruzione e occupazione per le donne, i talebani rispondono con frustate e torture”.
Il leader talebano Hibatullah Akhundzada ha emanato un decreto nel novembre 2022 che impone l’attuazione delle punizioni “hudud” e qisas, che includono fustigazioni pubbliche, esecuzioni e amputazioni. Da allora, queste punizioni sono state ampiamente eseguite sia su uomini che su donne, sottolineando il ritorno dei talebani a interpretazioni rigorose della legge della Sharia e spingendo a rinnovate richieste di intervento internazionale.
La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti è un evento significativo che avrà un impatto duraturo sulla politica interna degli Stati Uniti e sul ruolo internazionale del paese. Per questo motivo, molti in tutto il mondo si chiedono come una nuova amministrazione Trump influenzerà anche le loro vite.
I politici afghani, compresi i talebani, sono ansiosi di capire cosa potrebbe significare per loro la vittoria di Trump. Le fazioni talebane coinvolte nei negoziati di Doha con la prima amministrazione Trump sono probabilmente soddisfatte del suo imminente ritorno alla Casa Bianca, convinte che i loro contatti passati con il team di Trump potrebbero aiutarli ad assicurarsi un posto di rilievo al tavolo se gli Stati Uniti dovessero cambiare di nuovo le cose. Nel frattempo, l’opposizione spera che Trump e i suoi funzionari possano decidere che l’attuazione dell’accordo di Doha è incompleto e fare pressione sui talebani affinché rispettino la sua quarta clausola.
I termini dell’Accordo di Doha
I quattro punti principali dell’accordo di Doha firmato nel 2020, in sintesi, sono:
L’Afghanistan non verrà utilizzato per attaccare gli Stati Uniti e i suoi alleati
Le forze guidate dagli americani si ritireranno dall’Afghanistan
Si svolgeranno negoziati intra-afghani
In Afghanistan verrà stabilito un cessate il fuoco permanente e i partecipanti ai colloqui intra-afghani concorderanno una tabella di marcia politica per il futuro del Paese.
È sempre stato sottolineato che queste quattro questioni erano interconnesse e dipendenti l’una dall’altra. Il termine “negoziati intra-afghani” è stata una delle frasi più frequentemente utilizzate nell’accordo. Da quando ha annunciato che si sarebbe candidato di nuovo, Trump ha criticato i suoi rivali per l’attuazione dell’accordo di Doha. Ha accusato i democratici di “consegnare l’Afghanistan alla Cina” e ha affermato che se fosse stato al potere, non avrebbe consegnato la base aerea di Bagram a forze che ha definito nemiche dell’America.
Trump ha anche affermato che i leader talebani gli obbedivano, affermando che un leader da lui chiamato “Abdul” si rivolgeva a lui chiamandolo “Sua Eccellenza”. Tuttavia, molto non è chiaro, incluso se Trump avrebbe continuato l’attuale rapporto tra i talebani e gli Stati Uniti, come i pagamenti in dollari in corso, o se avrebbe fatto pressione sui talebani affinché riprendessero i colloqui intra-afghani e formassero un “nuovo governo islamico post-accordo”.
Se consideriamo le politiche del primo mandato di Trump, ci sono poche aspettative che egli avrebbe fatto pressione sui talebani per formare un governo inclusivo. Il nocciolo della sua posizione di politica estera era che la missione degli Stati Uniti non era quella di portare la democrazia in Afghanistan o di impegnarsi nella “costruzione della nazione”. Trump ha insistito per riportare a casa le truppe americane e l’accordo di Doha è stato firmato a tal fine.
Tuttavia, ci sono aspetti dello stile di lavoro e delle caratteristiche personali di Trump che lasciano sperare in possibili sviluppi.
Opportunità di fare lobbying sull’amministrazione di Trump
Come candidato alla presidenza, Donald Trump si è candidato opponendosi alla burocrazia di Washington. Sfruttando l’insoddisfazione pubblica nei confronti della burocrazia e delle lungaggini burocratiche, si è presentato come l’architetto di uno stile di governo in cui le decisioni, come nel mondo degli affari, vengono prese rapidamente con una burocrazia minima. Questo approccio aumenta la potenziale influenza di lobbisti e gruppi di interesse sulle sue decisioni. Nell’accordo di Doha, ad esempio, ha prestato poca attenzione alle voci dell’apparato diplomatico e militare degli Stati Uniti, ignorando le opinioni di generali e politici. Invece, ha concesso un’autorità significativa al suo segretario di stato, Mike Pompeo, e, in particolare, all’inviato speciale Zalmay Khalilzad, che ha svolto un ruolo di primo piano nel dare forma all’accordo.
Molto è ancora sconosciuto, ma è probabile che le politiche future di Trump seguano gli stessi schemi del suo primo mandato. L’impiego diretto di forze militari e l’intervento diretto all’interno dell’Afghanistan sembrano improbabili. Tuttavia, Trump potrebbe rivisitare l’accordo di Doha per dimostrare a un pubblico americano interno che ha più successo dei suoi rivali nell’adempimento delle missioni internazionali. Se l’accordo torna sul tavolo, la sua quarta clausola (colloqui intra-afghani e accordo su una tabella di marcia politica) probabilmente verrà alla ribalta, soprattutto se le fazioni anti-talebane hanno la capacità di fare lobby e connettersi con la Casa Bianca e i suoi fidati aiutanti. Tuttavia, se il Pakistan e le lobby talebane prendono il sopravvento, allora i negoziati sull’accordo potrebbero spostarsi sul dibattito se i talebani siano riusciti a rispettare il loro impegno primario, ovvero impedire che l’Afghanistan venga usato contro gli interessi degli Stati Uniti, e quindi abbiano diritto a un riconoscimento formale.
Se Trump vuole occuparsi delle questioni afghane, allora è probabile che Zalmay Khalilzad svolga ancora una volta un ruolo cruciale. Il suo ritorno accorcerebbe la linea di comunicazione tra i leader afghani e il presidente degli Stati Uniti, consentendo a politici e gruppi di influenzare direttamente la politica statunitense sull’Afghanistan tramite lui.
Come in precedenza, rimane una domanda centrale: quale parte agirà in modo più efficace e coeso: i talebani e i loro alleati o le fazioni anti-talebane?
Il ruolo della Cina
Trump si oppone alla concessione di aiuti militari e finanziari all’Ucraina. Insiste inoltre sul fatto che gli USA dovrebbero concentrare le proprie risorse sul contenimento della Cina. La principale area di conflitto tra USA e Cina sarà il Sud-est asiatico, sebbene le rotte commerciali e di transito della Cina in Asia centrale e Asia meridionale diventeranno anch’esse un’arena di scontro.
Dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, la Cina ha una presenza più forte in Afghanistan. Gli investimenti cinesi sono ripresi e i contatti politici e diplomatici tra i talebani e la Cina sono avanzati fino al punto di nominare ufficialmente gli ambasciatori. Trump ha ripetutamente affermato nei suoi discorsi di campagna che l’amministrazione Biden ha consegnato l’Afghanistan alla Cina. La domanda ora è se, per contrastare la Cina, Trump sosterrà gli oppositori dei talebani.
Se l’opposizione riuscisse a presentare un’alternativa valida, in grado di sfidare i talebani, allora l’accordo di Doha potrebbe diventare un importante strumento di pressione contro i talebani e un modo per avviare finalmente dei colloqui intra-afghani.
Younus Negah è un ricercatore e scrittore afghano attualmente in esilio in Turchia
Nonostante considerino il cambiamento climatico “opera di Dio o una cospirazione straniera”, i talebani stanno partecipando alla Conferenza sul clima delle Nazioni Unite
Le agenzie delle Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme per un calo senza precedenti nei livelli delle falde acquifere di Kabul. In una dichiarazione congiunta, UNAMA e UNICEF hanno riferito che, senza un’azione immediata, le falde acquifere di Kabul potrebbero esaurirsi entro il 2030 a causa della rapida urbanizzazione e del cambiamento climatico. Piogge irregolari, cambiamenti climatici, crescita della popolazione e crescente domanda di acqua, aggravata da infrastrutture idriche obsolete, hanno peggiorato la situazione. L’inquinamento da liquami e rifiuti ha ulteriormente degradato la qualità dell’acqua potabile. Una cattiva gestione dell’acqua e una pianificazione della distribuzione inefficace hanno intensificato la crisi, con un impatto negativo sull’agricoltura e sui mezzi di sostentamento. Per risolvere la crisi idrica di Kabul sono necessarie cooperazione internazionale, investimenti infrastrutturali e programmi di gestione sostenibile dell’acqua. Nel frattempo, i talebani non hanno un piano completo per soddisfare le esigenze di acqua potabile della popolazione, il che getta una cupa prospettiva sulla vita quotidiana. Nonostante considerino il cambiamento climatico “opera di Dio o una cospirazione straniera”, i talebani stanno partecipando a una conferenza sul clima delle Nazioni Unite.
Negli ultimi tre anni, i talebani non hanno introdotto alcun piano di gestione delle crisi ambientali, ma hanno costantemente cercato di partecipare alle conferenze ONU sul clima. Di recente, il portavoce del Ministero degli Esteri talebano Abdul Qahar Balkhi ha annunciato l’intenzione del gruppo di unirsi alla conferenza ONU sui cambiamenti climatici dall’11 al 22 novembre di quest’anno a Baku, in Azerbaigian. Secondo Reuters , i funzionari talebani della National Environmental Protection Agency (NEPA) sono già arrivati a Baku.
Questa conferenza sui cambiamenti climatici è uno degli eventi annuali più significativi delle Nazioni Unite, ma l’agenda dei talebani rimane poco chiara. Il gruppo deve ancora presentare un piano di crisi ambientale e, come riportato dal Washington Post , attribuiscono i cambiamenti climatici in Afghanistan alla “volontà di Dio o a una cospirazione straniera”.
La grave crisi idrica di Kabul
Nel frattempo, Tajudeen Oyewale, rappresentante dell’UNICEF in Afghanistan, e Roza Otunbayeva, capo dell’UNAMA, hanno visitato un quartiere di Kabul, lanciando un severo avvertimento sulla crisi idrica della città. In un comunicato congiunto, hanno sottolineato che senza un intervento immediato, le falde acquifere di Kabul potrebbero esaurirsi entro il 2030 a causa della rapida urbanizzazione e del cambiamento climatico.
Le agenzie delle Nazioni Unite hanno evidenziato che la crisi idrica aumenta i rischi di malattie trasmesse dall’acqua come il colera e la dissenteria, soprattutto nelle aree con accesso inadeguato all’acqua pulita e ai servizi igienici. L’UNICEF e l’UNAMA hanno anche notato che le donne e i bambini sono i più colpiti. Le donne, spesso responsabili della raccolta dell’acqua, affrontano maggiori rischi per la salute e oneri fisici man mano che le fonti d’acqua diminuiscono.
Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ha segnalato che i bambini sono più suscettibili alle malattie derivanti dall’acqua contaminata, il che ha un impatto sulla loro salute, sicurezza e sviluppo. L’agenzia ha chiesto urgentemente ai partner di fornire assistenza, sottolineando la necessità di un’azione rapida e coordinata per affrontare questa crisi umanitaria.
L’esperto di acqua Najibullah Sadeed ha detto all’Hasht-e Subh Daily che la crisi idrica di Kabul non è una novità; i ricercatori hanno lanciato l’allarme negli ultimi due decenni. Kabul si è espansa di 1,5 volte nello sviluppo pianificato e di 4,5 volte nella crescita non pianificata, con un aumento della popolazione da 2,8 a 3 volte, esercitando una pressione estrema sulle risorse idriche. Il signor Sadeed ha osservato che oltre 250 fabbriche di bevande a Kabul attingono alle falde acquifere. Inoltre, 400 ettari sono dedicati a serre e produzione di ortaggi, tutti basati sulle falde acquifere. Piscine, autolavaggi e altri grandi consumatori dipendono esclusivamente dalle falde acquifere, raddoppiando il tasso di estrazione.
L’esperto ha spiegato che a Kabul l’acqua non viene distribuita tramite una rete di tubature, ma tramite cisterne e motociclette, causando inquinamento acustico e congestione del traffico. Questo metodo, unito a un consumo eccessivo di acqua, aumenta i costi per i consumatori e costringe molti residenti a trasferirsi a causa della scarsità d’acqua. Ha avvertito che un’eccessiva estrazione potrebbe non solo danneggiare i residenti, ma anche portare a cedimenti del terreno, fessure, doline e crolli del terreno potenzialmente catastrofici.
Necessitano soluzioni urgenti
Sadeed ha sottolineato la necessità di soluzioni urgenti alla crisi idrica di Kabul, suggerendo che convogliare l’acqua dal fiume Panjshir potrebbe offrire un sollievo a breve termine. A lungo termine, la costruzione della diga Shahtoot potrebbe aiutare a ricostituire le risorse. Inoltre, il ripristino delle sponde del fiume, la pulizia del fiume Kabul e la prevenzione della contaminazione da liquami e rifiuti potrebbero aumentare i livelli delle falde acquifere.
Un residente del Distretto 5 di Kabul ha detto a Hasht-e Subh Daily che i livelli dell’acqua locale sono diminuiti negli ultimi anni e molti pozzi domestici si sono prosciugati. Ha detto: “Viviamo a Khushal Khan, Distretto 5 di Kabul. Negli ultimi anni, il livello dell’acqua qui è sceso in modo significativo. Cinque anni fa, avevamo abbastanza acqua da un pozzo nel nostro cortile. Quando si è prosciugato, abbiamo scavato diversi metri più in profondità, arrivando infine a oltre 100 metri. Ha fornito acqua per un altro anno, ma poi si è prosciugato di nuovo. Ora facciamo affidamento sulla rete idrica cittadina. La situazione è difficile; l’acqua scorre nei tubi solo due volte a settimana per poche ore e i residenti la immagazzinano per un uso successivo”.
L’ONU ha precedentemente segnalato che 8 afghani su 10 bevono acqua non sicura e il 93 percento dei bambini afghani, 15,6 milioni, vive in aree ad alto rischio. Inoltre, il 92 percento delle scuole non dispone di strutture di base per il lavaggio delle mani, circa 4,2 milioni di persone praticano la defecazione all’aperto e solo metà della popolazione ha accesso a strutture igieniche di base. Circa il 35 percento dei centri sanitari non dispone di acqua potabile adeguata.
Afghanaid , un’organizzazione umanitaria britannica attiva nelle aree remote dell’Afghanistan, ha riferito che la scarsità d’acqua è un problema urgente a livello nazionale, che colpisce in particolar modo donne e ragazze, con l’intensificarsi del cambiamento climatico. L’organizzazione ha affermato che solo il 42 percento degli afghani ha accesso ad acqua potabile sicura.
A causa della carenza di acqua superficiale dovuta alla siccità, Kabul ora si affida principalmente alle falde acquifere per l’acqua potabile. Solo il 20 percento della popolazione ha accesso all’acqua corrente, mentre il resto dipende da pozzi poco profondi con pompe manuali.
Save the Children ha recentemente segnalato che gli eventi meteorologici estremi nella prima metà di quest’anno hanno causato lo sfollamento di almeno 38.000 afghani, circa la metà dei quali sono bambini. Questa cifra supera il numero totale di spostamenti legati al clima nel 2023.
Inoltre, il 13 agosto, il Dipartimento per la protezione ambientale dei talebani ha annunciato che 21 milioni di afghani non hanno accesso ad acqua potabile sicura a causa del cambiamento climatico. L’agenzia ha dichiarato che sta lavorando con altre entità controllate dai talebani a un piano congiunto per incanalare l’acqua del fiume Panjshir verso Kabul.
Con il ritorno dei Talebani i diritti delle donne in Afghanistan hanno vissuto una profonda erosione. Un’intervista con Graziella Mascheroni, presidente del CISDA
Nemmeno due mesi fa le immagini delle donne afghane che cantano per ribellarsi alla legge che proibisce loro di cantare e parlare in pubblico sono rimbalzate sui social, sulle testate nazionali e internazionali La legge, emanata dal Ministero per la Prevenzione dei vizi e la Promozione delle virtù, in realtà, conferma quanto già imposto dai Talebani in questi tre anni di dominio, in cui i diritti delle donne sono state progressivamente stracciati.
Ma andiamo con ordine. Il Ministero per la Prevenzione dei vizi e la Promozione delle virtù è stato istituito nel 2021, dopo il ritiro delle truppe statunitensi e la ripresa di Kabul da parte dei Talebani, in sostituzione del Ministero degli Affari Femminili. Sarebbe meglio dire ripristinato: esisteva già nel precedente governo talebano, durato dal 1996 al 2001 (il primo Emirato islamico dell’Afghanistan). La sua funzione è quella di vigilare sull’applicazione di un’interpretazione molto rigida della Sharia. Rigidissima e personalissima, propria dei Talebani.
La legge emanata ad agosto, e approvata dal leader dei Talebani Hibatullah Akhundzada, è divisa in 35 articoli e raggruppa alcune norme – alcune delle quali già in vigore – che restringono ulteriormente i diritti delle donne. Tra i nuovi divieti c’è quello per cui le donne non possono cantare, leggere ad alta voce e recitare poesie in pubblico: secondo i Talebani anche la voce di una donna è “awrah”, cosa “intima”, “privata”. Secondo la legge le donne devono coprire il viso e il corpo quando sono in pubblico, non possono indossare indumenti aderenti o corti, non possono viaggiare se non accompagnate da un “mahram”, cioè un uomo con cui hanno un legame di sangue – un parente stretto, marito, padre o fratello – e, più in generale, non possono incontrare uomini (in realtà, neanche guardare) che non facciano parte della loro cerchia famigliare.
In base alla legge, inoltre, è vietato produrre e diffondere di immagini raffiguranti esseri viventi, ascoltare la musica, così come l’adulterio (zina) e le scommesse. Ma anche l’omosessualità: un altro colpo ai diritti delle persone LGBTQIA+.
A “controllare” (e a punire) è la polizia morale (“muhtasib”), che ha il potere di investigare sulla vita privata dei cittadini, di ispezionare i computer e, nel caso ritenesse di aver individuato quelli che vengono considerati “atti immorali”, può arrestare le persone e condurle preventivamente in carcere per un periodo compreso tra un’ora e tre giorni.
Già nel marzo 2023 Akhundzada aveva annunciato l’obbligo, in tutto tutto il Paese di applicare le punizioni corporali, come la fustigazione pubblica e la lapidazione, per quelli che vengono definiti “crimini morali”.
Alla notizia dell’approvazione della legge è seguito un coro unanime di indignazione e preoccupazione ma l’erosione dei diritti delle donne da parte dei Talebani è in atto già da molto tempo.
La resistenza a una lunga storia di violenza
Ad aiutarci a capire cosa sta accadendo in Afghanistan è Graziella Mascheroni, presidente del CISDA (Coordinamento italiano sostegno donne afghane), che dal 1999 porta avanti progetti di solidarietà per le donne afghane. «Il CISDA è nato 25 anni da quando abbiamo conosciuto le prime donne afghane e da allora non le abbiamo più abbandonate – racconta Mascheroni– Siamo nate con le donne afghane di RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan), con loro abbiamo sviluppato alcuni progetti che proprio loro ci hanno richiesto. In Italia cerchiamo fondi attraverso donazioni di privati, associazioni, enti per finanziare questi progetti. La nostra mission è quella di aiutare le donne e le associazioni di donne che rimangono in Afghanistan. Lo facciamo in due modi: economicamente, inviando fondi ,e politicamene, parlando della loro situazione qui, dando voce a chi non ne ha. In Italia non abbiamo una sede ma come attiviste siamo presenti in diverse città d’Italia: Milano e hinterland, Como, Torino, Belluno, Firenze, Roma, Piadena, Bologna. Prima del COVID ci ritrovavamo di persona, poi, abbiamo iniziato a fare incontri online, ad eccezione di un incontro nazionale in presenza».
Sono tanti i progetti portati avanti dall’associazione. «Un progetto riguarda una scuola per le donne e le bambine che, però, con l’arrivo dei talebani è stato leggermente cambiato – ha raccontato la presidente del CISDA – è stato aggiunto un corso di taglio e cucito, per dare la possibilità alle donne di rendersi autonome e avere un’istruzione di base. Senza quella, spiegano, non è possibile capire quali siano i propri diritti».
«Un altro riguarda le case rifugio per donne maltrattate. Prima dell’arrivo dei talebani ne finanziavamo alcune, ora ne è rimasta solo una molto piccola» racconta Mascheroni. I talebani, infatti, hanno smantellato l’intera rete di rifugi e servizi a sostegno delle donne vittime di violenza, come denunciato anche da Amnesty International in un reportdel 2022. Il sistema aveva sì dei fortissimi limiti ma, per lo meno, esisteva. Con i talebani non più.
Tra i progetti promossi dall’associazione c’è anche “Vite preziose”, che prevede il sostegno a distanza delle donne afghane: come spiega Mascheroni, con 600 euro l’anno si può sostenere una donna. Un altro, riguarda, invece un’unità mobile sanitaria. Prima dell’arrivo dei talebani, dice Mascheroni,“era una piccola clinica senza degenza che si occupava di visite mediche e distribuzione e medicinali”, poi, però, è stata chiusa e riconvertita. «Un’équipe di medici e infermieri – spiega – si sposta di villaggio in villaggio per fornire cure mediche alla popolazione. In questi ultimi due anni ci sono stati alluvioni, terremoti, quindi interi villaggi distrutti».
Le donne sono tornate all’età della pietra
Nel dicembre 2021 i talebani hanno proibito alle donne di percorrere più di 72 chilometri da sole, senza un accompagnatore maschio; nel 2022 hanno imposto loro di indossare in pubblico il burqa, l’abito che copre integralmente il corpo, con una fessura o una retina che lascia scoperti gli occhi. I talebani hanno, poi, vietato alle ragazze l’accesso alle scuole secondarie femminili – per poi chiuderle definitivamente – così come quello all’università. Così espresso, questo sembra solo un elenco brutale, ma è proprio questo a segnare il perimetro strettissimo entro cui si muove la vita di una donna afghana.
«Come affermano le e nostre compagne di RAWA, con l’arrivo dei talebani le donne sono tronate all’età della pietra – afferma Mascheroni – La prima proibizione è stata quella di chiudere le scuole per le ragazze, che possono frequentare solo fino all’equivalente della nostra scuola elementare, non possono accedere alle superiori, tantomeno all’università. Non possono andare nei parchi, fare sport, non posso uscire di casa se non accompagnate da un parente maschio, non possono lavorare e non possono essere curate perché, appunto, non ci sono più donne mediche».
Come si comprenderà, anche le manifestazioni sono proibite. «Nel 2021, quando sono arrivati i talebani, ci sono state delle proteste da parte delle donne, che poi sono state fermate – racconta la presidente del CISDA – Le donne sono state picchiate, rapite, messe in prigione e man mano le manifestazioni sono andate scemando. Ora come ora, le donne di RAWA ci dicono che è pericolosissimo fare qualsiasi cosa, quindi, non potendo andare per strada, protestano sui social. Queste non sono altro che le leggi del primo governo talebano, al potere dal 1996 al 2001, quando l’Afghanistan è stato invaso dagli Stati Uniti. Ai tempi si parlava di un decalogo di divieti come non portare i tacchi perché facevano rumore e potevano attirare l’attenzione. Con il loro ritorno, i talebani non hanno fatto altro che inasprire questo decalogo. Il burqa c’è sempre stato in Afghanistan, soprattutto nelle zone rurali, ma ora con i talebani è peggio di prima». Talebani che, in quell’agosto 2021, affermavano di essere cambiati ma, dice Mascheroni,“non è vero, sono ancora misogini”.
Amnesty International e la Commissione internazionale dei giuristi (International Commission of Jurists – Icj) nel rapportoThe Taliban’s War on Women: the crime against humanity of gender persecution in Afghanistan (‘La guerra dei talebani contro le donne: il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere in Afghanistan’) hanno scritto chela repressione dei diritti delle donne e delle bambine da parte dei talebani potrebbe costituire il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere.
In realtà, le donne e le femministe afghane hanno iniziato a parlare di apartheid di genere già negli anni Novanta. «In Afghanistan c’è sempre stato l’apartheid di genere che, come sottolineano le compagne di RAWA, è la conseguenza del fondamentalismi – spiega Mascheroni– se non ci fossero i talebani o i gruppi fondamentalisti sparirebbe. Ora si parla dei talebani, ma anche i precedenti governi erano fondamentalisti». Nel marzo 2023 alcune attiviste, avvocate e avvocati hanno lanciato la campagna End Gender Apartheid alla quale, però, afferma la presidente del CISDA, ha aderito “un gruppo di donne afghane, esponenti dei precedenti governi” e fa i nomi di “Fawzia KoofieHabiba Sarabi”.
C’è, poi, un altro punto che riguarda la discussa Conferenza di Doha, svoltasi tra la fine di giugno e l’inizio di luglio 2024.L’incontro, organizzato dall’Onu, aveva l’obiettivo di avviare un reinserimento graduale dell’Afghanistan all’interno della comunità internazionale. È stata la prima conferenza alla quale hanno partecipato i talebani, che non erano stati invitati alla prima mentre si erano rifiutati di partecipare alla seconda. Hanno partecipato anche inviati speciali di alcuni Stati e organizzazioni internazionali, come l’Unione europea, la Cina, la Russia e gli Stati Uniti. Non ne hanno preso parte, invece, le donne e i rappresentati della società civile. I Talebani, infatti, hanno chiesto di escludere dalla conferenza i temi dei diritti umani e delle donne. Una decisione che ha allarmato diverse associazioni e lo stesso Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Afghanistan Richard Bennett.
Le donne in Afghanistan, però, continuano a resistere. «RAWA– spiega Mascheroni – lotta per la libertà, per la consapevolezza politica, per l’istruzione, per avere uno stato democratico e laico».
«[RAWA vuole] far conoscere la situazione in Afghanistan andando in profondità sulla politica dei Talebani, solo parzialmente conosciuta dall’Occidente – conclude Graziella Mascheroni – far capire come questo, e in particolare gli USA, abbiano trattato con i Talebani dietro le quinte. Per questo vogliono lo stop al finanziamento a qualsiasi tipo di fondamentalismo. Da tanto tempo lavorano con le donne e i giovani per fare in modo che non si rivolgano al fondamentalismo, per questo stanno cercando di tenerli lontani dagli studi religiosi. I Talebani stanno aprendo molte madrase anche per le bambine che diventano fucine di integralisti».
Ancora una volta il punto è non dimenticare il diritto l’autodeterminazione delle donne afghane e non silenziare la loro voce. Una voce che non può essere sostituita.
Shakiba è una militante dell’Associazione rivoluzionaria delle donne afghane (Rawa), movimento clandestino che dal 1977 si batte per i diritti delle donne, la giustizia sociale e la democrazia. Anche adesso, sotto il brutale regime dei Talebani. Cristiana Cella del Cisda l’ha incontrata e intervistata in Italia. Un racconto delle pratiche di resistenza, nella speranza mai spenta di ritrovarsi libere
È passato molto tempo dall’ultima volta che ho visto Shakiba. Tempo che ha lasciato tracce sul suo volto che, ancora, anche qui, deve nascondere per proteggere la sua vita. Un peso che si intravede dietro le sue parole sicure e appassionate.
La ritrovo, come sempre, coraggiosa, tenace e fragile. Fa parte dell’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Revolutionary association of the women of Afghanistan, Rawa) fondata nel 1977 da Meena Keshwar Kamal, uccisa nel 1987. L’associazione, da sempre clandestina, combatte per i diritti delle donne, la giustizia sociale e la democrazia e continua a portare avanti, anche sotto i Talebani, progetti di istruzione e scuole segrete per ragazze, assistenza medica, formazione professionale, informazione, sostegno alimentare.
La vita di una militante di Rawa è un impegno totale: continuare il proprio lavoro, proteggere dalla furia talebana se stesse, la propria famiglia, le proprie compagne e le donne coinvolte nei progetti.
Che cosa significa adesso, Shakiba, sotto il regime talebano, essere una militante di Rawa? S È già molto difficile essere donna. Ogni giorno ci sono nuovi divieti, nuove regole per impedirci di vivere. È molto duro, specialmente per le ragazze che hanno perso il loro futuro e la possibilità di imparare. Le donne sono imprigionate nelle case e nella propria mente, non possono andare nemmeno in un parco a respirare un po’ d’aria. Ma per noi attiviste di Rawa la vita è ancora più complicata. Non possiamo stare chiuse tra le mura domestiche, impegnate solo a sopravvivere nel nulla, dobbiamo continuare a portare avanti i nostri progetti. Siamo tornati all’età della pietra e dobbiamo ricominciare da zero. Ma siamo sempre a rischio.
Come vi proteggete? S Quando usciamo di casa mettiamo l’hijab con la mascherina e anche gli occhiali scuri per non farci riconoscere. Non parliamo con nessuno fuori, nemmeno quando siamo in macchina. Cambiamo casa spesso. Per la città ci muoviamo da sole ma se dobbiamo andare fuori allora ci vuole il mahram (un accompagnatore di sesso maschile, ndr), anche più di uno. Sarebbe impossibile senza. Non facciamo mai la stessa strada né usciamo alla stessa ora. Controlliamo continuamente che nessuno ci segua, devi sempre pensare a quello che potrebbe succedere.
Una condizione psicologica molto faticosa. S Sì è vero, la paura è sempre con noi ed è così che deve essere, bisogna stare all’erta. Per noi, per le compagne, per la nostra famiglia.
Come vi spostate quando andate fuori città? S Affittiamo una macchina. Non possiamo usare le nostre, potrebbero seguirci fino a casa. Nei primi tempi c’erano molti posti di blocco, controllavano tutto, i cellulari, le macchine. Entravano anche nelle case, cercavano soprattutto armi. Ora meno, ma quando usciamo non portiamo mai il nostro cellulare, né i documenti.
Non è una novità per Rawa. S Infatti.Continuiamo a cercare modi per poter lavorare segretamente e non farci riconoscere. Sono i sistemi che Rawa ha sempre usato fin dalla sua nascita. Non ci mostriamo mai, nessuno sa chi fa parte di Rawa. Usiamo nomi falsi in modo da non poter essere mai identificate. Il nostro volto non deve mai essere registrato dalle telecamere.
Dove sono queste telecamere? S Dappertutto. In tutte le strade e nelle case. Lo hanno ordinato appena arrivati. Ogni immobile deve avere la sua, a spese dei condomini. La guardia, una specie di portiere, deve badare a tenerle sempre accese. Se vogliono sapere qualcosa è obbligato a mostragli i video. Per la strada le installano loro. Per questo dobbiamo essere assolutamente irriconoscibili. C’è di buono che spesso manca l’elettricità.
Quando andate nelle province, a seguire i vostri progetti, come siete accolte? S Nei villaggi i Talebani sono meno pressanti che nelle città. La gente ci accoglie a braccia aperte perché abbiamo progetti di scuola, di salute, di sostegno alimentare. Li conosciamo e ci conoscono. La gente nei villaggi ha un buon cuore.
I Talebani hanno sostegno nelle province? S Non tutti la pensano allo stesso modo. I Talebani hanno, anche lì, i loro follower. Ma nei tre anni passati si è diffuso molto odio tra la popolazione verso di loro. Le persone hanno sofferto tanto, anche gli uomini. I militari dell’esercito sono stati licenziati e perseguitati, negli uffici pubblici hanno messo la loro gente, moltissimi hanno perso il lavoro.
L’odio per i Talebani potrebbe un giorno diventare una resistenza organizzata per combatterli? S In questo momento la povertà è enorme. Le persone non riescono nemmeno a pensare al futuro, il loro unico problema è quello di nutrire i propri figli, adesso. Ma forse, quando davvero non ne potranno più di questa vita di stenti, qualcosa faranno.
Quindi è possibile, nel futuro? S Forse, ma ci vorrà molto, molto tempo. Per ora, uscire allo scoperto è molto pericoloso. I Talebani sparano sui manifestanti. Se sono donne, sparano in alto per spaventarle, se sono uomini li abbattono come animali.Quando te li trovi davanti con i fucili spianati e non hai nulla nelle mani è davvero difficile resistere. Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese.
Vedi altri ostacoli che impediscono il formarsi di un’opposizione ai Talebani. S Abbiamo bisogno di istruzione e di consapevolezza politica, di capire che cosa sta succedendo, di farsi delle domande. Oggi non è così. E sarà sempre peggio. Manca una leadership, un partito forte con un progetto potente che sia un punto di riferimento. Le persone istruite, gli intellettuali impegnati, i professori, i politici in gamba hanno tutti lasciato l’Afghanistan e non c’è più nessuna istruzione per le persone che possa formare dei futuri leader.
Infatti l’istruzione è un punto chiave del vostro lavoro. S Sì, per noi l’istruzione e la consapevolezza politica sono fondamentali, dobbiamo dare strumenti alle persone. Dare a qualunque donna, anche se analfabeta, la possibilità di capire che cosa le sta succedendo. Anche agli uomini. Dobbiamo salvare i giovani dall’educazione fondamentalista delle madrase (le scuole islamiche, ndr). Gli fanno il lavaggio del cervello. Non possiamo ritrovarci domani con un Paese fatto solo di Talebani. Sarebbe una catastrofe.
Che tracce ha lasciato il vostro lavoro di tutti questi anni? S Tracce profonde. Abbiamo educato e aiutato centinaia e centinaia di persone nel corso degli anni, dal Pakistan all’Afghanistan. Sono persone che, anche se non fanno politica, e hanno scelto altre vite, sono delle brave persone, affidabili. Sappiamo che vogliono fare qualcosa per il loro Paese, hanno una buona mente e buoni pensieri. Questo li aiuterà in questo tempo selvaggio.
Da dove viene questa ossessione dei Talebani di controllare le donne? S Se tu fai una qualsiasi operazione sulle donne, che sono le radici di tutta la società, lo fai su tutta la famiglia. Le donne trasmettono quello che sanno. Se tu dai istruzione a una donna la dai a tutta la famiglia e se le tieni nell’ignoranza tutta la famiglia sarà ignorante. Una popolazione ignorante, spaventata e senza mezzi per capire, si può controllare meglio. Le donne devono stare fuori dalla società così tutta la società futura sarà sottomessa.
Hanno paura delle donne? S Sì, certo, molta, della loro resistenza, perché sanno di non riuscire a controllarle. Pensano che se le donne fossero istruite toglierebbero loro il potere o parte di esso. Sanno che se le donne decidono di fare qualcosa non si fermano davanti a niente. E possono cambiare tutto. Si sentono minacciati e le schiacciano.
Dei crimini dei Talebani non si riesce a sapere molto. S C’è una fortissima repressione della stampa e controllo sui social. Per questo una delle nostre attività è quella di raccogliere testimonianze sui loro crimini e sulla depressione e la sofferenza delle donne. Abbiamo dei report da ogni provincia afghana, che ci mandano le nostre colleghe. Se un giorno riusciremo a portare i Talebani davanti a un tribunale dovremo avere tutte le prove documentate.
Di quali crimini parliamo? S Assassinii di donne, di gente comune, uccisioni di militari, persone hazara,violenza sessuale nelle prigioni, lapidazioni, fustigazioni pubbliche. O altre cose come tagliare una mano, appendere le persone nelle strade, come nel loro primo governo. Allora le attiviste di Rawa andavano allo stadio, dove venivano punite le donne, con queste piccole telecamere che nascondevano nei vestiti e filmavano quello che succedeva. I video poi sono arrivati ovunque. Ora ci sono i telefoni, la possibilità di fare foto, è più facile sapere. Specialmente nelle province, la gente è disposta a raccontare. Ma, naturalmente, le immagini sono tracce pericolose che devono restare segrete.
Anche una guerra tecnologica con i Talebani? S Anche, sì. Sono diventati bravi, hanno istruttori pakistani. Ma noi siamo più brave di loro e usiamo sistemi forti che ci aiutano a resistere.
Organizzate ancora manifestazioni? S Al momento abbiamo scelto di non farlo. È troppo pericoloso. Molte donne sono state arrestate, hanno subito torture e alcune sono sparite. Noi siamo preparate al peggio ma abbiamo la responsabilità di tutte le altre, della nostra associazione.
L’inferno afghano è sotto gli occhi di tutti ma nessuna nazione va oltre qualche parola di disapprovazione. Perché li lasciano fare? S Per molto tempo gli americani hanno trattato dietro le quinte e alla fine hanno dato il Paese in mano ai più barbari tra i fondamentalisti. Lapresa di Kabul dei Talebani è stata una farsa, ai soldati era stato ordinato di lasciarli passare e gli aerei per i membri del governo erano già pronti. Gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto i gruppi fondamentalisti e nessuno contrasta il loro progetto. Tutti ne beneficiano. Se avessimo una democrazia stabile, laica e progressista, come è nei nostri sogni, non permetterebbe agli Stati esteri di interferire con gli affari interni del Paese. Con i fondamentalisti invece, per soldi e armi si venderebbero anche la madre. È un contratto facile. Loro faranno qualsiasi cosa per te, per il tuo denaro, ti venderanno le miniere, produrranno oppio per te, ti daranno libertà di movimento sulle loro strade, in modo che tu possa controllare gli altri Paesi come Iran, Pakistan, Russia. E nelle guerre continue, nella precarietà dei popoli, si venderanno sempre più armi e si faranno affari giganteschi. Nessuno quindi ha interesse a toglierli di lì dopo che ce li hanno messi.
La società civile dell’Occidente che cosa dovrebbe fare? S Dovete agire contro le politiche dei vostri governi, è la sola strada per cambiare qualcosa in Afghanistan. Fate pressione sui leader, perché non seguano le politiche sbagliate degli Usa che avete appoggiato per tanti anni. L’Occidente deve smetterla di sostenere i gruppi fondamentalisti, deve fermare questo gioco che sta distruggendo anche le radici del mio Paese. Senza sostegno i Talebani non sarebbero più in grado di gestire il Paese e crollerebbero. Non ci può essere vittoria finché questa gente verrà sostenuta e finanziata
Su quale e quanto sostegno economico possono contare i Talebani? S I Talebani dicono apertamente che ricevono dagli americani 40 milioni di dollari ogni settimana, per il mantenimento dell’apparato statale. Se c’è una cosa che non manca loro sono proprio i soldi. Se una Ong vuole fare un progetto deve registrarsi e pagare delle consistenti tasse al governo. I Talebani hanno proprie Ong che sono finanziate dall’Onu. E poi hanno i proventi delle tasse, delle concessioni di miniere e altri sfruttamenti del nostro territorio. Molte nazioni hanno fatto accordi con loro: Cina soprattutto, ma anche Kazakistan, Iran e Pakistan che prende il nostro carbone. Gli accordi per affari promettenti portano a una pericolosa normalizzazione, adesso in atto, che è la base per un futuro riconoscimento del governo talebano. La schiavitù delle donne è un effetto collaterale e trascurabile.
I Talebani hanno rivali sul territorio? S Ci sono diversi gruppi terroristici ma non sono una minaccia per i Talebani. Hanno il controllo dappertutto ormai. E l’Afghanistan sta diventando un “centro di servizi terroristici”, alimentati dall’Occidente. Si addestrano, raccolgono milizie, si armano. L’idea è questa: fai crescere diversi burattini, per poi poterli usare contro i tuoi rivali. Isis-K, ad esempio, è usata come minaccia contro la Russia. Gli americani si tengono buoni anche i warlords del governo precedente. Quando hanno visto che i warlords non erano più affidabili, si rivolgevano ad altri Stati, russi, pakistani, cinesi e si combattevano tra loro, hanno puntato sui Talebani che sono più stabili ma i warlords sono in attesa. Non si sa mai.
Qual è il messaggio più forte per la vostra gente? S Noi siamo qui, siamo dietro di voi e non dovete perdere la speranza. Non siete soli e non vogliamo andarcene. Troppa gente è scappata in cerca di un’altra vita, ma noi restiamo al vostro fianco.
A queste parole Shakiba si commuove e noi con lei.
Nell’Afghanistan dei ‘nuovi’ Talebani, che assomigliano invece molto a quelli Anni 90, le donne vengono gradualmente cancellate dalla quotidianità. Devono coprire il proprio corpo e i propri volti, devono sparire dalle strade, a meno che non siano accompagnate da un familiare, non possono più studiare e nemmeno far sentire le loro voce in pubblico. Adesso, stando alle ultime dichiarazioni del ministro per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, Khalid Hanafi, anche pregare ad alta voce o recitare il Corano sarà una pratica haram per le donne, ovvero vietata.
Dopo le sue parole, nessuno del ministero si è preso la briga di spiegarle, confermarle o smentirle, anche se le affermazioni sono inequivocabili: “È proibito a una donna adulta recitare versetti del Corano o eseguire recitazioni di fronte a un’altra donna adulta. Anche i canti di Takbir (Allah Akbar) non sono permessi”. L’alto esponente talebano ha quindi fatto esempi di invocazioni che non devono essere permesse alle donne, come ad esempio “subhanallah“, un’altra parola centrale per la fede islamica. A una donna non deve inoltre essere consentito eseguire la chiamata alla preghiera, ha detto ai presenti, e “certamente non ha alcun permesso per cantare”.
Che la posizione del ministro sia condivisa dalla leadership talebana lo si capisce dal fatto che la registrazione del suo audio è stata pubblicata sul sito ufficiale del ministero che proprio pochi giorni fa ha comunicato che è in corso un programma di sensibilizzazione a livello nazionale sulle leggi, che coinvolge i funzionari del ministero a livello provinciale e distrettuale: “L’organizzazione di tali programmi contribuirà a plasmare la percezione pubblica e ad aumentare la consapevolezza delle decisioni divine”, hanno spiegato.
Espulse dal lavoro e dalla vita pubblica, alcune donne tentano il lavoro online nel cercare l’indipendenza economica
Sara Hosseini, Zan Times, 21 ottobre 2024
Maryam è seduta dietro la sua scrivania in una piccola stanza a Kabul, fissando il suo telefono. Vendere prodotti per l’igiene e cosmetici online è stata la sua unica fonte di reddito negli ultimi otto mesi.
Prima che i talebani salissero al potere, la trentenne Maryam era un’avvocatessa presso uno studio locale. Il suo stipendio le ha permesso di costruire una vita indipendente e confortevole per sé e per suo figlio. Ma quando i talebani hanno imposto severe restrizioni alle donne, il suo mondo si è capovolto. Maryam ha perso il lavoro da un giorno all’altro.
Speranza nell’indipendenza economica
Cercò lavoro per due anni, ma nessuno dei suoi sforzi diede i suoi frutti. Divenne finanziariamente dipendente dai suoi fratelli, contando su di loro anche per il più piccolo acquisto, come l’acquisto di una semplice compressa di paracetamolo. La vita era diventata amara e soffocante.
Proprio quando tutto sembrava senza speranza, si è aperta una porta di opportunità per Maryam. Suo fratello l’ha informata di un’opportunità di lavoro online per le donne. Un’azienda iraniana che vende prodotti per l’igiene e cosmetici aveva lavori online per le donne a cui non era permesso lavorare fuori casa.
Per iniziare, Maryam ha dovuto inviare all’azienda una somma di capitale di 9.000 afghani. Ha preso in prestito la somma da suo fratello. Dopodiché, ha seguito due mesi di formazione online per apprendere le basi dell’acquisto e della vendita online. Ha lavorato per gli ultimi tre mesi, vendendo prodotti cosmetici e per l’igiene tramite i social media. “Attualmente, guadagno dai 3.000 ai 3.500 afghani al mese”, racconta a Zan Times, dopo aver affrontato sfide come gli elevati costi di Internet e la mancanza di un sistema bancario digitale.
Sebbene questo reddito non basti a coprire tutte le spese di sostentamento per lei e suo figlio, Maryam spera di riuscire a guadagnare abbastanza man mano che la sua clientela crescerà.
Maryam fa parte di una nuova schiera di donne che si guadagna da vivere online. Come lei, molte donne e ragazze afghane si sono rivolte al commercio online dopo che i talebani hanno chiuso molte opportunità di lavoro per le donne. Alcune, come Maryam, vendono cosmetici e vestiti online. Zohal era all’undicesimo anno quando le scuole femminili sono state chiuse. Voleva passare al lavoro online vendendo prodotti per l’igiene, ma ha fatto fatica a trovare il capitale di investimento necessario.
“È stato difficile ottenere l’approvazione di mio padre e della mia famiglia. Dopo alcune settimane di pianti e suppliche, sono riuscita a prendere in prestito un po’ di soldi da mio padre, e mia madre ha pagato il resto tramite un gruppo di prestito femminile che metteva insieme i soldi ogni mese”, racconta Zohal a Zan Times.
La residente di Balkh lavora online da un anno e mezzo. “Il mio lavoro è sui social media. Pubblicizzare i miei prodotti lì e passare ore a spiegare come usarli ai clienti finché non sono convinti e fanno un acquisto. Nei primi mesi non guadagnavo niente, ma ora guadagno dai 6.000 ai 7.000 afghani al mese. Alcuni mesi, ho persino venduto prodotti per un valore di 10.000 afghani”, spiega.
Nahid trascorreva metà della giornata lavorando in una sartoria nella provincia di Balkh e l’altra metà preparando bolani (un pane azzimo afghano) per un ristorante prima che i talebani salissero al potere. La ventenne ha perso entrambi i lavori sotto il nuovo regime. “Siamo una famiglia di sei persone. Ho perso mio padre quando ero bambina e mia madre è il capofamiglia. Prima dei talebani, la nostra situazione era migliore perché io e le mie sorelle potevamo lavorare insieme a nostra madre. Ma con la presa del potere dei talebani, tutto è cambiato”, racconta.
Come Maryam e Zohal, Nahid ha scoperto l’opportunità di vendere prodotti per l’igiene e cosmetici online tramite un’amica: “Sono riuscita a presentare molte ragazze al lavoro online. Poiché ho segnalato nuove persone, l’azienda mi ha dato un bonus e ora guadagno dai 5.000 ai 6.000 dollari al mese”.
Sfide future
Nonostante il relativo successo di alcune persone nelle vendite online, molte altre donne hanno incontrato notevoli difficoltà nelle loro iniziative online. Tahera, una trentaduenne di Herat, ha avviato la sua attività online con un investimento di 30.000 afghani, ma non è riuscita ad attrarre abbastanza clienti e alla fine ha dovuto interrompere la sua attività. “Ho smesso da un po’ di tempo perché, da un lato, il costo di Internet è elevato e, dall’altro, i clienti non si fidano degli acquisti online”, racconta a Zan Times. “Alcuni dei miei prodotti cosmetici sono ancora in un angolo della mia casa, invenduti”.
Un’altra donna che ha lottato per passare al lavoro online è Fakhria, una trentatreenne che gestiva un laboratorio di sartoria a Balkh. È passata al lavoro online dopo che sono state imposte rigide restrizioni all’occupazione femminile. Vende vestiti fatti a mano, ma afferma che la mancanza di accesso a Internet e agli smartphone tra la popolazione afghana rende difficili le vendite online e la creazione di mercati. Inoltre, afferma che i talebani molestano continuamente le donne imprenditrici e che le molestie si estendono anche alle attività online. Inoltre, le famiglie delle donne imprenditrici affrontano pressioni sociali e di sicurezza a causa delle politiche dei talebani.
I principali ostacoli al successo delle donne che lavorano nei mercati online includono la mancanza di Internet di qualità, l’assenza di sistemi bancari digitali, la scarsa familiarità del pubblico con lo shopping e i mercati online e gli alti costi di comunicazione. Tamanna Faryar, economista, dice a Zan Times: “Il lavoro online aiuta le donne a raggiungere l’indipendenza finanziaria, ma comporta anche molte sfide, tra cui la mancanza di familiarità e fiducia dei consumatori nel mercato online”.
Nonostante queste sfide, Faryar afferma che le attività online migliorano le competenze delle donne nel marketing e le aiutano finanziariamente: “Queste attività consentono alle donne di svolgere un ruolo più importante nell’economia familiare e della comunità”.
I nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità degli intervistati e dell’autore . Sara Hosseini è lo pseudonimo di una giornalista freelance in Afghanistan.
I movimenti di protesta delle donne contro la tirannia dei talebani negli ultimi tre anni sono un vero esempio di lotta autentica. La battaglia che le donne hanno condotto contro questo gruppo è, in sostanza, una vera e propria rivoluzione
Mentre le organizzazioni per i diritti umani abbandonavano l’Afghanistan e lasciavano la sua gente in uno stato di crisi, le donne sono scese in piazza per rivendicare i propri diritti. Tenendo cartelli e scandendo slogan come “Pane, lavoro, libertà”, si sono opposte ai talebani, che erano armati fino ai denti.
Il 17 agosto 2021, si è svolta a Kabul la prima protesta pacifica di un piccolo gruppo di donne. Durante i giorni in cui il paese era avvolto dalla paura e i talebani sfilavano per le città con l’equipaggiamento militare lasciato dagli Stati Uniti, celebrando quella che consideravano la loro vittoria sulla NATO, le proteste civili delle donne hanno inferto un duro colpo alla celebrazione dei talebani. La percezione che i talebani avevano delle donne afghane si basava sulle donne di vent’anni prima, che avevano sottomesso alle loro leggi autoprodotte. Ma questa volta, si sono trovati di fronte donne istruite, consapevoli e potenti che si sono rifiutate di obbedire e hanno invece abbracciato la disobbedienza civile.
Le proteste pacifiche delle donne si sono intensificate quando i talebani, attraverso i loro decreti misogini e restrittivi, hanno eliminato le donne da vari settori della società. Nei tre anni che ne sono seguiti, il leader del gruppo ha emanato quasi quaranta decreti, tutti palesi violazioni dei diritti delle donne in Afghanistan. Le donne sono state private del diritto all’istruzione, al lavoro e ai viaggi. I talebani hanno interferito persino nella vita personale delle donne, creando leggi riguardanti il tempo libero, l’abbigliamento, il trucco e addirittura le loro voci.
La formazione di movimenti di protesta delle donne è stata una conseguenza diretta di queste restrizioni. Questi movimenti erano composti da dipendenti, imprenditori, giornalisti, attivisti civili, studenti, casalinghe e altri a cui era stato impedito di lavorare o partecipare alla società a causa delle leggi restrittive dei talebani e che erano stati privati dei loro diritti fondamentali, come l’istruzione. Non molto tempo dopo la prima protesta nella capitale, la portata di queste proteste si è ampliata e nuovi movimenti femminili sono emersi in diverse province, opponendosi apertamente ai talebani.
Una richiesta di giustizia oltre i confini
La richiesta di giustizia è risuonata oltre i confini dell’Afghanistan, con le donne all’estero che esprimevano il loro sostegno e la loro solidarietà alle donne che protestavano all’interno del paese. Uno degli aspetti più significativi delle proteste è stata l’unità tra le donne, sia all’interno che all’esterno dell’Afghanistan, che ha trasceso nazionalità, etnia e lingua. Tutte hanno fatto sentire un’unica voce, chiedendo al mondo di riconoscere l’apartheid di genere in Afghanistan. Queste donne che protestavano hanno avuto un ruolo cruciale nel denunciare i crimini dei talebani. Attraverso narrazioni, documentazione e copertura mediatica di ciò che avevano sopportato nelle prigioni e nelle strade dell’Afghanistan, hanno rivelato la vera natura dei talebani. Questo, insieme a molti altri sforzi simili, ha trasformato rapidamente la difficile situazione delle donne afghane in una questione globale. Le Nazioni Unite, l’Unione Europea e diversi paesi hanno reagito alla situazione delle donne in Afghanistan esprimendo loro solidarietà. I rappresentanti di quattro paesi (Australia, Canada, Germania e Olanda) hanno dichiarato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York che, a causa delle “gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani, in particolare la discriminazione di genere in Afghanistan”, avrebbero presentato una denuncia contro i talebani presso la Corte penale internazionale dell’Aia. Successivamente, più di 20 paesi hanno sostenuto questa iniziativa. Tuttavia, i talebani hanno costantemente negato le violazioni dei diritti umani in Afghanistan e stanno cercando di impegnarsi con la comunità internazionale.
Orribili crimini per reprimere le proteste
Poiché le donne che protestavano chiedevano ripetutamente alla comunità globale di non riconoscere i talebani, alcuni paesi hanno cercato di esercitare pressioni politiche ed economiche per costringere il gruppo a ripristinare i diritti delle donne. Di conseguenza, queste donne che protestavano sono diventate una spina nel fianco dei talebani. In risposta, il gruppo ha commesso crimini orribili per reprimere le proteste e mettere a tacere le donne. Minacce, persecuzioni, arresti, prigionia e tortura sono stati il prezzo che le donne hanno pagato per rivendicare i loro diritti. I talebani hanno identificato le donne che protestavano, le hanno perseguitate e arrestate e hanno estorto loro confessioni forzate tramite torture e minacce nelle prigioni.
Dall’inizio delle proteste civili delle donne, i talebani hanno arrestato decine di manifestanti, le hanno processate segretamente per crimini che non avevano commesso e le hanno condannate alla prigione e alla tortura. Nessuna donna imprigionata dai talebani ha accesso alla rappresentanza legale o al diritto di difendersi. Raqia Saei, una delle donne che hanno protestato, è stata imprigionata dai talebani due volte. L’ho sentita parlare diverse volte dopo il suo rilascio e ciò che accade alle donne nelle prigioni talebane, secondo questa donna che ha protestato, è scioccante. È stata arrestata per aver protestato pacificamente contro il divieto di istruzione e lavoro per le donne e ha descritto la tortura e i maltrattamenti nelle prigioni talebane come segue: “Non esiste la privacy personale nelle prigioni talebane. I talebani spogliano le prigioniere e le violentano, ma questi crimini rimangono nascosti. Hanno filmato la mia confessione e mi hanno minacciato di morte”.
Saei è una delle poche donne che ha parlato dopo essere stata rilasciata dalla custodia talebana. La maggior parte delle donne, dopo il rilascio, si rifiuta di parlare di ciò che è accaduto in prigione. I talebani hanno costretto al silenzio le prigioniere liberate attraverso varie minacce. Non ci sono dati precisi su quante manifestanti siano state arrestate dai talebani. Solo alcuni di questi arresti hanno ricevuto copertura mediatica. I talebani minacciano le loro famiglie per farle tacere e, quindi, molti dei loro crimini rimangono inespressi e nascosti.
Dalle strade ai contesti segreti
È importante notare che, oltre alle minacce dei talebani, le donne che protestano devono anche affrontare percezioni negative da parte dell’opinione pubblica. Le reazioni negative alle proteste delle donne hanno reso le cose ancora più difficili per loro. Dall’inizio fino ad ora, le donne hanno combattuto da sole, senza la presenza degli uomini, e solo un piccolo numero di uomini si è schierato al loro fianco, sostenendo la loro resistenza attraverso piattaforme online. Una donna che protestava ha detto: “La gente ci chiama spie occidentali e si riferisce a noi come beneficiarie del progetto. A volte dicono persino che le donne stanno facendo uno spettacolo per creare un caso per lasciare il paese”. Eppure, queste donne stanno resistendo a un gruppo terroristico in condizioni difficili per reclamare i propri diritti. Tali reazioni da parte dell’opinione pubblica hanno ripetutamente influenzato il loro morale, ma hanno continuato nonostante tutto. L’odio dei concittadini verso le proteste delle donne ha danneggiato questo movimento civile e potrebbe rendere più difficile il raggiungimento dei suoi obiettivi.
Le pesanti punizioni, i rifiuti, i tradimenti e le numerose altre difficoltà affrontate dalle donne che protestano in questi ultimi tre anni hanno portato a un cambiamento nei loro metodi di resistenza. Le voci di queste donne in cerca di giustizia sono svanite dalle strade e dai luoghi pubblici, continuando invece in contesti più privati. Tuttavia, i talebani rimangono determinati a reprimere queste donne, arrestandone alcune persino nelle loro case. Data la repressione continua, le proteste delle donne in Afghanistan sono diminuite ma non sono scomparse. Le manifestanti donne all’interno del paese ora operano segretamente, utilizzando piattaforme collettive e social media per riferire sullo stato dei diritti delle donne in Afghanistan. La resistenza e le proteste delle donne sotto varie forme dall’ascesa al potere dei talebani indicano che, finché il gruppo continuerà a commettere crimini e restrizioni sulle donne, queste non faranno marcia indietro. I talebani devono rendersi conto che stabilire un governo stabile e inclusivo in Afghanistan sarà possibile solo se alle donne verrà dato un ruolo attivo.
Come si fa a ottenere l’interesse e l’attenzione dei nostri ragazzi e adolescenti che sono abituati ad avere sempre a portata di mano e senza fatica il mondo intero attraverso i social? Come interessarli a conoscere la quotidiana, difficile e dolorosa realtà fatta di violenza e povertà in cui si vive in molte parti del mondo e da cui cerchiamo gelosamente di preservarli?
Si fa come a Cento, piccolo paese vicino a Bologna che ha invitato una donna afghana che vive sotto l’oppressivo regime talebano a raccontare la sua fatica quotidiana di resistenza al farneticante governo fondamentalista dell’Afghanistan, che vede nelle donne l’origine di tutti i mali e cerca di annientarle in tutti i modi. E’ Shakiba, che non è scappata dopo che sono se ne sono andati frettolosamente gli Usa, la coalizione occidentale e il governo repubblicano in carica, ma ha invece scelto di resistere in Afghanistan lavorando clandestinamente per aiutare il suo popolo affamato e oppresso e in particolare le donne.
E’ un’attivista di Rawa, Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, organizzazione femminista che lotta dal 1977 contro il fondamentalismo e l’oscurantismo religioso. In questo periodo Shakiba è in Europa grazie al sostegno della nostra associazione, il Cisda, che da 25 anni appoggia finanziariamente e politicamente Rawa proprio per sensibilizzare il nostro ricco mondo sulla grave situazione in cui versa il popolo afghano e le donne in particolare.
Il 24 ottobre all’incontro c’erano ben 320 studenti delle scuole superiori ad ascoltare il racconto appassionato e appassionante di Shakiba sulla storia degli ultimi vent’anni del suo Paese. Racconto che è stato accolto da molto interesse e numerose domande profonde e personali degli studenti, che hanno avvolto Shakiba in un abbraccio che l’ha resa felice. Lei ha concluso con la richiesta esplicita di stare vicino alle ragazze e ai ragazzi afghani attraverso messaggi di solidarietà sui social, comunicazione molto usata anche in Afghanistan.
Nel pomeriggio, nell’auditorium di una palazzina adibita a biblioteca e centro per le associazioni, ci aspettavano i Consigli comunali dei ragazzi di Pieve di Cento e Castello d’Argile. Qui i ragazzi dai 10 ai 13 hanno costituito un consiglio comunale retto da un sindaco e un vicesindaco di sesso opposto sul modello del Rojava, che si riunisce una volta al mese per discutere e fare proposte ai Consigli comunali delle loro città.
In questo incontro sono stati i ragazzi a condurre il racconto di Shakiba, che ha risposto direttamente alle loro domande, così che i ragazzi hanno potuto entrare subito nel merito delle questioni che più suscitavano il loro interesse.
Ma il cuore della manifestazione è stato il 19 ottobre, quando Shakiba ha ricevuto l’invito a partecipare a una speciale manifestazione, il Premio Internazionale per i Diritti Umani Daniele Po. Ogni anno il Premio
coinvolge la città metropolitana di Bologna insieme a Cento e a Pieve di Cento e “conferisce un riconoscimento a personalità femminili che, a livello nazionale e internazionale, si siano particolarmente distinte nella difesa e nella promozione dei diritti umani”. Nel 2024 il comitato scientifico del Premio, giunto alla 16° edizione, ha designato come vincitrice RAWA” perché “con azioni concrete di sostegno educativo, sanitario, giornalistico e di inchiesta, le attiviste di RAWA sono in prima linea a rischio della loro incolumità, contro il terrorismo e la misoginia, organizzando corsi di alfabetizzazione, istruzione e assistenza sociale con progetti economici, sanitari e di generazione di reddito”. Una manifestazione molto partecipata e commovente organizzata da Nedda Alberghini e suo marito Fortunato Po, unitamente all’associazione Strade con Alessandro Mazzini.
Shakiba è stata invitata a ritirare il premio, ma si è sottolineato che questo non va solo a lei, ma a tutte le coraggiose donne afghane. “Non una sola donna premiata, ma migliaia di coraggiose e invisibili donne afghane” è stato lo slogan della manifestazione, sottolineando così che il peso della resistenza al governo talebano non ricade solo su alcune donne dal comportamento eroico, ma è invece vissuto ogni giorno da tutte le donne afghane vittime dell’ossessione misogina e fondamentalista.
Il 25 settembre 2024, il Guardian è stato informato che Canada , Australia , Germania e Paesi Bassi intendono presentare una causa alla Corte internazionale di giustizia (ICJ) contro i talebani per discriminazione di genere, ai sensi della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), ratificata dall’ex governo afghano nel 2003.
Si prevede che l’Afghanistan, sotto i talebani, avrà sei mesi per rispondere prima che la Corte internazionale di giustizia tenga un’udienza e proponga potenzialmente misure provvisorie. I sostenitori ritengono che anche se i talebani respingessero l’autorità della corte, una sentenza della Corte internazionale di giustizia contro il gruppo potrebbe dissuadere altri paesi dal normalizzare le relazioni con loro.
In risposta al rapporto, il vice portavoce dei talebani Hamdullah Fitrat ha respinto le accuse di discriminazione contro le donne come infondate in un post del 26 settembre 2024 su X (ex Twitter), che è stato successivamente ripubblicato dal portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid.
Il post di Fitrat recita: “L’accusa di alcuni paesi contro l’Emirato islamico dell’Afghanistan per violazioni dei diritti umani e discriminazione di genere è assurda. In Afghanistan, i diritti umani sono protetti e nessuno è discriminato. Sfortunatamente, sono in corso tentativi di diffondere propaganda contro l’Afghanistan basata su false informazioni da parte di alcune donne e far apparire la situazione sbagliata”.
Gli account pro-talebani su X hanno risposto alla notizia della causa lanciando una campagna volta a promuovere la narrazione dei talebani, mentre screditavano o minimizzavano le affermazioni sulla privazione dei diritti delle donne in Afghanistan sotto il governo dei talebani. AW ha esaminato i post di vari account pro-talebani tra il 25 settembre e il 1° ottobre 2024, per analizzare la loro risposta alla questione.
Diversi account pro-talebani con migliaia di follower hanno pubblicato video di donne afghane che lavorano sia nel settore pubblico che in quello privato, tra cui poliziotte e imprenditrici , per dimostrare che le donne non erano del tutto assenti dal sistema. Hanno anche condiviso un video del vice primo ministro Mawlawi Abdul Kabir, dell’agosto 2024 , in cui sostenevano che 85.000 donne erano attualmente impiegate nei settori della sanità, dell’istruzione e della sicurezza dei talebani.
Affermando che l’Islam garantisce veri diritti alle donne e sottolineando che le donne afghane sono attualmente al sicuro , alcuni account pro-talebani hanno condiviso un video casuale che mostra l’arresto di una donna da parte di un poliziotto uomo in America , nonché una foto che mostra una donna con un uomo che si è colorato come un cane, sostenendo che questo è il tipo di “libertà e diritti” che gli occidentali cercano per le donne afghane.
Omar Baryal, un propagandista talebano con 65.000 follower su X, ha respinto le accuse di discriminazione di genere contro l’amministrazione talebana, sostenendo che le organizzazioni internazionali non hanno l’autorità morale per criticarle. Ha inoltre sostenuto che dovrebbero concentrarsi invece sull’affrontare le violazioni dei diritti umani in Palestina. Un altro account pro-talebano, con quasi 12.000 follower, ha affermato che le donne in Occidente erano trattate come lavoratrici e oggetti per soddisfare i desideri sessuali degli uomini.
Inoltre, alcuni account pro-talebani hanno condiviso video di donne e ragazze afghane che indossano l’hijab, affermando che coloro che vivono all’estero e sostengono i diritti delle donne in Afghanistan non le rappresentano. Questi account sostenevano che le donne afghane erano in grado di parlare per sé stesse e che erano soddisfatte dei diritti garantiti dai talebani.
In un video condiviso da un account pro-talebani con oltre 266.000 follower, una donna che indossa l’hijab ha affermato che Fawzia Koofi e Shukria Barakzai (ex parlamentari afghane) , insieme ad Aryana Saeed (una rinomata cantante afghana) , non hanno alcuna autorità per rappresentare lei o altre donne musulmane afghane, nonostante le loro affermazioni di farlo. AW ha osservato che questo video è stato pubblicato da centinaia di account pro-talebani , tra cui diversi con oltre 100.000 follower , e nota che era stato precedentemente diffuso da account pro-talebani nel marzo 2024 .
Un altro video , in cui una donna pro-talebana parla in inglese e trasmette lo stesso messaggio, ovvero che le donne afghane all’estero non sono loro rappresentanti, è stato pubblicato in modo simile da più di cento account , tra cui alcuni di spicco con decine di migliaia e oltre 100.000 follower . Il logo sul video in lingua inglese indica che è stato creato e pubblicato dal canale mediatico pro-talebano Uruj, per la prima volta il 28 settembre 2024 .