Afghanistan, la speranza si nutre di latte.
La Rebubblica – di Giampaolo Cadalanu – 2 gennaio 2021
Economia allo stremo, corruzione imperante: ma ogni tanto emerge un’eccezione. Nella zona di Kandahar, l’azienda Milko dà lavoro agli allevatori e produce yoghurt, burro, gelati.
Nell’Afghanistan stremato da anni di guerra e dalla corruzione diffusa, l’economia è a pezzi, e conta più sulle rimesse degli espatriati che sull’attività imprenditoriale, resa quasi impossibile dalle condizioni sul terreno. L’agricoltura è a livelli rudimentali, l’industria quasi inesistente, persino l’attività estrattiva – che in potenza potrebbe costituire una risorsa fondamentale – è sviluppata in percentuale minima.
Metà della popolazione vive sotto il livello di povertà, con un tasso di disoccupazione ufficiale che sfiora il 25 per cento: questo è anche un elemento di destabilizzazione, perché i disoccupati sono spesso costretti a impegnarsi in attività illegali, a partire dal contrabbando, se non a unirsi alle file dei gruppi integralisti, dove uno stipendio essenziale è garantito.
Ma ogni tanto dalla disperazione emerge anche una storia positiva, come quella della Milko: è un’azienda che raccoglie il latte dai produttori locali e propone sul mercato burro, gelati, budini, e yoghurt. Creata nel 2011, Milko è passata da 12 mucche a 250 di proprietà e da quattro prodotti venduti a circa 30, creando centinaia di posti di lavoro nella provincia di Kandahar. L’Agence France Presse ne ha disegnato un ritratto che ne sottolinea il valore di eccezione: la Milko acquista latte da quasi 600 agricoltori, che spesso arrivano giornalmente con le taniche di latte legate alle motociclette. “Quest’azienda ci ha aiutato molto, mentre il governo non ha fatto nulla. E gli allevatori che non avevano una casa adesso ne hanno una”, dice all’agenzia Nesar Ahmad, allevatore di 35 anni.
Il proprietario dell’azienda, Ghami Mia, evita di parlare in termini politicizzati “per non mettere in pericolo gli affari”, ma ammette di essere meno infastidito dai Talebani che dal governo. “Loro prendono solo le tasse, il governo oltre alle tasse prende anche i nostri prodotti”, dice dal suo ufficio in una zona industriale di Kandahar. Khan, 21 anni, autista della Milko da sei anni, spiega meglio: più che i combattimenti, è la polizia che teme. “Mi creano problemi, mi chiedono soldi. Se non ne ho, si prendono i miei beni”.
Nonostante i pericoli e le difficoltà, Mia è convinto della sua decisione: “Voglio continuare a vivere in Afghanistan e lavorare qui. Non voglio andare a investire all’estero”. Anche facendo i conti con la mancanza di elettricità e di manodopera qualificata, o con i complicati regolamenti imposti dal governo, lui continua a espandere la sua attività. A novembre, però, l’offensiva dei Talebani lo ha costretto a interrompere la raccolta di latte nella zona di Kandahar. Lui comunque non cede: “Se la situazione continua così, saremo costretti a chiudere”. Poi però aggiunge: “Ma non possiamo. Non possiamo deludere gli agricoltori, chiudere l’attività e gettare nel nulla tutto questo impegno”.
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