Rapporto annuale di Human Rights Watch sull’Afghanistan – 2014
HRW, gennaio 2014
Per tutto il 2013 sono continuate le operazioni per il completo ritiro delle forze internazionali di combattimento da completarsi entro la fine del 2014: interi distaccamenti sono già partiti e diverse truppe sono state tenute inattive nelle basi militari, mentre si stavano facendo le necessarie manovre per organizzare gli spostamenti di armi e attrezzature fuori del paese.
L’esercito afgano e la polizia hanno cercato di avanzare nell’assunzione del comando delle operazioni di contrasto ai Talebani e agli altri gruppi armati, con risultati alterni.
Rimangono dubbi sull’effettiva capacità delle forze di sicurezza afgane di controllare il territorio, anche senza considerare le aree totalmente in mano ai signori della guerra, e resta alta la preoccupazione per la sicurezza della maggior parte della popolazione.
Nei primi sei mesi del 2013 l’ONU ha registrato un incremento del 23% di morti civili rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: la maggior parte di queste morti sono state causate da gruppi armati, tra i quali i Talebani, che prendono di mira esplicitamente i civili che essi sospettano collaborare con il governo.
Le preoccupazioni per la sicurezza aumentano quando si considera che metà dei 7.000 seggi previsti per le elezioni presidenziali del 2014 sono già stati soggetti a gravi minacce.
L’anno passato è stato segnato da costante instabilità e il rispetto per i diritti umani è in continua diminuzione tutto il paese. Ne sono prova gli attacchi ai diritti delle donne, i crescenti fenomeni di sfollamento e migrazione interna al paese, e la crescente debolezza dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission (AIHRC).
Gli abusi delle forze di sicurezza governativa e dei gruppi armati sono quasi sempre restati impuniti. Questi fatti gettano gravi ombre sulla possibilità che le prossime elezioni presidenziali si svolgano correttamente.
I diritti delle donne
Con il calare dell’interesse internazionale verso l’Afghanistan, gli avversari dei diritti delle donne hanno colto l’occasione per iniziare a cancellare i progressi fatti dalla fine del regime talebano. In maggio, un dibattito in parlamento sull’importante Legge sull’eliminazione della violenza contro le donne (EVAW Law), approvata per decreto presidenziale nel 2009, è stato sospeso dopo 15 minuti a causa delle pressioni di numerosi giuristi parlamentari che chiedevano l’abrogazione della legge e protestavano contro la protezione legale prevista per donne e ragazze. La legge EVAW rimane in vigore, ma raramente viene fatta rispettare.
Il dibattito sulla legge EVAW ha visto gravi tentativi di ritorno al passato, tra cui
- un appello di Abdul Rahman Hotak, il nuovo commissario dell’AIHRC, per l’abrogazione della EVAW Law;
- la decisione del parlamento di ridurre il 25% dei seggi parlamentari riservati alle donne nei 34 consigli provinciali;
- la revisione da parte del Ministro della Giustizia del nuovo codice di procedura penale, con l’aggiunta di una clausola che proibisce ai membri di una stessa famiglia di testimoniare in tribunale nei casi penali, il che rende estremamente difficile perseguire la violenza domestica e i matrimoni infantili e forzati, e il successivo passaggio della legge alla camera bassa del parlamento;
- la scarcerazione dopo solo un anno di prigione dei suoceri di Sahar Gul, la tredicenne data in sposa a loro figlio, che loro hanno torturato e tenuta senza cibo per mesi. I suoceri erano inizialmente stati condannati a 10 anni di prigione;
- una serie di attacchi fisici contro donne impegnate nella vita politica e sociale per tutto il 2013, che ha costantemente tenuto nel terrore le attiviste e le donne con ruoli pubblici, tra cui:
- il 5 luglio: l’ex parlamentare Noor Zia Atmar ha ammesso che doveva vivere in un rifugio per donne maltrattate in seguito alle aggressioni subite da suo marito. In seguito ha affermato che sta cercando asilo all’estero.
- il 7 agosto: degli sconosciuti hanno sparato contro Rooh Gul, una deputata della camera bassa del parlamento, mentre era in viaggio nella provincia di Ghazni. La donna e il marito sono scampati all’attentato, ma la figlia di otto anni e l’autista sono rimasti uccisi.
- il 4 settembre: un gruppo di criminali, che si è poi proclamato frangia talebana, ha rapito Sushmita Banerjee, una donna indiana sposata a un operatore sanitario afgano, prelevandola dalla sua casa nella provincia di Paktika, l’ha uccisa crivellandola di colpi e ha poi interrato il suo corpo fuori da una scuola religiosa;
- il 16 settembre: il luogotenente Nigara, che ricopriva il più alto grado della polizia per una donna nella provincia di Helmand, è stata uccisa con colpi di arma da fuoco mentre si recava al lavoro, meno di tre mesi dopo l’assassinio del luogotenente Islam Bibi, la donna che l’aveva preceduta nella stessa posizione, il 3 luglio.
La transizione e la sicurezza
Il declino generalizzato di interesse per l’Afghanistan da parte della comunità internazionale fa crescere negli afgani la paura per il futuro del paese. Le forze di sicurezza afgane sono subentrate in numerose posizioni lasciate vacanti dalle forze internazionali in via di ritiro. Nella “stagione dei combattimenti” 2013, ogni mese sono stati uccisi circa 400 membri delle forze di sicurezza afgane, e la percentuale di logoramento raggiunge il 50% in alcune unità.
I preparativi per le elezioni presidenziali dell’aprile 2014 sono segnati da difficoltà: la registrazione dei votanti è partita molto lentamente, la messa a punto della necessaria legislazione è in ritardo, ci sono contrasti sui membri della Commissione indipendente per le elezioni e per la Commissione per le controversie elettorali, la registrazione delle donne nelle liste elettorali è minima, e ci sono serie preoccupazioni sulla capacità delle forze di sicurezza afgane di garantire la sicurezza nei giorni delle elezioni.
Le candidature avanzate da individui responsabili di gravi violazioni di diritti umani hanno sollevato dubbi sull’efficacia dei processi di controllo e hanno peggiorato il cinismo tra i potenziali votanti.
Sfollati interni e rifugiati
Il deterioramento delle condizioni di sicurezza e le crescenti paure per il futuro hanno contribuito a spingere un numero crescente di afgani a lasciare le proprie case per spostarsi in un’altra regione del paese, o in altri paesi, o a non ritornare in patria dai loro attuali domicili all’estero. L’Alto commissariato per i rifugiati (UNHCR) ha documentato un aumento del numero degli sfollati interni di più di 106.000 unità da gennaio a giugno 2013, che ha portato il totale degli sfollati in Afghanistan a più di 583.000. La principale causa di questo fenomeno è il conflitto armate e la mancanza di sicurezza.
Aumenta anche il numero di afgani che cercano la salvezza all’estero: alcuni intraprendono pericolosi viaggi attraverso le montagne, in Iran, verso l’Europa o via mare per l’Australia. Il numero dei rifugiati all’estero che torna in Afghanistan è diminuito molto negli ultimi anni, secondo l’UNHCR. Quando arrivano nei paesi esteri, gli afgani spesso devono fronteggiare una crescente ostilità, come per esempio quella di cui fanno prova le nuove politiche draconiane in Australia, che deviano i richiedenti asilo in paesi terzi, e le proposte di alcuni governi europei, come Norvegia e Gran Bretagna, di riportare i bambini afgani non accompagnati indietro nel loro paese.
Forze di sicurezza illecite
Negli ultimi anni, il governo ha generalmente smentito le documentazioni raccolte dall’ONU e dalla Commissione Afgana Indipendente per i Diritti Umani circa le torture perpetrate dalla polizia afgana e dai servizi segreti contro i detenuti.
Tuttavia, il 10 febbraio 2013 un’inchiesta parlamentare ordinata dal presidente Karzai per fare chiarezza sulle accuse di maltrattamenti ha di fatto provato l’uso generalizzato della tortura. Il 16 febbraio Karzai ha dato seguito all’inchiesta con un decreto che prevede severe misure anti-tortura, inclusa l’incriminazione dei pubblici ufficiali che si siano macchiati del delitto. Nel mese di settembre, Karzai ha emesso un ordine per creare un nuovo comitato parlamentare incaricato di investigare sulle condizioni dei detenuti. Tuttavia, fino al momento di questo report, non si ha notizia di alcun procedimento legale contro colpevoli di tortura né si hanno prove che i provvedimenti di Karzai abbiamo sostanzialmente ridotto la tortura o i maltrattamenti contro i detenuti.
Continuano ad essere un serio problema anche gli abusi della Polizia Locale Afgana (ALP), una rete di forze armate locali messa in piedi in gran parte dall’esercito USA in collaborazione con il governo afgano. Istituita per operare in aree in cui la presenza della polizia o dell’esercito afgano è limitata, l’ALP è stata segnata fin dall’inizio da problemi strutturali, come lo scarso controllo sulle reclute, una debole catena di comando e di strutture di controllo, e la mancanza di sistemi per fare rendere conto i comandanti delle proprie azioni.
Questo problema persiste, così come persistono le accuse contro l’ALP di avere preso parte ad assassinii, stupri, saccheggi, estorsioni, e di fare uso di bambini soldato.
Gli attivisti per i diritti umani e la giustizia transizionale
Sebbene sia generalmente riconosciuta come un’istituzione efficace nella lotta per i diritti umani, la Commissione governativa per i Diritti Umani – AIHRC – è stata sospesa come in un limbo da dicembre 2011 a giugno 2013, a causa della vacanza del ruolo di commissario, che il presidente Karzai non ha nominato per un anno e mezzo.
Tuttavia, dopo che i donatori internazionali hanno dato un ultimatum per fare ricoprire la posizione a un uomo degno, nella conferenza di Tokyo del 2012, nella quale i donatori hanno promesso 16 miliardi di dollari in aiuti per lo sviluppo in cambio di vari impegni del governo afgano tra cui quello per i diritti umani, Karzai ha fatto tutte le nomine che necessitavano entro giugno 2013, ma senza avere consultato la società civile come invece viene previsto dai Principi di Parigi sulle commissioni nazionali sui diritti umani.
La maggior parte dei cinque nuovi membri dell’AIHRC non avevano quasi alcuna esperienza nel campo dei diritti umani o addirittura avevano espresso apertamente la loro avversione al concetto di diritti umani universali.
Dopo essere stato nominato membro dell’AIHRC, Abdul Rahman Hotak, ex membro del governo talebano, ha apertamente criticato la legge EVAW. In giugno, l’alto commissario per i diritti umani dell’ONU ha preso posizione, con un gesto non usuale: ha espresso “serie preoccupazioni” circa le nomine e ha chiesto al governo afgano di “riconsiderare le nomine recenti e riaprire il processo di selezione”.
Uno dei lavori più apprezzabili compiuti dell’AIHRC negli ultimi anni è stata la realizzazione di una ricerca di 800 pagine sui crimini contro l’umanità commessi dall’epoca comunista ad oggi in Afghanistan. Completata nel dicembre 2011, la ricerca costituisce un’importante base da cui partire per portare in giudizio coloro che sono responsabili dei crimini del passato. Tuttavia, a tutt’oggi non si conosce la data prevista per la pubblicazione della ricerca. Il presidente Karzai ha sospeso la pubblicazione su pressione dei donatori internazionali statunitensi e britannici, i quali sostengono che questa ricerca potrebbe essere destabilizzante nella situazione precaria della sicurezza di questo momento, poiché molto probabilmente vi sono citati molti dei più potenti uomini politici di oggi.
Libertà di espressione e di associazione
Il diritto alla libera espressione e il diritto di associazione in partiti politici o in imprese per la comunicazione, che fu salutato come una delle conquiste più significative per i diritti umani in Afghanistan fin dal 2001, è stato progressivamente sempre più minacciato nel 2013.
Due organizzazioni di stampa tra le più credibili, il NAI e l’Afghanistan Journalists’
Safety Committee, hanno compilato statistiche che dimostrano come i giornalisti abbiamo dovuto fare fronte a un considerevole aumento del rischio per la loro vita durante il 2013 rispetto al 2012. Entrambe le associazioni hanno denunciato 40 aggressioni documentate a giornalisti nei primi sei mesi del 2013, contro i circa 20 attacchi dello stesso periodo nel 2012. Le aggressioni consistono in minacce, assalti armati e rapimenti.
Solleva grande preoccupazione il crescente numero di casi in cui le aggressioni sono compiute da ufficiali pubblici, compresi membri delle forze di sicurezza afgane. Si sono verificati anche casi nei quali i giornalisti attaccati si sono rivolti alle forze di sicurezza per avere aiuto, ma si sono visti negare ogni assistenza o addirittura hanno dovuto subire abusi dalle stesse forze di sicurezza.
La comunità internazionale
La stanchezza che si rileva a livello internazionale tra i paesi che hanno mandato soldati o che hanno devoluto significative somme di denaro dopo il 2001 – in particolare gli USA, che hanno dato il contributo maggiore sia in termini di presenza militare sia in termini di denaro elargito – ha avuto risvolti negativi nel campo dei diritti umani nel 2013, riducendo le pressioni politiche sul governo per il rispetto dei diritti umani, specialmente quelli delle donne.
Mentre molti paesi promettono di continuare a mandare aiuti all’Afghanistan, l’impegno politico sta scemando e gli USA si stanno ritirando dalla maggior parte delle forme di assistenza tecnico-politica. Che l’impegno politico in Afghanistan stia finendo è chiaramente percepibile nelle discussioni tra diplomatici e dai tagli agli aiuti internazionali, che stanno già avendo come effetto la chiusura di scuole e di ospedali.
Il completamento del ritiro delle truppe internazionali, previsto entro la fine del 2014, accelererà ulteriormente la fine dell’impegno politico. Gli attriti tra i governi afgano e statunitense, come sul caso dell’apertura di un ufficio di rappresentanza politica talebana a Doha, in Qatar, hanno ritardato l’atteso Accordo bilaterale sulla sicurezza (Bilateral Security Agreement, BSA), che dovrebbe porre le basi per il sostegno degli USA alla sicurezza afgana dopo il 2014. Anche altri importanti accordi simili con governi stranieri dipenderanno dalle risoluzioni del BSA.
Questi ritardi non fanno che aumentare il senso di incertezza e instabilità in Afghanistan. Nell’aprile 2013, il presidente Karzai ha ammesso che la CIA ha riversato nel suo ufficio di Kabul un mare di denaro, in totale decine di milioni di dollari, per più di dieci anni. Queste affermazioni hanno portato il più alto membro del Comitato per gli affari esteri del senato USA a sospendere temporaneamente alcune programmi di aiuto per fare chiarezza.
L’Afghanistan resta sotto inchiesta per la Corte Criminale Internazionale dell’Aia, che dal 2007 sta indagando su supposti gravi crimini internazionali, tra cui torture, reclutamento forzato di bambini soldato, attentanti contro obiettivi umanitari e contro l’ONU e attacchi a scuole.
Traduzione a cura del CISDA
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