#IAmMySong
di Laura Quagliuolo (CISDA)
Nel 2001 la coalizione internazionale a guida USA ha invaso l’Afghanistan con l’operazione Enduring Freedom, adducendo diversi pretesti: democratizzare il paese, rendere inoffensivi talebani e al Qaeda, liberare le donne, costrette dal regime talebano a rispettare regole inumane.
Dopo quasi 20 anni le truppe USA – le cui intenzioni reali erano quelle di mettere sotto controllo un’area geostrategica fondamentale nel quadro asiatico e mediorientale – e quelle dei paesi che facevano parte della coalizione, sono ancora lì. Nel frattempo i diritti delle donne e i diritti umani continuano a rimanere lettera morta, il paese è sempre più devastato da attentati e guerre, la popolazione vive nel terrore, e giornalisti, difensori dei diritti umani, attivisti e attiviste, donne che svolgono lavori quali giudice, cantante, giornalista vengono quotidianamente fatti oggetto di attentati mirati a ucciderli. Un paese i cui governi che si sono succeduti sono stati riempiti di dollari in aiuti per la ricostruzione, dollari spariti nei meandri della corruzione; Transparency International colloca l’Afghanistan al 165esimo posto su 180 paesi (https://www.transparency.it/indice-percezione-corruzione).
Nel febbraio 2020, a Doha, l’allora segretario di stato USA Mike Pompeo e il numero due dei talebani Abdul Ghani Baradar hanno siglato un accordo bilaterale che rispondeva solo alle esigenze politiche ed elettorali di Donald Trump. L’accordo prevedeva, tra le altre cose, il rilascio di 5.000 detenuti talebani e il ritiro delle truppe straniere entro aprile 2021. I talebani, da parte loro, avrebbero preso l’impegno di ridurre la violenza. Impegno del tutto mancato, dal momento che, secondo i dati resi pubblici recentemente da UNAMA (https://unama.unmissions.org/afghanistan-peace-talks-fail-slow-civilian-casualty-toll), nel corso del 2020 sono stati registrati 3.050 morti e 5.785 feriti in attentati e azioni di guerra.
Le trattative sono poi proseguite con incontri bilaterali tra il governo afghano e talebani e con una conferenza a Mosca alla presenza di rappresentanti di Cina, Russia, USA, Pakistan. L’unica certezza uscita da questi incontri è che i talebani torneranno al potere a Kabul.
E prima del loro arrivo sono arrivate le restrizioni per le donne.
Il 10 marzo, due giorni dopo le celebrazioni della Giornata internazionale della donna, il Ministro dell’istruzione afghano ha annunciato il divieto per le ragazze dai 12 anni in su di cantare in spazi pubblici. Un divieto che viola le leggi nazionali e internazionali, i diritti umani di base, i diritti dei bambini, i diritti delle donne e il diritto di libera espressione ma che sicuramente risponde alle esigenze dei talebani, che hanno chiesto a chiare lettere che i diritti delle donne vengano limitati.
Immediatamente, partendo da un appello di Ahmad Sarmast, direttore e fondatore dell’Afghan National Institute of Music, è iniziata la campagna #IAmMySong con cui Sarmast ha sollecitato organizzazioni, musicisti e singole persone a registrare una canzone e a pubblicarla in segno di protesta.
La campagna ha avuto grande successo e la notizia ha fatto il giro del mondo, trovando moltissimi sostenitori e sostenitrici.
Alla fine il Ministro dell’istruzione afghano, a pochi giorni dall’annuncio del provvedimento, ha dovuto ritirarlo; la maggior parte dei media internazionali ha divulgato la notizia che il ritiro del provvedimento fosse dovuto alle proteste.
Più di una delle nostre fonti locali ci ha riferito invece che, in realtà, il provvedimento sarebbe stato ritirato solo perché il governo del Regno Unito avrebbe minacciato di sospendere gli aiuti all’Afghanistan in caso il decreto fosse rimasto in vigore.
La notizia non è confermata da nessun media, ma abbiamo molta fiducia in ciò che ci riferiscono le nostre fonti, che da 20 anni non hanno mai sbagliato.
Siamo però certe di una cosa: divulgare notizie su un paese ormai dimenticato, ricordare che lì c’è resistenza da parte degli attivisti e soprattutto delle donne, della popolazione civile e di tantissime persone pronte a sfidare nemici come i talebani e i jihadisti al potere, pronte a denunciare i danni provocati dall’invasione della coalizione occidentale a guida USA è fondamentale. E per tutti e tutte noi qui, che spesso fatichiamo a guardare a ciò che accade lontano da noi ma ci coinvolge, sarebbe un buon esercizio per capire che le guerre che l’Occidente porta in giro per il mondo e le armi che l’Occidente vende ai peggiori dittatori non portano mai democrazia, e che la democrazia e la libertà devono stare nelle mani della popolazione civile. E in Afghanistan, dopo 40 anni di guerre, la popolazione civile sa che cosa vuole.
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