Essere una donna è… molto difficile.
Milano 25/04/2018 di Giada Mariani
Ci troviamo in un mondo in cui, giorno dopo giorno, si sente di migliaia di donne uccise a causa di violenza. Vi sono alcune parti del mondo dove tali situazioni sono più gravi, l’Afghanistan è uno di questi paesi. Ci troviamo in un mondo in cui denunciare il proprio aggressore non è cosa facile; paura, terrore, sottomissione, sono tutti sentimenti che ruotano nella testa delle vittime di abusi e maltrattamenti. Ci troviamo in un mondo in cui le donne sono persone, non oggetti, e come tali dovrebbero avere gli stessi diritti degli uomini, e allora perché questa situazione continua imperterrita anno dopo anno? Oggigiorno vi sono associazioni che provano a sostenere le persone vittime di abusi, persone senza più speranze, persone che hanno paura di rientrare a casa perché potrebbero essere picchiate e violentate dai lori mariti, mariti che spesso gli è stato imposto di sposare senza amarli realmente. Queste associazioni lavorano insieme con le donne per i loro diritti, per far si che trovino la forza di denunciare il loro aggressore, ma spesso questo è compito arduo.
In un incontro a scuola abbiamo avuto l’occasione di conoscere Malalai Joya, donna afghana che da anni combatte a favore dei diritti delle donne. Le abbiamo chiesto perché avesse iniziato questa lotta, e perché la continuasse, pur essendo a conoscenza dei rischi che vi erano e vi sono tutt’ora. Ci ha risposto che è il suo paese, che sono i suoi diritti, i diritti delle sue compagne e amiche, e come tali si sente in dovere di farli rispettare. Ci ha risposto che ha paura, paura di non poter tornare a casa la sera, paura che, durante un attentato, anche qualcun altro possa morire a causa della sua presenza, ci ha raccontato che è dovuta scappare, travestirsi e nascondersi, nascondersi dietro ad un burqa, contro il quale aveva lottato fortemente.
Malalai ci racconta, inoltre, che ad averle dato la forza di combattere è stata sua mamma quando, nel momento in cui era ancora in fasce, le ha dato quel nome, nome che stava a rappresentare l’eroina nazionale del loro paese. Ma perché questa situazione continua a perpetuarsi? Perché continuiamo a sentir dire che l’Afghanistan è il paese più pericoloso al mondo per le donne? In primo luogo è la guerra che continua da più di trent’anni a non aiutare, ma ad aggiungersi a questa situazione già spiacevole e ingiusta vi è la tradizione, la cultura, la religione di quel paese. Nove donne su dieci sono obbligate a sposare uomini di cui non sono innamorate, non possono rifiutarsi perché porterebbero disonore alla famiglia e, inoltre, verrebbero perseguitate ed uccise per quella scelta.
Le donne in Afghanistan non possono andare in giro per strada da sole, devono essere sempre accompagnate da un uomo, non possono mostrare il loro corpo a persone estranee alla propria famiglia, non possono parlare se non sono interpellate…sono tutte limitazioni che vengono interiorizzate nella mente dalle donne fin da quando sono bambine, la loro nascita è spesso vista come una vergogna, sono perciò tenute a portare rispetto agli uomini, considerati esseri superiori. Incontrare Malalai per me è stato un privilegio, ho sempre sognato di poter aiutare gli altri, mi piacerebbe entrare a far parte di associazioni di volontariato una volta finita la scuola, ho sempre ammirato le persone che, come lei, si battono per i loro diritti e non stanno a guardare, attendendo che le cose cambino da sole. In una testimonianza, anni fa, Malalai disse: ”Continuerò la mia battaglia per raccontare la verità a sostegno della mia gente, contro i signori della guerra, anche se so che probabilmente, prima o poi riusciranno ad uccidermi” Con quest’ultima frase mi sento di dire che Malalai ci ha portato una testimonianza di vita vera, una testimonianza di una guerriera che, amando la sua città, decide di lottare per far si che i suoi diritti vengano affermati.
G.M., Istituto Maxwell, Milano
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