I diritti delle donne afghane non devono essere la “vittima sacrificale” di un processo di pace dominato dagli uomini
Securitypraxis.eu – Huma Saeed – 14 aprile 2021
Una voce importante di una donna sulle conseguenze del ritorno dei talebani
L’Afghanistan sta affrontando un’altra fase di transizione incerta, come è incerta la sorte per la metà della popolazione, le donne. Vent’anni fa, la comunità internazionale guidata dagli USA è intervenuta militarmente in Afghanistan per rovesciare il regime talebano e cacciare i protetti di Al-Qaeda. In un discorso di potere egemonico, tale intervento è stato giustificato, in parte, dallo scopo di migliorare i diritti umani e i diritti delle donne.
Vent’anni dopo, desiderosi di mettere fine alla loro guerra più lunga, dopo essersi ostinatamente opposti alla sola idea di “parlare con i terroristi”, ora gli USA stanno facendo accordi con i talebani stessi. Il presidente Biden ha confermato la decisione di Donald Trump di ritirare le truppe, rimandando l’uscita di scena degli americani di alcuni mesi fino all’11 settembre 2021. Le donne afghane non solo sono escluse dalla partecipazione al cosiddetto processo di pace, ma ultimamente sono anche diventate l’obiettivo sistematico di una campagna di terrore. È un problema serio e preoccupante che solleva questioni riguardo le intenzioni degli USA e dei loro alleati internazionali negli ultimi due decenni, dove la retorica sulla “liberazione” ed “emancipazione” delle donne afghane ha dominato e condizionato molto il “sostegno” internazionale. Il problema dei diritti delle donne, perciò, non riguarda solamente la popolazione afghana: deve anche riguardare quei paesi le cui truppe e soldi dei contribuenti venivano destinati a proteggere e promuovere i diritti delle donne.
Negli ultimi due decenni, le vite delle donne afghane hanno visto grandi progressi, almeno de iure e nei maggiori centri urbani. Mentre sotto il dominio dei talebani (1996-2001) le ragazze erano state private dell’istruzione e le donne avevano perso l’opportunità di lavorare e spostarsi liberamente, la costituzione dell’Afghanistan del 2004, all’articolo 22 garantisce l’uguaglianza di genere per uomini e donne, e il paese è firmatario dei principali trattati internazionali per i diritti umani, tra cui la Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW). L’Afghanistan ha sostenuto in modo significativo la legge per l’Eliminazione della Violenza Contro le Donne nel 2009, e l’obiettivo dell’uguaglianza di genere è stato riaffermato in molti documenti orientativi e tabelle di marcia internazionali. Dal 2002 le donne sono presenti in ogni settore importante della società (politica, media, sport, arte e cinema). Tuttavia, le vite delle donne hanno subito anche molte limitazioni, specialmente nelle aree in cui i talebani hanno riaffermato il loro controllo. Secondo la Commissione per i diritti umani dell’Afghanistan, malgrado il picco di frequenze scolastiche delle ragazze dopo il 2002, a causa dei conflitti continui e degli attacchi sovversivi, il numero di ragazze che vanno a scuola è diminuito fortemente dal 2014.
Perché avere “i diritti delle donne a costo della pace o la pace a costo dei diritti delle donne”? Questo ci ricorda un altro falso compromesso che era stato imposto al popolo afghano durante il primo decennio del nuovo regime dopo il 2001: giustizia vs stabilità.
Nessuno che creda fermamente nei valori democratici, non di meno le donne afghane, vuole perdere questa difficile conquista. Al tempo stesso, nessuno è tanto esausto di questa guerra lunga 42 anni e desideroso di pace quanto il popolo e le donne dell’Afghanistan. Tuttavia, la domanda che molti si pongono in questo frangente critico è: quale tipo di pace e a quale prezzo? Perdere i diritti ottenuti lavorando sodo, trasformando le limitazioni in opportunità, combattendo le abitudini e tradizioni misogine consolidate, ma anche pagando con il sangue negli attacchi terroristici e negli assassini mirati? Fin dall’inizio delle intensificate negoziazioni tra gli USA e i talebani, molte donne afghane hanno assunto una posizione forte rifiutando una pace a spese di tutte le loro conquiste e obiettivi, a prescindere da quanto parziali e incompleti essi siano. Perché avere “i diritti delle donne a costo della pace o la pace a costo dei diritti delle donne”? Questo ci ricorda un altro falso compromesso che era stato imposto al popolo afghano durante il primo decennio del nuovo regime dopo il 2001: giustizia vs stabilità.
Nonostante la straordinaria richiesta di giustizia da parte della società afghana, il coro degli opinionisti che si estende da Washington a Bruxelles fino a Kabul ci ha insegnato che sì, gli uomini forti e i loro seguaci, che ora comandano il paese, erano sgradevoli, ma se ci soffermiamo sui loro crimini del passato, potremmo compromettere il fragile processo di ricostruzione. In realtà, il carattere corrotto e predatorio di molti governatori ha affondato qualsiasi possibilità di riconciliazione, perfino la più piccola esistente, e il paese è sprofondato ancora nella guerra. Alla fine, non abbiamo avuto né giustizia né stabilità. Non commettiamo di nuovo lo stesso errore. I diritti delle donne sono necessari ed essenziali per un processo di pace degno di questo nome. Una ricerca sui processi di pace delle donne delle Nazioni Unite pubblicata nel 2015 ha dimostrato che,quando le donne prendono parte ai processi di pace, non solo le probabilità di raggiungere un accordo sono maggiori, ma l’attuazione è influenzata positivamente.
Tuttavia, negli ultimi mesi, il rispetto dei diritti delle donne in Afghanistan ha subito un peggioramento. Negli ultimi mesi, un’ondata di omicidi diretta a donne che lavoravano in società civili, nel governo, nei media (particolarmente in emittenti televisive e radiofoniche) o in ambito sanitario, ha tolto la vita a dozzine di donne. Secondo un rapporto della Human Rights Watch, nel 2020 sono state minacciate o attaccate violentemente 14 giornaliste, portando a un incremento nel numero di donne afghane costrette a lasciare il proprio lavoro nei media, e alcune di loro persino il Paese, a causa delle minacce ricevute e del peggioramento della sicurezza. Tra le altre misure messe in atto, c’era un comunicato della responsabile all’istruzione di Kabul in cui si proibiva alle ragazze maggiori di 12 anni di cantare in pubblico. Questo decreto ha provocato una forte reazione sui social media, dove molte donne afghane hanno condiviso video in cui cantavano con l’hashtag #IAmMySong. In linea con tali restrizioni, di recente i funzionari della città di Herat hanno ordinato la cancellazione di un concerto di un famoso duo afghano. Inoltre, nelle ultime settimane il governo afghano ha adottato misure per ridurre gli incarichi di alto livello affidati alle donne, in particolare nei ministeri chiave della Difesa e dell’Interno.
La comunità internazionale guidata dagli USA è interessata principalmente al ritiro delle proprie truppe, in quanto gli USA hanno già “concesso troppo ai talebani” in un accordo firmato a febbraio 2020 tra il governo statunitense e i talebani, escludendo il governo della Repubblica Islamica dell’Afghanistan. Un tempo, durante i negoziati di pace, il governo afghano considerava la tutela dei diritti delle donne una linea rossa e una questione importante da discutere. Non sembra più essere questo il caso. Nel piano di pace più recente, i diritti delle donne sono stati declassati a un colore meno importante, mostrando segni preoccupanti di una “talebanizzazione interna alla Repubblica” e di una riduzione dello spazio civico e professionale per le donne. Poiché la “posizione talebana riguardo il ruolo sociale e politico delle donne” non ha subito grandi cambiamenti, sembra che il governo della Repubblica Islamica dell’Afghanistan stia già cedendo alle richieste dei talebani.
Le donne afghane richiedono un atto di solidarietà alle donne e, più in generale, alle persone di tutto il mondo, in quanto loro pari. Si rifiutano di incarnare lo stereotipo che viene loro imposto e di diventare la “vittima sacrificale” di un accordo segreto mascherato da patto di pace.
Le donne afghane hanno mostrato una grande forza di fronte alle ardue sfide degli ultimi decenni. Sotto il dominio talebano, mentre il mondo le ritraeva silenziose, come vittime avvolte nel burqa, le donne dell’Afghanistan organizzavano scuole casalinghe segrete per generazioni di ragazze. Per cinque anni, una nota chirurga e generale dell’esercito, deceduta di recente, ha organizzato lezioni di medicina per studentesse. Alcune tenevano circoli di poesia e letteratura mascherati da laboratori di sartoria e cucito, due delle poche attività che i talebani concedevano alle donne. Lo hanno fatto per cinque anni; non è un tempo breve se si considerano le attuali restrizioni (anche se nemmeno lontanamente comparabili a quelle dei talebani) imposte in molti Paesi a causa del Covid-19, e il livello di fatica e frustrazione che queste hanno generato tra la gente. Mentre le donne afghane soffrivano in modo sproporzionato durante guerre portate avanti da uomini per ottenere potere o vantaggi geopolitici, hanno cresciuto e istruito generazioni di uomini e donne, che formano la maggioranza della popolazione afghana (il 64% è di età inferiore ai 25 anni). Le donne dell’Afghanistan non chiedono e non hanno mai chiesto la carità, loro combattono per il cambiamento. E l’elenco delle realtà che chiedono a gran voce un cambiamento nella vita della maggior parte delle donne afghane è lunga e desolante: dalla scarsità di pane sulle tavole all’eccesso di violenza ovunque. Sì, questa non è una battaglia di retroguardia per sostenere una struttura in decadenza. Se dopo vent’anni e centinaia di miliardi di dollari siamo (di nuovo) in questa situazione critica, non è solo colpa dell’astuzia del nemico della Repubblica. La corruzione e lo spreco sistematici, così ben documentati dall’Ispettore generale speciale per la ricostruzione afghana (SIGAR), sono stati fedeli compagni delle istituzioni repubblicane e dell’intervento internazionale in Afghanistan fin dal principio. I tentativi di riforma frammentata, volti ad intaccare questa situazione, finora hanno fallito clamorosamente.
Le donne afghane richiedono un atto di solidarietà alle donne e, più in generale, alle persone di tutto il mondo, in quanto loro pari. Si rifiutano di incarnare lo stereotipo che viene loro imposto e di diventare la “vittima sacrificale” di un accordo segreto mascherato da patto di pace. Si tratta di una prova del nove per una comunità internazionale dominata da meccanismi per la tutela dei diritti umani e delle donne per mostrare se e come è possibile collaborare per impedire che tutto ciò si realizzi.
Traduzione a cura di Deborah Massignani e Francesca Santambrogio per CISDA
Foto di copertina © di Rahmat Gul / AP. Macchie di sangue su un marciapiede di Kabul dopo l’uccisione, in data 17 gennaio 2021, di due donne giudici che lavoravano per la corte suprema afghana, e il ferimento dei loro autisti da parte di alcuni uomini armati.
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