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30° anniversario della Dichiarazione di Pechino, lo storico raduno di donne che ha innervosito il governo cinese

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Isabel Choat, The Guardian, 3 marzo 2025

Nel 1995, 30.000 donne provenienti da tutto il mondo si sono riunite nei pressi di Pechino, creando un momento fondamentale per il movimento a favore dei diritti delle donne. Alcune di coloro che erano presenti riflettono su ciò che è stato raggiunto da allora

Nel settembre del 1995, decine di migliaia di donne provenienti da tutto il mondo si riunirono in una sonnolenta cittadina a circa 60 km a nord di Pechino. Il piano originale prevedeva di incontrarsi nella capitale, ma le autorità cinesi, innervosite da un numero così elevato di donne, avevano insistito perché rimanessero a distanza di sicurezza dalla città nell’insediamento di Huairou, in gran parte ancora in costruzione.

La sfiducia del governo era profonda: gli alberghi furono dotati di coperte extra nel caso in cui le donne avessero deciso di inscenare una protesta improvvisa e nuda, gli spostamenti tra Pechino e Huairou furono sottoposti a stretto controllo e le piogge fuori stagione furono attribuite a una concentrazione di donne mestruate.

Ma né il tempo né i dispetti hanno potuto smorzare gli animi in quello che si è rivelato un evento straordinario: il Forum delle ONG sulle donne.

Organizzato parallelamente alla Quarta Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle Donne, tenutasi presso il Centro Congressi Internazionale di Pechino, il Forum ha accolto 30.000 leader femministi, sostenitrici dei diritti, attiviste indigene, rappresentanti di ONG e accademiche provenienti da 180 Paesi.

Si è trattato del più grande raduno internazionale di donne mai visto al mondo e di un momento fondamentale per il movimento per i diritti delle donne. “Pechino è stato il culmine di anni di lavoro. Come ha affermato la scrittrice femminista Bell Hooks: «Abbiamo cercato di passare dall’essere ai margini al centro, ed è stato così emozionante». Così dice Charlotte Bunch, direttrice del Center for Women’s Global Leadership della Rutgers University negli Stati Uniti.

Le partecipanti hanno camminato nel fango nella città ancora in costruzione e partecipato a eventi di networking e di strategia nelle tende; si sono inzuppate mentre viaggiavano in autobus turistici scoperti per raggiungere la conferenza ufficiale delle Nazioni Unite a Pechino. Ma tutto ciò ha accresciuto il senso di cameratismo.

Nel corso dei 11 giorni di lavori sono stati discussi e dibattuti temi quali l’affermazione dei diritti delle donne come diritti umani, la violenza contro le donne, i diritti riproduttivi e il benessere delle bambine. Il risultato è stata la storica Dichiarazione e Piattaforma d’azione di Pechino, un documento che copre 12 aree critiche e che, a 30 anni di distanza, rimane il progetto storico per l’uguaglianza di genere.

“È stato incredibile: donne di ogni età, colore della pelle, disabilità e razza che lottavano per l’uguaglianza e lo facevano in modo molto organizzato e coordinato. Avevamo una strategia di advocacy e tutta questa energia che ci dava la sensazione di essere potenti – e siamo davvero riuscite a influenzare l’agenda”, racconta Ana Cristina González, che all’epoca aveva 27 anni, si era appena specializzata in salute riproduttiva ed era parte della delegazione latinoamericana.

“Mi ha fatto sentire che quello che sognavo era possibile. Quell’incontro ha segnato tutta la mia carriera e il mio impegno femminista”, aggiunge.

Una trasformazione personale e politica

La sensazione che Pechino abbia rappresentato una trasformazione, sia personale che politica, è stata ribadita da innumerevoli donne, molte delle quali sono diventate leader del movimento femminile. “L’atmosfera era incredibile. Non mi ero mai seduta con qualcuno proveniente dal Tibet o dal Medio Oriente: c’era eccitazione e la sensazione che avremmo potuto ottenere molto”, racconta Lydia Alpízar Durán, co-direttrice esecutiva di IM-Defensoras, una rete latinoamericana di difensori dei diritti delle donne. “A Pechino abbiamo fatto molto. Al di là dell’accordo governativo, abbiamo dato vita a un movimento globale di donne. Pechino ha catalizzato molti processi”.

Non è stato affatto facile. Mesi di preparazione sono stati dedicati alle strategie nazionali e regionali per garantire che l’agenda riflettesse le richieste della base; i dibattiti sono stati accesi e lunghi. Il testo della dichiarazione è stato analizzato parola per parola fino a raggiungere un accordo. Le autorità cinesi non tolleravano le proteste pubbliche, ma quando le donne pensavano di essere ignorate trovavano il modo di mostrare la loro disapprovazione: a un certo punto la delegazione latinoamericana ha bloccato le scale mobili del centro congressi.

La femminista indiana Gita Sen, fondatrice di Developing Alternatives with Women for a New Era (Dawn), racconta: “Uno dei momenti più importanti è stato quando è arrivato l’allora presidente della Banca Mondiale, James Wolfensohn.

Wolfensohn era considerato più liberale dei presidenti che lo avevano preceduto, sua moglie era considerata una femminista. Credo che pensasse di ricevere le congratulazioni, ma è stato colto di sorpresa: tutte gli urlavano: “Sai cosa hai fatto alle nostre vite? Tu e il FMI ci state distruggendo”. Penso che sia rimasto davvero scioccato, ma è tornato sui suoi passi e ha cercato di ammorbidire alcune delle politiche della banca”.

Quando, nel 1995, Hillary Clinton, moglie dell’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, pronunciò il suo discorso a Pechino dichiarando che “i diritti delle donne sono diritti umani, una volta per tutte”, il mondo ascoltò, ma il merito va alle migliaia di donne che negli anni precedenti avevano lavorato instancabilmente nei loro Paesi e alle principali conferenze delle Nazioni Unite, tra cui Vienna nel 1993 e Il Cairo nel 1994.

“Fino al 1980, gli eventi delle donne erano marginali e non erano considerati al centro di nulla di ciò che le Nazioni Unite facevano. E oggi siamo nella fase di contraccolpo verso tutto quello che stavamo portando avanti”, afferma Bunch.

Bunch era una delle donne che idearono la campagna di 16 giorni di attivismo [contro la violenza di genere] nel 1991. Tra loro c’era anche Everjoice Win, una zimbabwese che lavorava per i diritti delle donne dal 1989. Entrambe le donne andarono a Pechino.

“Ho spesso descritto i primi anni ’90 come l’epoca d’oro dell’organizzazione transnazionale: c’erano questi spazi – Messico, Cairo, Vienna e Pechino – e alcune di noi hanno partecipato a tutte e quattro le conferenze ONU. Ma non si trattava solo di partecipare, bensì di avere un programma collettivo per influenzare il progresso dei diritti delle donne.  Tutte avevamo uno scopo e degli obiettivi”, racconta Win.

Il piano in 12 punti ha galvanizzato governi e società civile e, nel 2015, ha dato vita agli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. “I governi hanno aderito all’agenda di Pechino come le anatre all’acqua, con delle limitazioni. Il mainstreaming di genere è diventato l’approccio preferito dai governi”, aggiunge Win, che nel 2002 è diventata la prima responsabile dei diritti delle donne di Action Aid.

“Abbiamo messo i diritti delle donne al centro dell’agenda di Action Aid, utilizzando alcuni degli strumenti che avevamo ottenuto durante il processo di Pechino. Una volta compreso il concetto di mainstreaming di genere, siamo riuscite a influenzare la leadership dell’organizzazione, assicurandoci che le donne ricoprissero ruoli di responsabilità”.

Il bilancio sull’uguaglianza di genere

La prossima settimana a New York, la Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione femminile (CSW) celebrerà il 30° anniversario della dichiarazione di Pechino.

Lunedì, il Segretario generale dell’ONU, António Guterres, aprirà l’incontro con un discorso sullo stato globale della parità di genere. La dichiarazione si baserà su un rapporto sui progressi compiuti, aggiornato con le informazioni fornite da 159 governi, e riconoscerà i miglioramenti. Oggi, 122,4 milioni di ragazze sono fuori dalla scuola, un dato in calo rispetto ai 124,7 milioni del 2015. La mortalità materna è diminuita da 339 a 223 decessi ogni 100.000 nati vivi tra il 2000 e il 2020. Dal 1995, la percentuale di donne nei parlamenti è più che raddoppiata, passando dall’11% al 27%. I Paesi hanno anche continuato a eliminare le leggi discriminatorie nei confronti delle donne.

Questi bilanci sull’uguaglianza di genere vengono redatti ogni cinque anni, ma quest’anno il senso di urgenza è maggiore, perché, nonostante i miglioramenti in alcune aree, le “crisi a cascata”, tra cui il disastro climatico, gli shock economici, l’aumento dei conflitti e il declino della democrazia, fanno sì che la visione della Piattaforma d’azione – e degli SDG 2030 – rimanga un sogno irraggiungibile.

In questo contesto instabile, si registra un aumento del sentimento e dell’azione contro le donne, alimentato da governi autoritari e dai social media. “Il crescente malcontento è stato rafforzato dallo svuotamento dei meccanismi politici, delle istituzioni e dei processi che la Piattaforma d’azione di Pechino aveva incaricato di promuovere per l’uguaglianza di genere”, si legge nel rapporto.

Il fatto che il Centro per la famiglia e i diritti umani (C-Fam), di destra e antiabortista, tenga la propria conferenza di due giorni in parallelo alla CSW, in una sede di fronte al quartier generale delle Nazioni Unite, è la prova di un movimento antidiritti più strategico, meglio finanziato e più intelligente. Come molte organizzazioni antifemministe, utilizza il linguaggio dello sviluppo femminile per affermare di “dare potere alle donne”, ma allo stesso tempo accoglie con favore la chiusura di USAid da parte del Presidente Donald Trump, che avrà conseguenze devastanti per donne e ragazze.

“A mio avviso, stiamo vivendo una trasformazione epocale”, afferma l’accademica brasiliana Sonia Corrêa, co-presidente di Sexuality Policy Watch. “Non ci sono soluzioni facili. Lo stato del mondo è un problema molto difficile, le condizioni sono determinate dalle forze neofasciste al potere in quello che è ancora uno degli imperi del mondo”.

Potrebbe significare che quest’anno non ci sarà alcun accordo intergovernativo al CSW se gli USA lo bloccano, crede Corrêa. “Non ho bisogno di spiegare quanto profondamente l’estrema destra odi l’ONU”.

“È un momento preoccupante”, concorda Win. “La domanda è: gli altri imiteranno il tiranno arancione – mi rifiuto di usare il suo nome – facendo quello che fa lui o [lo] contrasteranno?”

Ma se il panorama politico contemporaneo è molto diverso dall’“epoca d’oro” degli anni Novanta, caratterizzata dalla fiducia nella democrazia, nel multilateralismo e nelle istituzioni, le lezioni apprese da Pechino sono ancora rilevanti, affermano le donne che erano presenti.

“Non possiamo dimenticare che siamo state noi a respingere un mondo diseguale, un mondo che abbiamo respinto e trasformato. Abbiamo passato anni a spiegare e mostrare al mondo che c’erano disuguaglianze e che volevamo migliorare. Stiamo lottando per le democrazie, quindi non possiamo chiederci solo cosa fare in risposta a una determinata situazione, ma cosa fare in generale”, afferma González, che ora dirige Causa Justa, il gruppo che ha guidato la campagna per la depenalizzazione dell’aborto in Colombia, una battaglia vinta nel 2022.

E’ confortante, dicono, allontanarsi dal caos e avere una visione più a lungo termine. Bunch dice: “Sono cresciuta negli anni ’50 e ho partecipato all’esplosione degli anni ’60; sì, ora il potere di Trump fa paura, ma ci sono alti e bassi e noi siamo in un periodo negativo. Le persone che combattevano il maccartismo avevano fiducia che ci sarebbe stato un momento diverso. Non intendo affatto smorzare l’energia dell’indignazione, ma nel periodo di crisi bisogna prepararsi ad andare avanti per quanto possibile. Viviamo in questo momento e dobbiamo impegnarci al massimo”.

O, come dice Win: “I cambiamenti arriveranno. Ma ricordiamo a noi stessi che il cambiamento non può essere preparato al microonde: il cambiamento deve essere cotto o arrostito, e il microonde non lo farà”.

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