«I nostri reporter torturati? Solo l’inizio della fine dei media afghani»
Parla Zaki Daryaby, direttore del quotidiano simbolo «Etilaat Roz», per cui lavorano i due giornalisti seviziati, le cui foto hanno fatto il giro del mondo
Francesca Ghirardelli, Avvenire, 5 ottobre 2021
Sarebbe solo una questione di tempo, ma il destino dei media afghani appare già segnato. Per serrare del tutto la morsa che ha già cominciato a stringersi attorno alla stampa libera, i taleban sono ora troppo impegnati. Sono chiamati su fronti più urgenti, da una parte avviare la gestione (e il finanziamento) di uno Stato al collasso, dall’altra contrastare i combattenti dell’Isis-K , primi indiziati per l’attentato di domenica a Kabul, all’esterno di una moschea dove si svolgeva il funerale della madre di uno dei loro uomini più in vista.
«È questione di mesi, forse di settimane, poi il controllo della stampa potrebbe essere completo» ci aveva detto al telefono da Kabul, durante il week end, Zaki Daryabi, direttore di Etilaat Roz, quotidiano simbolo per indipendenza e coraggio, campione anti-corruzione 2020 secondo Transparency International. Oggi le sue fosche previsioni appaiono ancora più verosimili e concrete, visto che nelle scorse ore il direttore ha dovuto lasciare il Paese per rifugiarsi in un luogo sicuro, dopo aver ricevuto minacce pericolosamente serie.
La sua testata, Etilaat Roz, è quella per cui lavorano i due giornalisti torturati a settembre (per sostenere il giornale ora a rischio di chiusura definitiva, ecco il link della raccolta appena lanciata onlinehttps://chuffed.org/project/support-free-press-in-afghanistan): le immagini dei due reporter arrestati dai taleban, con i segni delle frustate sulla pelle, hanno fatto il giro del mondo. Il direttore non lo dice, ma uno dei due è suo fratello. L’altro non si è ancora ripreso, ha perduto il 40 per cento della vista ad un occhio.
Negli ultimi giorni Zaki Daryabi era consapevole di muoversi su un terreno minato: «Il contesto non è chiaro, non lo sono le regole, non esistono ordini univoci diramati dai taleban per i reporter. C’è differenza tra quanto proclamato dai loro leader e ciò che invece accade sul terreno, quando ci si trova ad affrontare i loro uomini in giro per la città. I media internazionali vengono tollerati, quelli locali no».
Il 19 settembre il direttore del Centro governativo informazioni e media, Qari Yousuf Ahmadi, ha illustrato undici nuove disposizioni da seguire. Reporters sans frontières le ha definite «agghiaccianti per l’uso coercitivo che può esserne fatto». Per Human Rights Watch sono «così vaghe da vietare in pratica qualsiasi servizio critico».
Nel regolamento si prevede che «le questioni non confermate dai funzionari (governativi) al momento della pubblicazione siano trattate con cura», lasciando supporre la necessità di chiedere un permesso per ogni notizia da diffondere. Il Centro governativo informazione e media avrebbe, poi, messo a punto «un formulario per facilitare agli organi di stampa la preparazione dei loro servizi».
«Non abbiamo avuto comunicazioni ufficiali di queste regole né come ordine formale né come disposizione di legge, le abbiamo solo sentite annunciare» ha puntualizzato il direttore, che ci ha anche raccontato di avere ricevuto diverse chiamate dell’intelligence taleban: «Chiedevano che io andassi nei loro uffici perché volevano scusarsi per le torture ai nostri colleghi e perché avevano qualcosa da comunicarmi». Il messaggio sottinteso è stato chiaro: la situazione in Afghanistan è cambiata, è ora di adeguarsi. «Da un esponente taleban mi sono sentito dire che i media sono soldati dell’Emirato, e che per esso dovremmo combattere».
Pressioni e minacce non sono l’unica sciagura ad abbattersi su Etilaat Roz: con la paralisi dell’economia, il giornale ha perduto i proventi di pubblicità, abbonamenti e vendite. «Per pagare le spese e gli stipendi dei tanti giornalisti che ci assicurano le corrispondenze dalle diverse province abbiamo organizzato una raccolta fondi online, chiedendo l’aiuto di lettori, comunità internazionale e organizzazioni dei media». Zaki Daryabi proseguirà a lavorare nel suo ruolo di direttore, anche se lo farà da lontano. «Speriamo di tenere in vita il giornale. È un diritto fondamentale di tutti avere accesso alle informazioni su ciò che accade nel Paese. Sapere cosa succede qui è importante, adesso ancora più di prima».
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