Presidenziali afghane, il giro di giostra su Tolo tv
Dal blog di Enrico Campofreda – 5 febbraio 2014
Il balletto del Bsa – Proprio nella fase in cui la grande macchina del ritiro veniva avviata. Poiché il Bsa prevede una presenza di lunga durata d’un certo tipo di armamenti, basi, incursori e istruttori la doppia mossa della leadership afghana ha irritato non poco la Casa Bianca. Che ha iniziato a stringere la borsa per prestiti in corso, minacciando gli affari futuri. Poiché questi sono reciproci, pur divisi fra un campo economico e geostrategico nel quale interagiscono gli Usa e quello affaristico di cui s’avvantaggeranno i locali signori del business, tutto dovrebbe rientrare nei ranghi.
L’uscita di Karzai serve a riparare se stesso e il suo gruppo familiare, che continueranno a essere presenti nell’affarismo politico, pur fuori della carica presidenziale (a Qayum vengono attribuite poche chance di successo), dalla responsabilità d’una firma scottante che probabilmente competerà al Capo di Stato uscito dalle urne del 5 aprile. Sottolineando l’importanza del Bsa Ghani e Rassoul hanno rispettivamente chiesto: una reciproca elasticità fra i contraenti e l’attenzione primaria sul clima di pace senza il quale il Paese non potrà rilanciarsi.
Talebani buoni e cattivi – Nel dibattito d’apertura Adbullah pur richiamando, come del resto i rivali, il tema della sicurezza non ha calcato la mano sull’uccisione di due suoi collaboratori avvenuta di recente a Herat. L’apertura ai Taliban è opinione diffusa fra i cinque che hanno, però, tutti condannato i mai cessati attacchi jihadisti. Com’è noto questi non escludono Kabul, anzi i più spettacolari si sviluppano proprio nella capitale con fini esplicitamente propagandistici. Così la galassia talebana – quella buona, quella cattiva, quella possibilista al dialogo – continua a influenzare il confronto-scontro anche in sede istituzionale.
Un po’ più degli altri s’è esposto Rassoul che ha escluso il confronto con chi brucia scuole e moschee, e ha direttamente parlato di lotta totale fino all’eliminazione di questo nemico. Certo nelle due ore di dibattito televisivo nessun pretendente alla massima carica afghana ha fatto cenno a qualcuno dei temi trattati dal recente rapporto 2013 di Human Rights Watch, incentrato sul dolorosissimo aumento delle vittime civili: più 23% rispetto all’anno precedente. E quando non giunge la morte, l’oppressione passa attraverso violenze, sevizie, stupri e ulteriori atrocità.
Impunità garantita – Tutte certificate. Tutte inevase. Perché i colpevoli non si trovano e se si catturano vengono rilasciati tramite la strutturata catena delle protezioni di cui godono, blindata da Warlords e faccendieri. A dimostrazione di come lo sbandierato e costoso piano giustizia, di cui dal 2007 s’è fatta bella la “missione di pace” italiana, si sia rivelato un’operazione di facciata che non trova un’applicazione nella punizione dei colpevoli e di una prevenzione del crimine.
La medesima impunità che infesta la vita politica e amministrativa dell’apparato sia statale sia privato, che ha dato vita agli scandali della Kabul Bank. Il trio incravattato che intratteneva i telespettatori e futuri elettori ha alle spalle incarichi di governo (Abdullah e Wardak sono stati ministri, Rassoul appartiene alla tipologia dei boiardi di Stato), mentre Ghani sotto gli abiti etnici cela il sentimento del manager imperialista rodato nella Banca Mondiale. Mentre Qayum rappresenta l’ennesimo epigono degli affari di famiglia. È vero che i restanti candidati si chiamano Sayyaf, Sherzai, Hilai, gente che fa parlare i kalashnikov, ma lo show del quintetto televisivo non è riuscito a celare contorni predatori. Altrettanto inquietanti.
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