Afghanistan, centinaia di donne in carcere per “reati contro la morale”
Corriere.it – Articolo di Riccardo Noury
La fonte è ufficiale, quella del ministero dell’Interno dell’Afghanistan: le donne e le ragazze imprigionate per reati contro la morale erano 400 nell’ottobre 2011, ora sono 600.
Trascorsi 12 anni dalla sconfitta dei talebani e quattro dall’adozione di una legge contro la violenza sulle donne, in Afghanistan la vita delle donne e delle ragazze continua a essere un incubo.
Secondo Human Rights Watch, il 95 per cento delle ragazze e il 50 per cento delle donne rinchiuse nelle carceri del paese ha commesso il “reato” di fuga non autorizzata (abbandono del tetto coniugale o familiare) o è colpevole di “zina”, ossia ha avuto relazioni sessuali extraconiugali.
La fuga non autorizzata non è neanche menzionata nel codice penale, ma la Corte suprema ha dato istruzione ai giudici di considerare le donne e le ragazze che cercano riparo dalla violenza alla stregua di criminali. Il punto di vista contrario dei ministri della Giustizia e degli Affari femminili è stato completamente ignorato.
Human Rights Watch ha esortato il presidente Hamid Karzai a graziare tutte le donne e le ragazze in carcere per fuga non autorizzata e a dire a chiare lettere che questo comportamento non dovrà essere più considerato un reato.
Il reato di “zina”, invece, nel codice penale è menzionato ampiamente ed è punito anche con 15 anni di prigione. Molte donne condannate per “zina” sono state in realtà stuprate o costrette a prostituirsi.
Le ragazze e le donne in carcere per fuga non autorizzata, intervistate da Human Rights Watch, hanno raccontato l’orrore da cui hanno cercato di scappare, solo per ritrovarsi a languire in galera: matrimoni forzati e precoci, anche al di sotto dei 16 anni, torture domestiche mediante pestaggi, coltellate e bruciature, stupri, prostituzione forzata, minacce di omicidi d’onore, rapimenti.
Come “prova” della colpevolezza di “zina”, i giudici si basano spesso sui “test di verginità”. Senza alcuna preparazione medica, i poliziotti afgani obbligano donne e ragazze a sottoporsi a questa umiliante aggressione sessuale che, sulla base dell’esito, può significare anni e anni di carcere.
Ovviamente, mentre le ragazze e le donne sono in prigione, gli autori dei reati contro di loro sono a piede libero. La legge del 2009 semplicemente non funziona.
Sono poche le donne e le ragazze, fuggite di casa, che riescono a trovare un destino diverso dal carcere. In circa la metà delle 34 province afgane, specialmente in quelle meridionali, non esistono rifugi. I 18 rifugi esistenti hanno un numero di posti esiguo.
In vista del ritiro delle forze internazionali dall’Afghanistan, i paesi donatori stanno diminuendo i loro fondi al governo di Kabul, che a sua volta non ha mai mostrato interesse a finanziare i rifugi. L’anno scorso il ministro della Giustizia ha sostenuto che si tratta di luoghi di “corruzione morale”.
Nel 2012, secondo l’ultimo Rapporto annuale di Amnesty International, la Commissione indipendente afgana sui diritti umani ha potuto documentare 4000 casi di violenza sulle donne nel periodo compreso tra il 21 marzo e il 21 ottobre.
Come abbiamo più volte ricordato nel nostro blog, la sicurezza, l’incolumità e la vita stessa delle ragazze e delle donne dell’Afghanistan rischiano di essere sacrificate nei negoziati tra governo e gruppi armati. Ogni giorno che passa, questo rischio si fa sempre più concreto.
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