Tra due fuochi
Agenti dei servizi segreti afgani e militari americani fanno irruzione in casa dei genitori di Andeisha Farid, direttrice di otto orfanotrofi, minacciando, saccheggiando e sequestrando suo padre settantenne, suo fratello e un parente.
Andeisha Farid è una ragazza afgana di 26 anni, fondatrice e direttrice dell’Associazione per la cura e l’educazione dei bambini afgani (Afceco), organizzazione che gestisce otto orfanotrofi in Afghanistan, dove vivono oltre 600 bambini e bambine. L’adozione a distanza, sopratutto dagli Stati Uniti, costituisce il principale sostegno di questo progetto.
Sabato notte, militari dei servi di sicurezza afgani (Nds) e soldati americani hanno fatto irruzione in casa dei suoi genitori, a Kabul, minacciandoli con le armi, saccheggiando l’abitazione e portandosi via, incappucciati come terroristi, suo padre di 70 anni, suo fratello minore e un parente che era ospite dei genitori.
Andeisha, ci racconti cos’è successo?
Sabato notte, intorno all’una, una trentina di militari armati, tra cui alcuni stranieri che mia madre e mia sorella hanno identificato come soldati americani, hanno fatto irruzione nell’appartamento di Kabul dove vivono i miei genitori. Erano agenti armati dei servizi segreti del governo Karzai, accompagnati dai loro addestratori statunitensi. Hanno iniziato a perquisire e saccheggiare l’appartamento con le armi puntate contro mia madre e mia sorella, minacciandole di morte se si fossero mosse. Hanno ammanettato il nipote sedicenne di mio fratello ordinandogli di rimanere in un angolo. Si sono portati via computer, soldi e oggetti di valore e hanno danneggiato molte cose. Poi hanno incappucciato e portato via mio padre, mio fratello e il cugino di mio padre, che era ospite in casa loro, intimando a mia madre e mia sorella di non muoversi dalla loro stanza per dieci minuti dopo che fossero usciti.
Dove li hanno portati?
Per tutta la mattina di domenica non abbiamo saputo nulla: né dove li avessero portati, né se e quando li avrebbero rilasciati, né tanto meno di cosa fossero accusati. Buio totale. Temevo per la loro vita. Mia madre era sotto shock.
Poi, ieri sera, ho ricevuto una telefonata: mi hanno detto di andare alla sede del National Directorate of Security, i servizi afgani, a prelevare mio padre e mio fratello, e così fatto. Ma il cugino di mio papà è ancora detenuto e non hanno voluto dirmi il motivo.
Perché quest’azione contro al tua famiglia?
La mia famiglia non è certo complice dei talebani. Se mio padre fosse stato legato ai talebani lo avrei allontanato dalla mia vita molto tempo fa. Ma la realtà è che lui odia i talebani, che in passato lo hanno terrorizzato interrogandolo e torturandolo perché aveva osato mandare le sue figlie a scuola in Pakistan. È stato mio padre a insegnarmi i principi di uguaglianza e democrazia, a rischio della sua stessa vita.
Ma allora, perché?
Non ci siamo ancora fatti un’idea chiara. Forse tutto è avvenuto per errore, sulla base di informazioni sbagliate. O forse si è trattato di un’azione intimidatoria. Purtroppo questo accade continuamente in Afghanistan. Spesso le persone vengono semplicemente uccise. Rabbrividisco per la maniera in cui il governo afgano e le forze straniere che lo sostengono gestiscono la sicurezza, un modo che fa sentire la mia gente intrappolata tra due fuochi: i talebani da una parte e il governo, quasi ugualmente spaventoso, dall’altra. Io i talebani li disprezzo, lotto contro queste forme di estremismo con ogni cellula del mio corpo, con ogni azione della mia vita. La mia associazione, Afceco, è in guerra contro i talebani e continuerà ad esserlo per il resto della mia vita. Ogni giorno, quando vengo negli orfanotrofi e vedo i volti felici dei bambini vittime dei talebani, sento rinascere in me la speranza. Non tutti però hanno le idee chiare come le mie su cosa sia meglio o peggio per il nostro paese. Fatti come quello accaduto alla mia famiglia non contribuiscono certo a diffondere questa chiarezza.
Enrico Piovesana
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