Gli interessi della Cina in Afghanistan che tagliano fuori gli Stati Uniti.
Gli occhi della guerra – Lorenzo Vita, 13 ottobre 2017
Quando si parla di Afghanistan, di solito si tralascia uno degli attori fondamentali dell’Asia: la Cina. Abituati a leggere le notizie sulle truppe occidentali nel Paese, sui rischi del terrorismo islamico, i talebani e gli attori esterni nel grande gioco afghano, Pechino viene sempre tralasciata, come se fosse estranea a tutto ciò che avviene all’interno del Paese.
In realtà, è bene ricordarlo, la Cina non solo ha enormi interessi nell’Afghanistan, ma ci confina anche. Un piccolo lembo dell’Afghanistan, corrispondente al corridoio del Vacan, confina con il colosso cinese. E questo confine terrestre, di poche decine di chilometri in totale, rende, di fatto, i due Paesi molto più connessi di quanto si possa credere o di quanto si possa leggere quotidianamente. Questa connessione, soprattutto negli ultimi mesi (forse anni) si sta facendo estremamente rilevante. E può avere un peso specifico molto importante non soltanto sullo stesso conflitto che insanguina l’Afghanistan da ormai 16 anni, ma anche su tutta la struttura geopolitica dell’Asia centrale.
Le ultime mosse cinesi, in particolare dal 2015, dimostrano un costante interesse per l’Afghanistan. Un dato su tutti basta a fugare ogni dubbio su come e quanto Pechino abbia a cuore il problema: l’80% dei diritti estrattivi delle risorse minerarie afghane è in mano alla Cina. Già solo questo basta a far comprendere l’importanza del Paese per gli interessi cinesi. In un momento di crescita costante del gigante asiatico, la richiesta di metalli è molto importante. La Cina sta convertendo la sua industria e necessita di molte materie prime di cui Kabul è ricca. Parliamo soprattutto di rame, metalli rari e di elementi utili a tantissime componenti elettriche. Basti pensare soltanto al litio, di cui sembra che l’Afghanistan sia in possesso del più grande giacimento al mondo. Fatto tra l’altro ben noto anche al Pentagono che ha definito già nel 2007, l’Afghanistan proprio come “l’Arabia Saudita del litio”.
All’importanza dell’Afghanistan come Paese di estrazione di minerali, si aggiunge poi l’interesse della Cina alla stabilità dell’area per la messa in sicurezza dell’iniziativa della Nuova Via della Seta. Per estendere la propria proiezione d’interessi a occidente, la Cina, anche solo geograficamente, ha bisogno di stabilità in Afghanistan e in Pakistan. I due Paesi, che non possono essere presi singolarmente quando si parla di conflitti etnici e religiosi nella regione, sono fondamentali per aprire le rotte verso ovest e per raggiungere l’Iran e l’oceano Indiano. Proprio per questo motivo, già nel 2015 il governo di Pechino ha manifestato l’intenzione di creare i presupposti per una collaborazione sempre maggiore fra Islamabad e Kabul proprio al fine di mettere in sicurezza le rotte commerciali cinesi. Un esempio su tutti è stato l’invito rivolto ai talebani da parte della Cina a partecipare al Quadrilater Coordination Group, nonostante i talebani da sempre rifiutino di sedersi allo stesso tavolo con il governo di Kabul. Perché la Cina è perfettamente consapevole che, per ottenere la sicurezza dei commerci, deve dialogare con tutti: Kabul e talebani. È un calcolo di mero interesse che per Pechino è fondamentale: negare l’importanza dei talebani sul territorio sarebbe miope e minerebbe le possibilità della Cina di far giungere le proprie infrastrutture e, in sostanza, le proprie merci, nei mercati ad ovest del Paese.
A questi interessi economici, ci sono ovviamente profili di politica interna ed estera da non sottovalutare. Sul fronte interno, il problema sono, come sempre, gli uiguri. Pechino non ha mosso un solo soldato per combattere il terrorismo islamico al di fuori del proprio Paese, ma è altrettanto consapevole dei rischi che corrono nella provincia dello Xinjiang proprio a causa della costante presenza di minoranze musulmane radicali legate allo jihadismo afghano. A questo proposito, oltre al contenimento della minaccia interna, il governo cinese ha da anni avviato un rapporto di collaborazione con le forze armate afghane che si sostanzia in milioni di dollari di aiuti, rifornimenti e consulenze. Il governo cinese ha avviato l’addestramento e un progetto di finanziamento per la creazione di reparti speciali afghani nella regione del Badakhsan. E i suoi rapporti con i talebani servono anche a limitare le infiltrazioni dello jihadismo all’interno delle regioni cinesi e quelle di confine.
In tutto ciò, il grande gioco dell’Afghanistan non può includere, evidentemente, gli Stati Uniti. La presenza degli Stati Uniti in Afghanistan è, indubbiamente, una minaccia anche per la sicurezza della stessa Cina, poiché le basi militari Usa nel Paese sono praticamente al confine con il territorio cinese. A Pechino sono perfettamente consapevoli che questa presenza militare non finirà nel breve termine. E proprio per questo hanno iniziato a corrodere il potere politico Usa nella regione anche attraverso una serie di progetti verso Afghanistan e Pakistan per togliere retroterra strategico alla stessa Washington, che si sente lentamente privata di partner fondamentali. In questo senso, il crescente interesse indiano verso l’Afghanistan richiesto da Donald Trump può esser eletto anche, e soprattutto, come strumento per ledere gli interessi pakistani nel Paese (poiché Islamabad è nemico storico di Nuova Delhi) e, in via implicita, ledere gli interessi cinesi nell’area. Finora Pechino si è mossa con molta cautela e con grande equilibrio, sapendo che l’Afghanistan è un qualcosa di estremamente complesso.
Ciononostante, sta ottenendo risultati molto positivi in un contesto così difficile. I numeri, del resto, sono dalla parte della Cina. Gli Stati Uniti sono lì da sedici anni, hanno speso 900 miliardi di dollari, hanno avuto numerose vittime tra i propri soldati e non hanno, in pratica, ottenuto nulla. La Cina, senza muovere un uomo, ha ottenuto la base per conquistare il futuro del Paese. Ma per ottenerlo nella pratica dovrà fare i conti con l’instabilità. Un qualcosa che la Cina teme e che sembra voler sconfiggere attraverso gli investimenti e i negoziati con tutte le parti in causa. E sembra ci stia riuscendo: Stati Uniti permettendo.
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