Le elezioni presidenziali in Afghanistan
Internazionale – 4.2.2014
È cominciata il 2 febbraio la campagna elettorale per le presidenziali che dovrebbero svolgersi il 5 aprile. Alla terza consultazione dall’invasione statunitense del 2001 non potrà partecipare il presidente in carica dal 2004, Hamid Karzai, che ha raggiunto il limite di due mandati imposto dalla costituzione.
Si tratterà quindi della prima transizione di potere democratica della storia del paese, nota il Guardian, secondo cui Karzai non ha alcuna intenzione di ritirarsi a vita privata e cercherà di mantenere comunque la sua influenza sulla politica nazionale. Ma la preoccupazione principale del presidente sarà quella di non seguire la sorte dei suoi predecessori: sei dei sette leader saliti al potere dopo la deposizione dell’ultimo re Mohammad Zahir Shah sono morti assassinati.
Secondo Npr alcuni osservatori temono che Karzai possa approfittare della probabile ondata di attacchi da parte dei taliban a ridosso del voto per dichiarare lo stato di emergenza e rimandare le elezioni a data da destinarsi, rimanendo così al potere. Ma più probabilmente cercherà di influenzare il risultato per assicurarsi la vittoria di un suo alleato, impresa non facile dato che ci sono undici candidati e al momento nessuno appare favorito. Ecco i principali:
Abdullah Abdullah. Nato nel 1960, è un ex oftalmologo e leader della resistenza antisovietica negli anni ottanta. È stato ministro degli esteri nel primo governo Karzai, ma si è dimesso nel 2005 e alle elezioni del 2009 è stato il principale avversario del presidente, arrivando al ballottaggio per poi ritirarsi in protesta contro le frodi. È l’unico dei principali candidati che non fa parte dell’etnia pashtun, la più grande del paese, e ha la sua base elettorale nel nord del paese grazie alle sue origini tagiche e agli stretti rapporti con il signore della guerra locale Ahmad Shah Massud, ucciso dai taliban nel 2001.
Ashraf Ghani Ahmadzai. Nato nel 1949, è stato ministro degli esteri e funzionario della Banca mondiale. Nel 2009 ha preso solo il tre per cento dei voti, ma questa volta si è alleato con il signore della guerra pashtun Abdul Rashid Dostum. Questo gli garantisce una solida base territoriale ma gli ha anche attirato le critiche dei riformisti, dato che Dostum è accusato di crimini di guerra come aver fatto morire soffocati decine di prigionieri taliban.
Zalmai Rassul. Nato nel 1942, è stato ministro degli esteri ed è un lontano parente dell’ultimo re Mohammad Zahir Shah. È considerato il candidato preferito di Karzai, di cui è stato uno stretto collaboratore durante l’esilio. È anche ritenuto il meno corrotto dei candidati, ma la sua immagine moderna e occidentalizzata potrebbe non convincere gli elettori più tradizionalisti.
Abdul Rasul Sayyaf. Nato nel 1946, è famoso per aver invitato Osama Bin Laden in Afghanistan dopo la sua espulsione dal Sudan e per aver dato il nome al gruppo islamista filippino Abu Sayyaf. Secondo le autorità statunitensi è stato anche il mentore dell’ideatore degli attacchi dell’11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed. È un islamista radicale che si oppone all’estensione dei diritti delle donne e ha fatto approvare un’amnistia per i crimini commessi durante la guerra civile. È alleato con il signore della guerra e governatore di Herat, Ismail Khan.
Qayum Karzai. Nato nel 1957, è il fratello maggiore del presidente ed è l’unico membro della famiglia a potersi candidare dopo l’uccisione di Ahmad Wali e lo scandalo della Kabul Bank che ha coinvolto Mahmoud. Ma la sua popolarità è piuttosto bassa, dato che ha vissuto negli Stati Uniti fino al 2001 ed è stato costretto a dimettersi da deputato per non aver quasi mai messo piede in parlamento.
Gul Agha Sherzai. Nato nel 1955, è stato il signore della guerra di Kandahar, che ha riconquistato dai taliban nel 2001, per poi spostarsi nella provincia di Nangarhar nel 2005. È in buoni rapporti con gli Stati Uniti ma è stato recentemente accusato di corruzione.
Il favorito al primo turno al momento sembra essere Abdullah ma, se non riuscirà a raggiungere il cinquanta per cento, Karzai e gli elettori pashtun si raccoglierebbero attorno al suo sfidante al ballottaggio, che potrebbe essere Ghani o Rassul.
L’eventuale secondo turno è previsto a maggio, quando scade il mandato di Karzai. Dato che il processo sarà ulteriormente complicato dai ricorsi contro le frodi e dal probabile riconteggio dei voti, il nuovo presidente potrebbe non essere nominato prima di agosto.
La corruzione e le irregolarità che hanno caratterizzato le precedenti elezioni sembrano destinate a ripetersi. Gli elettori sono 12 milioni su una popolazione di 30 milioni, ma i documenti elettorali in circolazione sono oltre 20 milioni e si possono acquistare ovunque. Inoltre per rispetto delle tradizioni locali i documenti delle donne non hanno foto, rendendo molto difficile impedire che votino più volte.
La partecipazione, che nel 2009 è stata probabilmente inferiore al 35 per cento, potrebbe essere scoraggiata anche quest’anno dalla minaccia di attacchi contro i seggi da parte dei taliban. Il primo febbraio, alla vigilia del lancio della campagna, due membri dello staff elettorale di Abdullah sono stati uccisi a Herat.
Il ritiro degli Stati Uniti
Alle preoccupazioni per la sicurezza in Afghanistan contribuisce anche il mancato accordo tra Kabul e Washington sull’Accordo strategico bilaterale (Bsa) che dovrebbe garantire la permanenza di un numero limitato di truppe statunitensi dopo il ritiro delle forze di occupazione previsto per la fine del 2014. Il 25 gennaio Karzai ha rifiutato di firmare il Bsa, pretendendo la fine delle operazioni militari nei villaggi e degli attacchi con i droni, e secondo Al Jazeera molti diplomatici cominciano a temere che non tornerà sui suoi passi.
Il congresso statunitense ha già votato il dimezzamento degli aiuti finanziari all’Afghanistan, e senza il contributo degli addestratori e delle forze speciali americane difficilmente l’esercito afgano potrà tenere testa ai taliban, i cui attacchi non accennano a diminuire. Karzai ha condizionato l’approvazione del Bsa al rilancio delle trattative con gli insorti, e secondo alcuni vuole passare alla storia come il presidente che ha inaugurato il processo di pace. Ma l’esempio del vicino Pakistan, dove i negoziati tra il governo e i taliban locali rischiano di essere abbandonati ancora prima di cominciare, non è certo di buon auspicio.
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