Dal Blog di Enrico Campofreda – 28 ottobre 2015
Non ha età la voglia di vita. E non teme distanze e disagi. Bibihal, centocinque primavere – per lei è proprio il caso di dirlo – ha percorso coi familiari prima i quattromila seicento chilometri che l’hanno condotta dall’afghana Kunduz (la città invasa dai talebani e bombardata dagli americani un mese fa) sino a Istanbul.
Quindi più di mille per approdare alla frontiera serbo-croata. E non bastano, perché il traguardo che la famiglia Uzbeki si pone è la Svezia, perciò il cammino sarà ancora lungo. L’indomabile nonnina ammette d’aver avuto male alle gambe, d’essere caduta e avere qualche ferita, ma nel complesso di star bene e sentirsi liberata dall’incubo della guerra.
In tanti tratti, per via, il nipote diciannovenne, novello Enea, se l’è caricata sulle spalle.
Comunque il percorso più defatigante è compiuto e la famiglia spera di non rivedere i caccia statunitensi volare e sganciare bombe. Tutto il gruppo che, come altri afghani, ha conosciuto lutti sogna solo un’esistenza serena, lontano dal conflitto infinito che mantiene prigioniera la propria terra
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