Torture afghane, gli uomini neri di Karzai.
dal blog di Enrico Campofreda – 5 marzo 2015
Ci son volute 125 interviste di Human Rights Watch per confermare quello che strutture democratiche afghane, come la Social Association Afghan Justice Seeks, denunciano da un decennio: nel Paese uccisioni, torture, terrore proseguono come ai tempi della guerra civile sotto lo sguardo assente, e spesso complice, del governo.
La chiamata di correo per l’ex presidente Karzai, introdotto assieme all’Enduring Freedom da Pentagono e Casa Bianca, è totale. Diversi degli otto “uomini forti” dell’apparato afghano (Shujoyi, Timur, Karwan, Noor, Kapisa, Alam, Khalid, Razziq) denunciati dalle cento pagine di rapporto, erano suoi uomini.
Voluti e incaricati per la politica sporca e sanguinolenta, su cui il capo della Cia Panetta e il presidente statunitense Obama annuivano. Nelle testimonianze rese, non senza timore, da parte di superstiti e familiari delle vittime ce n’è per ciascuno degli otto.
Ma i curricula di Asadullah Khakid, Abdul Razziq, Atta Mohammad Noor superano ampiamente quelli dei compari. Khalid è un politico della provincia Ghazni, aderente al partito Ittihad, gli islamici fondamentalisti di uno dei più coriacei signori della guerra: Rasul Sayyaf, che un anno fa correva per la presidenza. Khalid, dopo aver lavorato per il National Directorate of Security (motivo per cui subì un primo attentato nel 2007), dopo essere stato ministro degli affari tribali, è assurto alla direzione dell’Intelligence interna, beneficiandone del potere e della prossimità coi consiglieri della Cia.
Per questo la componente talebana più intransigente gliel’ha giurata e nel 2011 e 2012 ha cercato di ucciderlo con altri agguati, tutti falliti. Il rapporto si dilunga sui trattamenti che gli agenti del NDS riservano anche ai semplici sospettati di prossimità al fronte talebano, sospettati unilateralmente e pescati fra la popolazione civile. Come e più di lui in fatto di macabri dettagli, che descrivono anche le tipologie delle violenze sui prigionieri, è l’attuale capo della polizia Abdul Razziq.
Dietro la faccia di eterno ragazzo cela una sorta di adorazione per la brutalità. E’ accusato del rapimento e dell’uccisione di sedici persone come vendetta per l’assassinio di suo fratello. Lui si giustifica sostenendo che quelle morti avvennero a seguito d’un agguato anti talebano, ma è smentito da testimoni e da parenti di alcune vittime.
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