Skip to main content

Afghanistan, sui diritti «gli occidentali ora sanno che sono stati sconfitti»

|

Il manifesto, 15 agosto 2025, di Giuliano Battiston

Emirato islamico Intervista a Antonio Giustozzi, il più autorevole studioso del regime afghano

Per fare un bilancio di questi quattro anni di Emirato islamico abbiamo intervistato Antonio Giustozzi, il più autorevole studioso dei Talebani, autore tra l’altro di The Taliban at War, 2001-2021 (Hurst) .

Quanto è solido oggi l’Emirato?

La percezione è che il regime si consolidi e che aumentino le pulsioni totalitarie da Kandahar, da dove governa l’Amir, con un numero crescente di decreti per controllare la popolazione. Sul lungo termine è rischioso, soprattutto se le regole ferree finiranno per riguardare anche gli uomini, ma per ora c’è il consolidamento: l’opposizione armata e non armata è a pezzi, lo Stato islamico è messo male, i Talebani hanno ottenuto fino a 3 miliardi di dollari con le tasse, lo sfruttamento minerario è superiore rispetto al governo precedente e i rapporti regionali sono buoni.

Qualcuno avrebbe scommesso che i Paesi regionali avrebbero aiutato l’opposizione. Invece è arrivato il riconoscimento da parte della Russa…

I Paesi della regione non hanno mai avuto interesse a sostenere l’opposizione, a eccezione del Tagikistan, che pare stia trovando un compromesso: i Talebani hanno trasferito alcuni gruppi jihadisti tagichi – fonte di preoccupazione per Dushanbe – in aree più lontane dal confine. Kazakistan e Uzbekistan pensano di riconoscere l’Emirato e la Cina non tarderà molto. C’è già un ambasciatore talebano a Pechino. Anche con il Pakistan i rapporti stanno migliorando. Alcuni tagichi del National Resistance Front hanno chiesto aiuto al Pakistan contro i Talebani, ma sono stati rimandati a casa. Una volta che i rapporti con Islamabad si stabilizzeranno, in pratica tutti i confini saranno “chiusi”, controllati: difficile far arrivare armi e sostegno a un’eventuale resistenza.

Poco più di un anno fa si parlava della riapertura delle ambasciate occidentali a Kabul. Oggi tira tutt’altra aria. Perché?

Perché i diplomatici europei a Doha e Kabul parlavano con il fronte dei pragmatici, tra i Talebani, che promettevano grandi cose, come risolvere la questione delle donne. Ma non hanno ottenuto nulla: gli occidentali ora sanno che sono stati sconfitti. L’Amir li ha messi in riga.

Il leader supremo ha rimesso in riga anche l’oppositore principale, Sirajuddin Haqqani, ministro di fatto degli Interni…

Sirajuddin ha giocato su troppi tavoli. Sono circolate voci su un presunto colpo di stato contro l’Amir. Sirajuddin sarebbe andato negli Emirati proprio per accelerarlo, illudendosi che gli americani lo avrebbero aiutato. Ma ha fallito e perso la faccia. Tornato in Afghanistan, l’Amir gli ha proposto un accordo: pieno controllo delle forze di sicurezza per l’Amir, in cambio della revisione di alcune politiche di genere. Serajuddin ha rifiutato. Fino a che non si definisce l’assetto istituzionale e la distribuzione di potere, i conflitti interni rimarranno. Per ora l’Amir ha centralizzato il potere, preso controllo delle finanze e portato a sé molti comandanti militari.

Il consenso dei Talebani appare circoscritto. Come mai non si vedono forme di opposizione più strutturate?

La base del regime è poco ampia, ma la società è perlopiù passiva, non ci sono segni significativi di opposizione, a parte le poche donne che manifestano. Le comunità locali mediano con i Talebani, lontano dalle telecamere. La società civile non ha mai recuperato l’eredità di 20 anni di occupazione degli americani, abituati a pagare tutti per ogni cosa. Ne è uscita una società civile di salariati. L’amir e la sua cerchia hanno quasi il monopolio nel clero al sud e in parte dell’ovest, ma all’est il clero non è uniformemente deobandi. In una provincia come Nangarhar, i Talebani fanno fatica perfino a trovare religiosi in linea con loro, per il Consiglio degli ulema.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *