Danni collaterali afghani: bersaglio sanitario
Enrico Campofreda – 3 ottobre 2015 – dal suo Blog
Continuano a chiamarli “danni collaterali” e continuano a farne a centinaia e migliaia. Ma quei danni hanno nomi come Mohammed, Ali, Noor, Pari. Uomini e donne, ragazzi e ragazze. Bambini. Dai settant’anni (chi li supera fra gli afghani rappresenta un’eccezione) a chi di anni ne ha appena uno o pochi mesi.
Muoiono sotto le bombe, ma per i generali del North Atlantic Treaty Organisation, i liberatori, i poliziotti del mondo “l’inciampo” come quello che fa bombardare dai propri caccia un ospedale di Medecins sans frontières a Kunduz, nell’area settentrionale d’un Paese soggetto da quattordici anni alle proprie attenzioni, è un’inezia. Cosa sono nove morti, fra i civili, anzi fra civili già feriti e lì ricoverati, di fronte a una missione di sicurezza geopolitica?
I media devono tralasciare certe notizie, quelli amici o embedded non le considerano importanti. Infatti negli ultimi tre anni, seguendo la linea del presidente Obama hanno parlato esclusivamente di exit strategy e di riduzione del numero dei militari. Non si cita affatto alcuna riduzione di simili “danni collaterali”, cioè dell’uccisione di gente comune, che seguita a sopravvivere e morire sotto le bombe delle fazioni in lotta. Come e più di trent’anni or sono.
Le tragiche cronache locali da giorni riferiscono della prova di forza talebana sull’importante snodo viario del nord Afghanistan, delle difficoltà di risposta dell’esercito di Ghani, dell’indispensabile intervento di terra e aria dei militari Nato per riprendersi qualche centinaio di metri quadrati in centro città e non dare la sensazione di diffusa impotenza. Della propaganda forzosa con cui Tolo tv e altre fonti divulgavano note non veritiere sul “completo controllo della città da parte dell’Afghan National Army”, mentre i talebani tengono tuttora sotto tiro zone periferiche di Kunduz, due dei tre accessi da cui erano entrati in città lunedì scorso e impediscono l’utilizzo dell’aeroporto.
Si son viste anche immagini di guerriglieri alla guida di ambulanze, probabilmente per il trasporto di propri feriti. Perciò la mezz’ora di ferro, fuoco ed esplosivo – sì, trenta minuti trenta – con cui la Nato ha colpito e devastato l’ospedale in questione potrebbe rappresentare una punizione verso quei medici che ovviamente soccorrono ogni vittima di conflitti a fuoco, talebani compresi. E’ già successo a MSF, com’è accaduto a Emergency e Gino Strada ha pubblicamente rivendicato quella pratica.
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