Afghanistan. Le trattative con i talibani
Rinascita, Ferdinando Calda – 31/1/12
Dopo il significativo annuncio dell’apertura di una sede diplomatica dei talibani in Qatar, si aprono nuovi fronti nelle trattative con gli insorti afgani, complicando un già delicato quadro che vede diversi attori in campo, ognuno con esigenze differenti e a volte contrastanti. Nei giorni scorsi si sono susseguite una serie di indiscrezioni e conferme secondo le quali il governo afgano sta organizzando un incontro con una delegazione di insorti in Arabia Saudita. Il perché di questa iniziativa parallela è da ricercarsi nel timore del presidente afgano Hamid Karzai di venire escluso dal tavolo qatariota organizzato dagli Stati Uniti. Da tempo il presidente afgano chiede che sia il governo di Kabul, e non gli Usa o la Nato, a gestire il processo di riconciliazione. Per questo motivo, nonostante le rassicurazioni di Washington, non ha digerito l’iniziativa qatariota e a dicembre ha persino richiamato l’ambasciatore afgano a Doha per protesta.
Karzai è soprattutto preoccupato per la sua sopravvivenza politica (e non solo politica) dopo il ritiro delle truppe straniere, consapevole che il suo debole governo e le disorganizzate forze di sicurezza nazionali non sono in grado di controllare il Paese e contrastare efficacemente le milizie degli insorti o degli altri signori della guerra che ancora godono di un enorme potere. Nel tentativo di non restare fuori ai negoziati sul futuro dell’Afghanistan, Karzai ha persino chiesto aiuto al vicino Pakistan. Ultimamente i rapporti tra il governo afgano e i pachistani (in particolare i vertici militari) non sono dei migliori, a causa delle reciproche accuse di non fare abbastanza contro il terrorismo, ma sia Kabul che Islamabad sono intenzionati ad avere un ruolo in primo piano nelle trattative. La stessa scelta dell’Arabia Saudita come Paese ospitante non è casuale, considerati i buoni rapporti che storicamente intercorrono tra Riad e Islamabad.
Da parte loro i talibani, che in precedenza hanno presentato l’apertura della sede diplomatica in Qatar come un’importante vittoria politica e militare, non si sono ancora espressi sull’iniziativa saudita. Gli Studenti del Corano hanno sempre definito il governo Karzai come un’inutile “marionetta” nelle mani degli “invasori statunitensi” e considerano prioritario discutere con gli Usa il ritiro completo delle truppe straniere dal Paese. Inoltre ci tengono particolarmente a sottolineare l’indipendenza dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan dall’influenza di ogni altro Paese della regione. Per questo in un comunicato avevano definito il Qatar come “il posto più appropriato” per aprire la loro sede diplomatica (“ha relazioni bilanciate con tutte le parti in causa e una posizione di prestigio nel mondo islamico”), escludendo l’Arabia Saudita (“qualcuno potrebbe avere dei sospetti per le strette relazioni bilaterali tra Pakistan e Arabia Saudita”) e la Turchia (esclusa per la sua appartenenza alla Nato), che alcune indiscrezioni avevano indicato come possibili candidati a ospitare i tavoli negoziali.
I protagonisti del dopo-Usa
I talibani del mullah Omar non sono gli unici “insorti” con cui bisogna fare i conti per una riconciliazione nazionale in Afghanistan.
Sono almeno altri due i grandi gruppi armati che in questi anni hanno combattuto gli Stati Uniti e il loro governo “fantoccio”: l’Hezb-i-islami del controverso Gulbuddin Hekmatyar e la famigerata rete Haqqani, vicina ai talibani pachistani e sporadicamente in contatto con cellule qaediste.
Hekmatyar sembra essere il più propenso a un dialogo con Kabul. Uomo dalle mille alleanze, l’ex mujaheddin fu uno dei protagonisti della guerra civile che seguì la cacciata dei sovietici ed è tristemente famoso per il bombardamento a tappeto di Kabul nel 1994. Fuggito dal Paese dopo la presa del potere da parte dei talibani, vi torno per combattere gli statunitensi insieme a loro (pur mantenendo la propria autonomia). Nonostante alcuni suoi uomini siedano nel Parlamento e nel Consiglio di pace, non ha mai abbandonato la lotta armata. Nei giorni scorsi Karzai ha detto di aver incontrato una delegazione di Hezb-i-islami.
Potrebbe essere più difficile con Jalaluddin Haqqani, leader dell’omonimo gruppo, tra i più agguerriti dell’insorgenza afgana, sia militarmente che ideologicamente.
Ma non bisogna dimenticare anche i signori della guerra che fin’ora hanno appoggiato il governo di Kabul, ma che, una volta partite le truppe statunitensi, potrebbero pretendere una fetta maggiore di potere. Tra questi spicca il temibile Dostum, un feroce uzbeko nominato capo di Stato maggiore nel 2005 successivamente esiliato a forza in Turchia perché “impresentabile” persino per gli standard afgani. Tuttavia è tornato nel Paese prima delle elezioni del 2009 per sostenere Karzai.
Oppure il tagiko Ismail Khan, ministro dell’Energia e ex governatore di Herat fino al 2004. A suo tempo poteva contare su un esercito di 25mila uomini e la sua influenza è ancora molto alta.
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