Afghanistan, altro che ritiro: 10mila marine restano nel 2015
Giuliano Battiston – 25 marzo 2015 – Il Manifesto
Obama ci ha ripensato. «Circa diecimila soldati americani rimarranno in Afghanistan per tutto il 2015». È quanto annunciato ieri dal presidente degli Stati Uniti nella conferenza stampa alla Casa Bianca con l’omologo afghano, Ashraf Ghani da alcuni giorni negli Stati Uniti per la sua prima visita da quando si è insediato, il 29 settembre scorso. Ad accompagnarlo c’è il quasi «premier» Abdullah Abdullah, con cui condivide la leadership di un governo di unità nazionale.
Nei giorni scorsi i due hanno incontrato i più alti esponenti dell’amministrazione Obama: il segretario di Stato John Kerry, il segretario alla Difesa Ashton Carter, il segretario al Tesoro, il capo della Cia, i funzionari del Dipartimento di Stato. In primo luogo per battere cassa.
E Carter ha promesso infatti che chiederà al Congresso i soldi necessari per mantenere i 350.000 membri delle forze di sicurezza afghane fino al 2017.
Ma gli incontri servono anche a ristabilire e mostrare pubblicamente un clima di reciproca fiducia. Sin dal primo giorno dal suo insediamento, Ghani ha cercato di rimediare agli strappi del suo predecessore, Hamid Karzai, che ha chiuso la presidenza sparando a zero sull’alleato americano. Non a caso, uno dei primi atti di Ghani è stata la firma del trattato bilaterale di sicurezza con gli Stati Uniti, la cornice giuridica da cui dipende la presenza delle truppe americane in Afghanistan.
E proprio di truppe si è parlato ieri, nell’incontro che Obama ha avuto alla Casa bianca con Ghani e Abdullah. Nella successiva conferenza stampa, è arrivata la comunicazione ufficiale del ripensamento di Obama. «Circa 10.000 soldati rimarranno per tutto il 2015». Un bel cambio di marcia, rispetto a quanto annunciato nel celebre discorso del 27 maggio 2014, quando il presidente Usa aveva dato tempi e numeri precisi del ritiro: 9.800 truppe americane alla fine del 2014, ridotte a 5.000 entro la fine del 2015, per arrivare a una presenza minima, per tutelare l’ambasciata, alla fine del 2016. In meno di un anno, la decisione di raddoppiare il numero dei soldi a stelle e strisce per il 2015.
La notizia non sorprende del tutto. Da settimane infatti il presidente afghano rilascia interviste in cui chiede maggiore «flessibilità» nel ritiro degli americani: un modo per far apparire il cambio di marcia di Obama come un benevolo cedimento alle richieste degli afghani.
La verità è che gli Stati Uniti hanno paura: sanno che l’Afghanistan è ancora un paese in guerra, e che le timide aperture dei Talebani nei colloqui di pace non sono soltanto molto lontane dal garantire un cessate il fuoco, ma potrebbero rivelarsi perfino controproducenti.
Quanto più i Talebani si mostrano inclini al dialogo con il governo di Kabul, tante più probabili sono le spaccature interne alla variegata galassia dei barbuti. E mentre Ghani enfatizza il pericolo dello Stato islamico in Afghanistan, gli studenti coranici continuano a colpire: ieri sono state uccise 13 persone che viaggiavano su un bus, nella provincia di Wardak.
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