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Le donne che i media non vedono

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Intervista a Noorjahan Akbar di Alyse Walsh (per «The Daily Beast»), ottobre 2012 sul tentato omicidio della quattordicenne Malala Yousafzai.

malala 150x150Qual è stata la reazione, fra le giovani donne afgane e pakistane, al tentato omicidio della quattordicenne Malala Yousafzai?

«Molte delle ragazze che conosco io sono ovviamente spaventate, specialmente le attiviste. I loro genitori sono parimenti spaventati, perché temono che la stessa cosa accada alle loro figlie. Ma il grande sostegno manifestatosi attraverso i media e le proteste, in Afghanistan e Pakistan, è il simbolo di quanto potente è Malala e di quanto potenti altre donne possono essere. La situazione in questo momento è terribile per lei e spaventosa per noi tutte, ma a giudicare dall’enorme attenzione che ha ricevuto, e dal fatto che anche i suoi concittadini la difendono, penso ci sia anche un messaggio di speranza».

 

Questa tragedia è stata uno shock o la violenza contro donne e bambine sta crescendo?

«Non penso sia stata vissuta come uno shock. Succede di continuo. Solo quest’estate, in Afghanistan, l’attivista per i diritti delle donne Hanifa Safi è stata assassinata. Da marzo a oggi abbiamo avuto 50 delitti “d’onore”. Il caso di Malala ha suscitato più orrore perché è molto giovane, e perché nessuno può considerare una minaccia una quattordicenne che promuove l’istruzione. Quando a essere assalita è una donna di maggiore età non fa notizia: nessuno ha riportato l’omicidio di Hanifa Safi.
Nelle scuole afgane si prega per Malala, ed è bene che si continui a parlare di lei, perché le aggressioni alle studentesse e alle scolare non sono nulla di nuovo. Quindici ragazze afgane hanno avuto acido gettato in faccia perché andavano a scuola, due anni fa, ma nessuno ha protestato pubblicamente. E sempre quest’estate, 300 ragazze sono state avvelenate nelle scuole afgane per lo stesso motivo.
È gravissimo, ma non ne parla nessuno. Io sono una che tende a informarsi molto su quel che succede in tutto il mondo, ma non avevo mai sentito parlare di Malala, prima del tentato omicidio. I media non vedono le donne mentre costoro lavorano giorno dopo giorno; io ho connessioni con attiviste per i diritti delle donne un po’ ovunque, ma i media non coprono queste storie, le storie di donne eroiche, sino a che qualcosa di brutto non accade loro. E’ molto triste».

La vicenda sta avendo effetti sul lavoro tuo e delle altre attiviste del tuo gruppo?

«Dieci o dodici anni fa, la gente non avrebbe protestato perché avevano tentato di uccidere una ragazza. Ma ora sta accadendo. Le persone stanno condannando, lottando, dimostrando. Questo mi dà grande speranza per il futuro, non solo per me e il mio gruppo, ma per le donne in genere. Quando Hanifa Safi è stata uccisa, per settimane siamo state paralizzate dal terrore. Ma dalla vicenda di Malala stiamo ricevendo sostegno e coraggio. Il sapere che ci sono persone pronte a spalleggiarci ci darà la possibilità di lavorare ancora di più. Tuttavia, è possibile che coloro che non sono già coinvolte non si avvicinino all’attivismo per timore».

Traduzioni di Maria G. Di Rienzo

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