Afghanistan, non c’è pace senza giustizia per le donne
Il Manifesto – 3 marzo 2020, di Giuliana Sgrena
L’accordo Usa-Taleban. La situazione delle afghane, che hanno sostituito il burqa con l’hijab, non fa più notizia e non rientra nell’agenda dei negoziati.
L’Onu e diversi studi a livello internazionale sostengono che la presenza delle donne nei negoziati di pace per risolvere i conflitti fa la differenza, non solo per la riuscita e la qualità dell’accordo ma anche per la formazione dell’agenda delle trattative. Purtroppo il contrario di quel che accade in Afghanistan.
Le donne sono scarsamente rappresentate nei negoziati dove a prevalere è la forza dei signori della guerra. E non ci si poteva certo aspettare che alle trattative tra Usa e Taleban, in Qatar, partecipassero delle donne!
Le posizioni dei Taleban sono note, purtroppo: ma gli Usa non erano andati in Afghanistan per liberarle dal burqa? Era il 2001 e le immagini delle afghane nascoste sotto il burqa, che permetteva loro di vedere il mondo solo a quadretti, facevano il giro del mondo.
Ora, dopo quasi diciotto anni di guerra, si ricomincia da capo. Gli Usa non hanno una soluzione per uscire «vittoriosi» dall’Afghanistan e puntano sull’accordo di «pace» come scappatoia per liberarsi di un fardello diventato costoso finanziariamente e politicamente. I Taleban ufficialmente legittimati possono tornare al potere, del resto controllano già circa il 40 per cento del paese. Certo, il ritorno dei Taleban dovrà essere digerito dallo sgangherato governo finora ignorato nelle trattative, ma il potere contrattuale non è a favore di Kabul. Resta da vedere se i Taleban – come stabilito nell’accordo di Doha – saranno in grado di impedire azioni jihadiste sul territorio viste le loro divisioni interne e il supporto di una parte allo Stato islamico.
Parlare di pace quando i firmatari sono autori di crimini contro la popolazione civile e soprattutto contro le donne è arduo. Certo, la tregua si fa trattando con i nemici ma non la pace. Non c’è pace senza giustizia.
Gli Usa nel 2001 hanno biecamente strumentalizzato i diritti delle donne per intervenire militarmente. Da allora la lotta e gli sforzi per la loro emancipazione hanno incontrato molti ostacoli e ancora oggi circa due terzi delle bambine non vanno a scuola, il 70/80 per cento delle ragazze viene data in matrimonio spesso prima dei 16 anni, per non parlare delle violenze subite quotidianamente, senza la possibilità di rivolgersi alla giustizia.
Anche gli aiuti internazionali sono stati spesso vanificati a causa di un sistema corrotto. Ma ci sono anche ong afghane che hanno fatto miracoli per educare gli orfani della guerra e salvare donne dalla violenza. Ma il governo le ostacola perché l’insegnamento è laico e le donne sono ospitate in luoghi segreti per sottrarle alle minacce dei mariti. Questo non basta, ancora oggi l’Afghanistan viene considerato il peggior posto per nascere donna.
Ormai la situazione delle afghane, che hanno sostituito il burqa con l’hijab, non fa più notizia e non rientra nell’agenda dei negoziati. Non interessa agli Stati uniti governati dal presidente sessista Trump e tanto meno ai Taleban che risolveranno il problema con l’imposizione delle leggi islamiche – comprese nell’accordo – e purtroppo sappiamo di che si tratta.
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