Scandalo Afghanistan
Il Fatto quotidiano
Alessio Pisanò 14/7/2010
Tra il 70 e l’80% degli aiuti umanitari si perde in rivoli di corruzione
Sotto accusa non sono le autorità afgane, ma le organizzazioni internazionali che gestiscono gli aiuti.
Dove vanno a finire i miliardi di dollari di aiuti umanitari all’Afghanistan? Tra il 70 e l’80% finiscono in mani diverse da quelle afgane, almeno secondo Pino Arlacchi, eurodeputato Idv membro della commissione Affari esteri e direttore, dal 1997 al 2002, del programma antidroga ed anticrimine dell’ONU.
Rischia di diventare uno scandalo di proporzioni gigantesche quello degli aiuti all’Afghanistan, viste le cifre di cui si parla: dai 23 ai 27 miliardi di dollari di aiuti stanziati scomparsi nel nulla. Sotto accusa non la corruzione delle autorità afgane ma le organizzazioni internazionali che gestiscono gli aiuti: ONU, ONG varie, Banca Mondiale, Banche regionali per lo sviluppo e così via. Questo si legge nel rapporto “Nuova strategia dell’Afghanistan” del quale Arlacchi è relatore al Parlamento europeo. Secondo il ministro delle finanze del governo Karzai, Omar Zakhilwal, tra il 2002 e il 2009 l’Afghanistan ha ricevuto circa 40 miliardi di dollari di aiuti, ma solo il 6% sono passati nelle mani del Governo del Paese. I restanti 34 milioni sono stati veicolati da associazioni internazionali, soprattutto, per quanto riguarda gli stanziamenti USA (5 miliardi di dollari l’anno), da cinque grandi “contractor” americani che ne hanno gestito il 60% del totale. E qui, secondo Arlacchi, si aprirebbe la voragine: tra sprechi, costi di intermediazione e di auto-protezione eccessivi, sovra fatturazione e corruzione se ne sarebbe andato tra il 70 e l’80 degli aiuti totali. Solo per gli stipendi si spende circa 250-500mila dollari all’anno, riferisce Agency Coordinating Body for Afghan Relief (ACBAR). Ma facciamo due conti: al costo di applicazione di un qualsiasi programma di sviluppo nel Paese va aggiunto il 5-15% di sovrapprezzo medio; poi il 15-30% per la protezione del personale, degli edifici e dei mezzi del programma stesso; infine, a questo 30-50% vanno aggiunti i costi di subappalto dei progetti, i super stipendi e le super consulenze inutili, le spese eccessive dei capi delle agenzie e dei manager dei progetti, le fatture gonfiate dei fornitori di beni e servizi che hanno sede nei Paesi donatori. Ed ecco che il costo per la realizzazione, ad esempio, di una scuola può lievitare da 3 a 10 volte, arrivando a costare invece di 100mila ben 1 milione di euro. Cifre da capogiro ma che, secondo Arlacchi, vengono corroborate da valutazioni fatte da altri esponenti del governo afgano e da esperti indipendenti. La conferma delle parole di Arlacchi sembra venire dalla recente decisione degli USA di bloccare lo stanziamento di 5 miliardi di dollari in seguito ad indiscrezioni circa il trasferimento off-shore di ingenti somme di denaro appartenenti agli aiuti umanitari. L’Unione europea, di riflesso, ha annunciato proprio ieri il blocco di 200 milioni di euro destinato all’Afghanistan previa ulteriori accertamenti su come i soldi sono stati spesi fino adesso . Fortunatamente gli esperti dicono che gli sprechi dei fondi europei sono attenuati dal fatto che il 50% (invece che il 10% degli USA) viene allocato tramite Trust Funds multilaterali il cui indice di sicurezza è molto più alto (circa l’80%). A tutto ciò va aggiunta l’immancabile corruzione, che secondo Integrity Watch Afghanistan è costata 1 miliardo di dollari solo nel 2009, il doppio del 2006. “Ma attenzione a non prendere la corruzione locale come capro espiatorio – avverte Arlacchi – visto che dal Governo di Kabul passano solo il 15% degli aiuti totali. Anche attribuendo alla corruzione locale un’incidenza del 50%, infatti, non si supera il 7,5% del volume complessivo della spesa finora effettuata in Afghanistan”. Il problema, ancora una volta, sembrerebbe la mancanza di trasparenza nella spesa degli aiuti, soprattutto da parte delle organizzazioni straniere. L‘Afghanistan Compact, il piano di aiuti deciso a Bohn nel 2006, presenta 77 prezzi di riferimento per il governo afgano ma nessuno per i donatori. Per questo Arlacchi chiede di ricalibrare i controlli internazionali, a partire dai dai fondi europei, mettendo a punto un sistema di monitoraggio dati e spese sulla falsa riga di quanto è stato recentemente fatto negli USA con l‘Ispettorato generale per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar), anche se non un ritardo di 9 anni. E poi affidare la gestione degli aiuti umanitari direttamente agli afgani. Secondo uno studio condotto sul campo tra il 2005 e il 2006 dall’associazione Peace Dividend Trust, la spesa diretta delle autorità locali è quattro volte più efficace delle grandi organizzazioni internazionali.
Adesso spetta all’UE pronunciarsi su come viene speso il miliardo di aiuti umanitari annui stanziato dai 27 Paesi membri. Della questione, oltre alla commissione Affari stranieri del Parlamento europeo, si occuperà anche quella sul controllo dei bilanci presieduta da Luigi de Magistris, che ha indirizzato alcune precise domande alla Commissione europea circa l’attuale gestione dei fondi UE in Afghanistan. Nel frattempo la situazione del Paese è al collasso: l’Afghanistan è 177esimo posto (su 178) nella classifica Human Development Reports, e si stima che oltre metà della sua popolazione sia sotto la soglia della povertà. Secondo la CIA World Factbook, l’aspettativa di vita in Afghanistan è passata da 46.6 del 2002 a 44.4 nel 2009, e il PIL pro capite diminuito del 25% dal 2004 al 2009.
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