Un pezzo di storia afgana poco conosciuto
Presentato al Salone del Libro di Torino lo scorso 13 maggio, il libro di Enrico Piovesana Shùlai, Il movimento maoista afghano raccontato dai suoi militanti (1965-2011), pubblicato da Città del Sole Edizioni, sarà occasione di un incontro con l’autore il prossimo 27 giugno a Milano (al circolo Arci Bellezza). Pubblichiamo la Prefazione del volume, firmata dalla ex parlamentare e attivista democratica afgana Malalai Joya.
PREFAZIONE
Quando nel 2003 alla Loya Jirga denunciai i crimini dei signori della guerra che sedevano accanto a me in parlamento, essi mi urlarono dai loro scranni che ero una prostituta, un’infedele, una comunista. Usarono il termine ‘shùlai’, che per loro è un insulto. Ma solo per loro, perché in Afghanistan gli Shùlai non hanno una cattiva reputazione. La gente ha ben chiara la differenza tra i sedicenti comunisti del partito filosovietico Khalq, che in nome del socialismo hanno commesso orrendi crimini e che oggi siedono in parlamento a braccetto con i fondamentalisti, e gli Shùlai che invece sacrificarono le loro vite combattendo contro entrambi.
I militanti maoisti sono gli unici, nella tragica storia del mio Paese, a non essersi sporcati le mani con il sangue del nostro popolo, i soli a non aver commesso crimini contro l’umanità e a non aver agito come fantocci controllati da padroni stranieri. Per questo li rispetto e li considero degli eroi. Come eroi sono i giovani militanti dell’Organizzazione per la Liberazione dell’Afghanistan (ALO), che ancora oggi continuano a lottare clandestinamente contro gli stessi criminali fondamentalisti e contro l’occupazione militare degli Stati Uniti e della NATO, che invece i loro crimini li commettono in nome della pace e della democrazia.
Condivido, non solo idealmente, la loro scelta di clandestinità, di lavorare tra la gente fuori dalle dalle istituzioni corrotte di questo regime-fantoccio di criminali mafiosi sostenuti dall’Occidente. Come ho avuto modo di sperimentare personalmente, nell’Afghanistan di oggi non ci sono alternative alla lotta politica clandestina. Non solo perché è evidente che nessun reale cambiamento potrà mai venire dalle farse elettorali con cui questi signori cercano di legittimare il proprio potere. Ma anche perché la clandestinità è l’unica arma che abbiamo per lottare contro questa banda di assassini senza venire eliminati fisicamente. Non abbiamo armi, armi vere, e personalmente spero che non saremo mai costretti a imbracciare un fucile. Anche se sarei pronta a farlo se fosse l’unico modo per difendere la libertà del mio Paese, come fece mio padre ai tempi dell’occupazione sovietica.
Ritengo molto importante che si parli degli Shùlai, che anche all’estero si conosca la storia di un movimento che ha avuto un ruolo importante e pulito nella sporchissima storia di questo Paese e che ancora oggi continua a stare dalla parte del popolo opponendosi all’occupazione straniera e al fondamentalismo: sia quello dei signori della guerra al potere, sia quello dei talebani che presto potrebbero tornarvi con il sostegno degli Stati Uniti.
Malalai Joya
(Ex parlamentare, attivista democratica e autrice del libro Finché avrò voce, Piemme edizioni)
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