Accordi USA-Talebani? Non c’è pace senza giustizia.
3 marzo 2020, CISDA
L’accordo per il ritiro delle truppe americane e della Nato dall’Afghanistan prevede la riduzione entro 135 giorni delle forze straniere da 17.000 a 8.600 uomini e il ritiro delle forze rimanenti in entro 14 mesi, a patto che i guerriglieri mantengano “gli impegni stabiliti”.
Accade dopo 19 anni di occupazione militare americana e dopo 41 anni di guerra dall’invasione sovietica, proprio negli stessi giorni in cui è stato pubblicato il report annuale di UNAMA (Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan)[1] che documenta con 135 pagine la drammatica situazione in cui versa il paese e registra oltre 10.000 vittime civili per il sesto anno consecutivo, più di 100.000 dal 2009. A partire dal 2001, il costo umanitario è stato altissimo: le vittime sono oltre 140.000, di cui almeno 26.000 civili.
Come si legge nel rapporto, le donne soffrono effetti collaterali al conflitto, quali privazione della libertà di movimento, assenza di istruzione e assistenza sanitaria. La perdita di familiari maschi le espone a discriminazione e povertà: necessitano di protezione e assistenza, avendo perso i mezzi di sussistenza e soffrendo limitazioni di accesso ai servizi di base. La violenza sessuale domina incontrastata, generando stigmatizzazioni sociali e abusi ulteriori.
Tutto all’insegna di una radicata impunità a causa della svalutazione delle denunce. Lo sanno bene le attiviste con cui siamo in contatto con continuità da quasi venti anni, scrive Simona Cataldi su Q Code Mag[2]: Belquis Roshan, senatrice della provincia di Farah, Malalai Joya, attivista indipendente ed ex parlamentare, Selay Ghaffar, portavoce del partito laico di Hambastagi, Weeda Ahmad, fondatrice dell’Associazione sociale degli afgani che cercano giustizia (Social Association of Afghan Justice Seekers – SAAJS). Tutte conducono vite difficili, di sacrificio, e si dicono consapevoli di dover “fare per sé” e autotutelarsi.
Talebani, Daesh, Al-Qaeda, Signori della Guerra, gruppi conservatori, forze governative, attori statali e potenze occupanti: tutti stanno contribuendo al contesto di insicurezza e instabilità del paese.
Come denunciava l’attivista Malalai Joya in un’intervista rilasciata all’indipendente Enrico Campofreda nel 2017,[3] l’Occidente protegge e foraggia il fondamentalismo tuttora presente negli stessi ruoli istituzionali per giustificare la presenza delle proprie truppe. E, precisamente in quelle settimane, Gulbuddin Hekmatyar, uno dei più sanguinari signori della guerra, un tempo nella lista nera dell’Onu e ricercato assassino di migliaia di afghani, è rientrato a Kabul per presiedere, a nome del governo, i colloqui coi talebani.
Ma quelli che trattano con Washington – continua Malalai con Andrea Nicastro del Corriere della Sera a dicembre 2019[4] – sono solo una fazione. Poi c’è l’Isis, poi i talebani finanziati dai russi, quelli foraggiati dal Pakistan, dalla Cina e dall’Iran. Senza un accordo internazionale ci sarà sempre qualcuno pronto a combattere.
Le stesse tre donne coinvolte negli accordi di Doha – Faeze Safi, Leila Jafari e Mary Akrami – sono legate ai partiti fondamentalisti[5] e sono solo un’illusione di democrazia e uguaglianza.
Ancora, a novembre 2019, riferisce la giornalista Cristiana Cella,[6] sono stati liberati Haqqani e altri due talebani, tutti e tre fautori di stragi e attentati devastanti. Ma, per Ghani e Trump rilasciare tre assassini è un successo: il primo ha già intascato la sua nuova presidenza dietro nomina USA e anche il secondo se lo giocherà nelle elezioni, dopo la mossa distensiva che ha rispolverato le trattative.
Eppure, le elezioni presidenziali del 28 settembre scorso sono state per ben due volte rinviate a causa del clima di insicurezza e della relativa incertezza di affluenza. I risultati sono stati resi noti appena dieci giorni fa, dopo un’attesa di 5 mesi, e riconfermano la presidenza di Ashraf Ghani.
E con che numeri? Come scrive Andrea Nicastro quindici giorni fa,[7] le schede considerate valide sono 1,8 milioni, quelle scartate 1 milione, quelle raccolte extra elezioni 300mila. E ancora: 3 i milioni di afghani che hanno votato sui 37 abitanti del Paese, o sui 15 aventi diritto, di cui 900mila hanno scelto Ghani come presidente. Ovvero, il 6%.
L’Afghanistan di oggi è composto da chi era neonato ai tempi dell’invasione sovietica, profugo durante la guerra civile, clandestino sotto i talebani e sperava che, dopo il drammatico 11 settembre, qualcosa sarebbe cambiato. Invece, il dialogo promosso e sostenuto anche dalla comunità internazionale non è stato in alcun modo un processo condotto “dagli afghani per gli afghani”.
Senza un accordo internazionale ci sarà sempre qualcuno pronto a combattere: “la pace senza giustizia non ha significato”, ci sentiamo ripetere da anni, oggi più che mai.
[1] https://unama.unmissions.org/sites/default/files/afghanistan_protection_of_civilians_annual_report_2019_-_22_february.pdf
[2] https://www.qcodemag.it/indice/interventi/afghanistan-senza-pace-e-senza-giustizia/
[3] https://incertomondo.libreriamo.it/incertomondo/malalai-joya-difesa-dei-difensori/#.WRMIg-IobOA.facebook
[4] https://www.corriere.it/esteri/19_dicembre_14/afghan-papers-l-attivista-malalai-joya-denuncio-corruzione-anni-questo-vivo-sotto-scorta-06a7fa3a-1e86-11ea-9389-bd538526c9e7.shtml
[5] https://www.facebook.com/Selay.Ghaffar.Official/posts/2460661220864188
[6] https://www.globalist.it/world/2020/01/31/la-scuola-afgana-che-sfida-talebani-e-fondamentalisti-con-le-classi-miste-2052331.html?fbclid=IwAR1ajTdSszzzoU_UflhducCikPxXz6kUbSyPB0xU0t7hKUs9QkPPkYneeLc
[7] https://www.corriere.it/esteri/20_febbraio_19/afghanistan-nuovo-presidente-eletto-il-6percento-fallimento-cifre-59cd1e7a-5315-11ea-a666-434a0f1b693a.shtml
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