Intervista a Said Mahmoud portavoce del partito afghano Hambastagi
Circolo Carlo Giuliani Parigi
Said Mahmoud è portavoce di Hambastagi, partito progressista afghano impegnato, pur nel disgregato panorama del Paese, nella divulgazione di un programma di sviluppo economico, libertà e giustizia sociale. Sembra il massimo dell’utopia in una nazione che ha tre generazioni coivolte in conflitti periodici e infiniti. Lo intervistiamo durante una delle tappe europee con cui ha incontrato esponenti politici e della società civile.
Mahmoud, che impatto può avere un piccolo partito come il vostro che si rivolge alle coscienze dei concittadini in una nazione da decenni devastata dallo strapotere delle armi?
Il nostro partito punta a coinvolgere la popolazione con manifestazioni che contestano l’attuale governo così da mostrare come in Afghanistan la resistenza anche pacifica non scompare. Ci basiamo sul più ampio coinvolgimento delle persone. È una scommessa ma la facciamo.
Come siete organizzati, avete libertà d’azione?
Il partito Hambastagi ha una propria organizzazione centrale, però l’aspetto fondamentale al quale non vogliamo rinunciare è la diffusa presenza in molte province afghane. Contiamo 30.000 iscritti e puntiamo sul contatto diretto con la popolazione. Diamo un contributo all’acculturamento della gente, con bambini e ragazzi è più semplice, con gli adulti meno, comunque insistiamo. Alfabetizzare gli individui, renderli consci dei propri diritti vuol dire fornirgli le armi migliori: coscienza e capacità d’interpretare la realtà. Simili iniziative espongono a rischi di repressione e morte i nostri membri sia da parte dei Taliban sia del governo considerato legalitario in Occidente. Ma avere il caloroso sostegno di tanti afghani degli strati sociali più diversi anche attraverso telefonate ed email che giungono nelle sedi di partito, evidenziano l’evidente bisogno di cambiamento che c’è nell’aria.
Il pashtunwali (il codice comportamentale) influenza pur indirettamente i rapporti fra attivisti e attiviste di Hambastagi?
Il pashtunwali è una delle componenti che regolano le interrelazioni fra i sessi nella società afghana, ma non è l’unica. I rapporti uomo-donna nel partito li abbiamo affrontati e in parte li stiamo risolvendo con una pratica di collaborazione assoluta. Lavoriamo fra pari con rispetto e fratellanza e reciproci. Gli scambi gestuali si riducono a una stretta di mano perché abbiamo costumi più castigati dei vostri ma credo che le nostre attiviste siano più soddisfatte di quelle occidentali. La vice rappresentante di Hambastagi è una donna, la direzione del partito conta tre elementi femminili e nelle cariche le donne occupano il 45% del totale.
Dopo la propaganda mediatica sul nuovo volto che le consultazioni per il Parlamento dello scorso settembre avrebbero offerto al Paese s’è saputo ben poco dei risultati. Sono noti? È stato eletto qualche rappresentante svincolato da legami col potere?
Le ultime elezioni sono state l’ennesima beffa e l’ennesima truffa subìte. Come in altre occasioni il voto è stato oggetto di forzature e brogli, dopo sei mesi neanche noi riusciamo a conoscere con chiarezza i risultati. C’è una lista di candidati promossi per nulla confortata da trasparenza dello spoglio, si ventila che alcuni finiranno sotto processo per le pressioni e la compravendita dei voti attuate. Non è un caso che molti degli eletti siano signori della guerra o personaggi legati a questi soggetti e ai loro clan, criminali dediti ai traffici di eroina, armi, persone. Taluni sono vicini a Karzai e a membri del suo governo. Purtroppo mancano esponenti della parte democratica del Paese, non ci sono rappresentanti di quella società che può rispondere a richieste dei diritti individuali e collettivi delle persone perché a causa dei brogli – peraltro ampiamente previsti – a molti di loro è stata impedita l’elezione. Così l’attuale Parlamento afghano è composto da signori della guerra e farabutti.
E qual è agli occhi della popolazione afghana l’immagine delle Forze Isaf dopo dieci anni d’occupazione?
Gli afghani sono delusi e infuriati perché vivono un reale peggioramento delle proprie condizioni. Peggioramento della sicurezza, dei diritti umani (vera beffa nei confronti delle aspettative), della corruzione presente all’interno di istituzioni piccole e grandi. Tutto quello che il popolo ha sofferto e continua a soffrire a causa della presenza occidentale non è solo legato agli attacchi militari pur costati un’infinità di vittime civili. Va ricordato che buona parte degli aiuti, un fiume di denaro che ha invaso la nazione, è stato convogliato verso il governo e da questo diviso coi signori della guerra, coi clan che spartiscono e controllano il territorio e con gli stessi talebani. Il popolo ha visto il 5% scarso delle risorse.
Potrà mai giungere un risarcimento per le vittime civili attribuendo responsabilità a tutti i tragici attori dell’immane spargimento di sangue: signori della guerra, talebani, Nato, governo afghano?
I familiari delle vittime non hanno ricevuto alcun risarcimento. Lo slogan occidentale “portare la democrazia” ci ha regalato un’invasione di cui non si vede la fine. Sotto questo slogan si continua a sostenere un governo che commette crimini mentre gli afghani subiscono lo scippo di beni e libertà da parte di tutte queste componenti. No, non credo che perdurando simili condizioni ci potrà mai essere un risarcimento reale alle famiglie delle vittime.
Quanto incidono gli interventi militare e civile dell’Occidente nella corruzione che caratterizza la leadership afghana?
Entrambi gli interventi non hanno sortito alcun effetto concreto per il popolo ma hanno indubbiamente prodotto un ampliamento della corruzione che ha coinvolto tutti i meandri delle istituzioni afghane. Chi va a Kabul può osservare che fine hanno fatto questi fondi: sono serviti a costruire enormi, costosissimi palazzi dove risiedono proprio i signori della guerra. Gli aiuti militari ed economici hanno ulteriormente ingrassato il marcio che già esisteva nel mio Paese aumentando il potere delle famiglie e delle organizzazioni per le quali non si può che usare un aggettivo: mafiose. È normale che il popolo sia insoddisfatto, non solo non è stato aiutato, ha visto il crescente degrado, forse irreversibile, del proprio tessuto sociale.
La realpolitik con cui Karzai prova a inglobare talune componenti della resistenza alla guida della nazione riporterà i Taliban a Kabul?
Il disegno in base al quale Karzai sta provando, su suggerimento statunitense, a coinvolgere in un possibile prossimo governo anche parte dei Taliban che se ne stanno a Quetta o altrove, potrebbe essere una mossa di realismo. Forse per un periodo gli spari cesserebbero però questa soluzione non avvantaggerebbe la gente comune. Riunire in una coalizione componenti tanto diverse e rissose lascia seri dubbi sulla riuscita del piano, tutti costoro sono guerrafondai cronici che non faranno un passo per favorire la popolazione.
Enrico Campofreda, 15 febbraio 2011
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