La cooperazione in Afghanistan? Oppio e aiuti internazionali
Agoravox – 17 luglio 2013, di Andrea Intonti
Oppio e aiuti internazionali. Sono queste le basi dell’Afghanistan liberato, dove la cooperazione occidentale ha portato con sé, oltre agli immancabili interessi delle grandi società, anche un ben avviato traffico di droga dei contingenti occidentali, come scrivevamo qui.
La domanda da cui partire oggi è quella che, dopo 53 morti, in Italia ancora pochi si fanno: che ci siamo andati a fare in Afghanistan? Esportiamo democrazia? No, mazzette.
Stando alle cifre presentate nel 2011 alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, per la nostra missione umanitaria dal 2001 al primo semestre 2011 l’Italia ha speso circa 4,07 miliardi di euro, per la maggior parte (87%) in spese militari, confermando ancora una volta come il nostro sia diventato ormai un vero e proprio Warfare State. Non è dato sapere, però, se in tutto quel denaro sia compreso anche quello utilizzato per comprare – letteralmente – i talebani, come riporta un dispaccio dell’ambasciata statunitense.
Nonostante le smentite ufficiali e la reprimenda di George W. Bush, guarda caso i grandi attentati si sono registrati proprio quando il flusso di denaro veniva meno. Ne sa qualcosa il contingente francese che, sostituendoci nell’agosto 2008 al comando del distretto di Sarobi, vicino Kabul, non era stato messo al corrente di questa pratica. Dieci legionari morti e 21 feriti il salato conto di questa dimenticanza.
Grazie alla partnership tra Wikileaks e L’Espresso è, inoltre, possibile smontare l’ipocrisia della nostra “missione di pace”, trasformandola in una meno costituzionale e meno etica missione di guerra, dove ruolo di primo piano lo hanno avuto i “veicoli neri” della Folgore, che tra maggio e dicembre 2009 ha «cambiato il volto della presenza italiana in Afghanistan». Tra i 14.000 file – scrivevano nel 2010 Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi – si può leggere «un diario impressionante in cui sono elencate diverse centinaia di combattimenti, con decine di italiani feriti in modo più o meno grave di cui non si è mai saputo nulla» che registra anche l’uso di razzi al fosforo bianco e le “Bunkerbuster”, capaci di penetrare anche i bunker sotterranei. Così come nulla si sa di un prigioniero custodito dagli americani consegnato al governo di Roma il 20 dicembre 2009 all’aeroporto di Bagram. Perché quest’uomo, identificato solo come un “terrorista straniero” interessava così tanto le nostre autorità? È ancora sotto consegna o è stato liberato?
Approfondimento: “Afghanistan, ecco la verità”, di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi, L’Espresso, 15 ottobre 2010.
Conti sulla cooperazione. Quando non eravamo impegnati a comprare la pace o nella nostra guerra sconosciuta – dove volontà di tacere dei governi e volontà di non-sapere della popolazione non sono che facce di una stessa medaglia – qualche soldino nella ricostruzione dell’Afghanistan l’abbiamo messo davvero. Dal “Libro bianco 2011 sulle politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo in Italia” si apprende come siano stati destinati 22 milioni e 300 mila euro per la “Cooperazione allo Svilppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione” attraverso il Decreto Legge del 1 gennaio 2010 (convertito in legge il 5 marzo dello stesso anno), a fronte di oltre 300 milioni destinati alla partecipazione al contingente militare ai quali si aggiungono, tra gli altri, 2 milioni per il Fondo fiduciario della Nato a sostegno dell’esercito afghano e 500.000 euro per la convenzione tra Presidenza del Consiglio, la Rai e NewCo Rai International (dal 2011 Rai World, trasmette i canali Rai all’estero) per le comunicazioni strategiche della Nato. Dal 1 luglio al 31 dicembre di quello stesso anno (d.l.6 luglio 2010 n.102 convertito in legge n.126 del 3 agosto 2010) sono stati inoltre destinati altri 18.700.000 euro per il già citato fondo.
Tra gli altri assegni staccati dalla cooperazione italo-afghana – regolata dal Memorandum d’Intesa firmato il 12 aprile 2011 – ci sono gli oltre 110 milioni stanziati dal 2003 per la strada che collega, in direzione est-ovest, Maidan Shar (nella provincia di Wardak, vicino Kabul) e Bamiyan, nell’omonima provincia una volta sede dei Buddha. Strada che al 2011 era stata asfaltata solo al 20%. Evidentemente costruire strade nel deserto – leggasi alla voce: Garoe-Bosaso in Somalia appaltata alla società Impregilo S.p.A, dove sarebbero stati seppelliti rifiuti tossici – deve essere un marchio di fabbrica della nostra cooperazione.
Nonostante questo, dice Giuseppe Badagliacca, Consigliere di Legazione e Vice Capo dell’Unità per l’Afghanistan e dimensione regionale che abbiamo contattato per avere maggiori informazioni: «l’Italia ha conseguito risultati apprezzabili, considerati dalle stesse Autorità afgane come una “best pratice”, e orientati al decollo dello sviluppo privato» soprattutto «nel comparto marmo-lapideo, protagonista di una delle poche storie di successo del settore privato afghano, dove sono stati conclusi significativi contratti di fornitura di macchinari e acquisto di materiale grezzo tra aziende italiane e locali». Marmo, settore agroalimentare e tessile «gli ambiti dell’economia afgana che al momento offrono maggiori opportunità».
Il progetto in cui l’Italia è più impegnata è però il “Programma Giustizia”, oltre 81 milioni di euro dal 2002 al 2010 per ricostruire il sistema giudiziario afghano attraverso la costruzione di tribunali, aule universitarie e carceri nonché la stesura e la revisione dei testi normativi. In questo progetto lavoravano anche Iendi Iannelli e Stefano Siringo, cooperanti uccisi nel 2006 mentre indagavano – come vedremo ampiamente nei prossimi giorni – sulla sparizione dei soldi della cooperazione italo-afghana, aggiungendo un’altra inquietante somiglianza con la Somalia degli anni Novanta.
Oppio e aiuti: i due pilastri dell’Afghanistan liberato. Insieme all’aumento della produzione di oppio, il secondo più importante risultato ottenuto dalle forze occidentali è quello di aver legato la vita del Paese agli aiuti stranieri, che costituiscono l’80% del Prodotto interno lordo (25% il valore della corruzione secondo un rapporto dell’Onu del 2010). Uno dei tanti motivi per i quali il 2014 sarà un “ritiro” solo fittizio. Rimanere, infatti, conviene a loro – evidentemente – e conviene all’Occidente, perché la cooperazione significa contratti firmati e da firmare, affari e business per le aziende nazionali. L’ideale per un momento di crisi come questo dove, come da più parti denunciato, l’economia legale si basa sempre più sui proventi dei traffici illeciti, droga compresa.
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