Afghanistan. Abusi e stigma sociale per le nuove donne poliziotto.
OsservatorioIraq -13 Novembre 2013 – Anna Toro
Non possono andare a lavorare in uniforme perché rischiano la vita, molestie e abusi sul luogo di lavoro sono all’ordine del giorno, e spesso si vergognano perfino di dire alle famiglie qual è il loro mestiere.
È questa la situazione delle donne che lavorano in polizia in Afghanistan, e a raccontarlo è un’inchiesta condotta dalla statunitense National Public Radio (NPR), con numerose testimonianze – rigorosamente in forma anonima – che dipingono una situazione allarmante:
“Gli agenti maschi mi chiedono apertamente favori sessuali, semplicemente perché credono che le donne entrino in polizia solo per fare le prostitute”, racconta ad esempio Ann (nome di fantasia). O ancora: “Alcune donne vengono promosse solo se accettano di fare certe cose con gli agenti maschi e i superiori”, fino ai racconti di vere e proprie aggressioni nei bagni, negli spogliatoi o negli uffici.
Così, sebbene i vertici della Polizia Nazionale Afgana (ANP) abbiano sempre negato questi abusi, le voci sono iniziate a circolare fin dai primi nuovi reclutamenti di agenti donne dopo il regime talebano, andando ad accrescere lo stigma sociale che queste ragazze si trovano a subire ancora oggi, persino in città più moderne come Mazar-e-Sharif (dove si è concentrata l’inchiesta) e Kabul.
È per questo che il numero delle poliziotte in Afghanistan fatica a crescere, tanto che costituiscono appena l’1% del corpo nazionale: secondo le ultime stime ufficiali, nel 2013 sarebbero in tutto 1551 (su un totale di 157mila agenti), in pratica una ogni 10mila donne afgane, e quasi tutte dislocate nelle città più grandi.
E dire che il governo si era posto obiettivi molto ambiziosi a questo proposito: portarle ad almeno 5000, entro il 2014. Cifre che difficilmente verranno raggiunte, nonostante la grossa spinta da parte della comunità internazionale, che sta cercando di portare le istituzioni, finora riluttanti, verso una soluzione del problema.
Secondo loro, infatti, un numero maggiore di donne poliziotto potrebbe essere uno dei modi più efficaci per aiutare la popolazione femminile afgana in generale a uscire dalla spirale di violenza alla quale è tutt’oggi condannata, quella domestica in primis.
Basti pensare che, secondo una ricerca del 2008, ben l’87% delle donne afgane ha subito una qualche forma di molestia o abuso fisico, sessuale o psicologico.
E si parla di dati parziali, dato che la maggior parte delle donne preferisce non raccontare e tanto meno denunciare: nelle centrali di polizia, infatti, il personale è quasi prevalentemente maschile, e il rischio più comune è quello di finire loro stesse in carcere per cosiddetti “crimini morali”, o alla meglio essere ignorate e rimandate nei luoghi dove hanno subito le violenze (spesso, appunto, casa propria). Per non parlare delle aree rurali dove la giustizia istituzionalizzata raramente riesce ad arrivare e la sofferenza di queste donne non trova nessun ascolto.
Questo spiega, in parte, perché la legge del 2009 sull’eliminazione della violenza contro le donne (EVAW), che ha reso reati penali atti come lo stupro, la violenza domestica e i matrimoni forzati, non sia mai stata applicata appieno.
Ed ecco perché, anche secondo l’associazione internazionale per i diritti umani Human Rights Watch, “l’impiego di un maggior numero di agenti di polizia femminile non potrà che migliorare la situazione delle donne che cercano di denunciare la violenza e ottenere giustizia”.
Proprio HRW alcuni mesi fa ha lanciato un appello chiedendo al governo di prendere seri provvedimenti sulla questione, in primo luogo garantendo alle donne che intraprendono questa professione almeno un ambiente di lavoro sicuro.
Fino ad oggi, infatti, le agenti sono state costrette a usare gli stessi spogliatoi e servizi igienici dei loro colleghi maschi, perciò si capisce come questo costituisca una situazione pericolosa e stigmatizzante, in una cultura in cui la rigida separazione dei sessi è stata finora la norma.
Certo ci sono state delle direttive ufficiali a riguardo (ben tre nel solo 2012), ma sono state sempre ignorate. “Il fallimento del governo afgano nel fornire agli agenti di polizia di sesso femminile delle strutture sicure le rende più vulnerabili agli abusi – ha detto Brad Adams, direttore della sezione Asia di HRW – E qui non si tratta solo di servizi igienici. Si tratta anche del riconoscimento, da parte del governo, del ruolo cruciale delle donne nell’applicazione della legge in Afghanistan”.
Non che qualcosa non si stia muovendo. Un’iniziativa importante è quella del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), attraverso il suo Law and Order Trust Fund per l’Afghanistan, che da qualche anno ha cominciato a lavorare a stretto contatto con il Ministero dell’Interno afgano per istituire un sistema di reclutamento efficace per agenti donne.
Tra gli obiettivi, l’istituzione delle “family response unit” (33 finora), con personale femminile addestrato ad occuparsi in modo sempre più competente dei casi di violenza domestica e denunce da parte di donne, più l’avvio, insieme all’ong Oxfam, di una serie di monitoraggi e campagne multimediali su radio, TV e internet affinché sempre più ragazze siano incoraggiate a fare domanda per questo posto di lavoro.
“Il livello di consapevolezza e di educazione della popolazione deve essere accresciuto – commenta Tuba, una delle 22 poliziotte che lavorano nella provincia di Kunduz, intervistata da Oxfam – Anche attraverso i media, la gente deve imparare l’importanza e il ruolo delle agenti donne nella società”.
Intanto, tutti gli agenti stanno ricevendo nella loro formazione un nuovo codice di condotta, in collaborazione con la missione di polizia dell’Unione Europea in Afghanistan, affinché anche il personale maschile collabori pienamente all’inserimento delle donne nelle varie unità.
Ma il tempo stringe e il timore è che, con il ritiro delle truppe internazionali alla fine l’anno prossimo, la situazione femminile nel paese possa fare dei passi indietro. E allora le donne poliziotto saranno ancora più indispensabili.
Se si pensa, però, che anche nei paesi cosiddetti più “avanzati” esistono tutt’oggi problematiche simili per alcune categorie di lavotrici, si capisce come il cambiamento, se mai ci sarà, non potrà che avvenire lentamente e per gradi, a partire dagli stessi afgani.
“Già la Polizia Nazionale Afgana in tutto il paese sta affrontando un grosso problema di sicurezza – commenta Marina Hamidzada, una specialista di questioni di genere che lavora per il Law and Order Trust Fund – ma ovviamente per gli agenti di polizia donne, la situazione è molto peggiore”.
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