Afghanistan: dentro il carcere femminile di Herat
www.corriere.it – 7 agosto 2013
In Afghanistan, dove è troppo facile per le donne essere arrestate – di Gianluca Russo
HERAT – Non dà l’idea di un vero carcere. In pieno centro di Herat, nell’ovest dell’Afghanistan, c’è l’unico istituto penitenziario della città con un reparto femminile all’avanguardia che sembra più una casa famiglia. Nella città in cui le donne sembrano non esistere, e ce ne sono tante, questo carcere è ben lontano dalle strutture carcerarie tradizionali. Un luogo in cui le detenute sono chiamate «ospiti», colpevoli di reati che, in una concezione puramente occidentale, non sarebbero tali.
GLI ARRESTI – Per le donne afghane essere arrestate è facile, troppo facile. Molte ragazze fuggono da casa o s’innamorano di un uomo non a loro assegnato. Questo è reato. «Sono ragazze con una marcia in più» racconta la vicedirettrice del reparto femminile che in occasione delle visite di giornalisti e militari, è solita raggruppare le ragazze nella stanza più grande del carcere per le interviste. La struttura nasce nel 2009 finanziata dall’Unione Europea e dal Ministero della Difesa italiano con 400 milioni di euro, progetto affidato al Prt (Provincial Reconstruction Teams) del Regional Command West di Herat.
I REATI (ASSURDI) – «Ci sono 160 detenute in questo momento» spiega il colonnello Gholam Haidar Talash, vicedirettore del carcere di Herat che è convinto che il carcere rappresenti una possibilità per le donne, di affrontare meglio la vita fuori. «Alcune di loro sono in arresto per aver subìto uno stupro» spiega Talash. Il colonnello è consapevole che per gli occidentali è molto difficile concepire questo reato. Una ragazza racconta di aver ucciso il marito dopo ripetuti maltrattamenti. Ha trentadue anni, un figlio di sei ed è in carcere da cinque, decide di farsi intervistare: «Mio marito era tossicodipendente e mi picchiava senza motivo…per questo l’ho ucciso».
Molte detenute, aspettano il passare dei giorni e la fine della pena, con l’idea di tornare nei propri villaggi una volta fuori. Poche ragazze hanno intenzione di lasciare il paese e c’è chi crede in un cambiamento radicale in meglio per l’Afghanistan. Nella sartoria una donna anziana cuce a macchina e scopre fiera il viso segnato dalle rughe: è la prima a incrociare gli sguardi dei curiosi che la osservano.
UNA COLLEZIONE ESCLUSIVA IN VENTI METRI QUADRATI – Le ragazze sedute nella saletta in cui studiano e lavorano da estetiste, aspettano silenziose. Assomiglia più a un centro di formazione il reparto femminile: sale internet, laboratori di sartoria e un campo da basket azzurro. C’è anche una piccola ludoteca per bambini, perché al carcere di Herat le madri continuano a essere mamme a tempo pieno. La prassi della visita al carcere prevede l’esposizione dei manufatti artigianali e quella di un vero e proprio campionario di abiti esclusivi. Sui tavoli allestiti si trova di tutto: abiti da sera, maglie ricamate, camicie e bambole di pezza. L’orgoglio delle donne afghane si percepisce dai loro occhi dilatati e fieri che osservano da fuori la stanza, coperte dai loro veli, i curiosi visitatori italiani.
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